di Chiara Cruciati
Dopotutto Emmanuel Macron lo aveva detto chiaramente lo scorso dicembre, mentre accoglieva all’Eliseo il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e lo investiva della prestigiosa Legion d’Onore francese: i diritti umani non possono condizionare gli affari.
Appena dieci giorni dopo la visita, il 18 dicembre 2020, l’Europarlamento votava con 434 sì una risoluzione storica che superava tutte le precedenti sull’attuale situazione egiziana: i parlamentari Ue chiedevano a Stati membri e istituzioni europee di interrompere la vendita di armi all’Egitto e di prevedere sanzioni per i responsabili di violazioni dei diritti umani.
Parigi, come tanti altri paesi, tra cui l’Italia, non ha colto il messaggio. Oggi il ministero della Difesa egiziano, mentre una delegazione egiziana arrivava in territorio francese, ha annunciato in un comunicato il raggiungimento di un accordo con la Francia per l’acquisto di 30 jet Rafale, dal valore totale di 4,5 miliardi di dollari. Ai jet si aggiungono contratti per missili Mbda e altro equipaggiamento militare per altri 241 milioni.
Il dicastero ha aggiunto che l’acquisto sarà pagato con un prestito di dieci anni: secondo il sito Disclose, l’85% sarà coperto dallo Stato francese attraverso BNP Paribas SA, Credit Agricole, Societe Generale e CIC. Di fatto una situazione molto simile a quella italo-egiziana, con le due fregate Fremm di Fincantieri, entrambe già nelle mani del regime, il cui acquisto (circa 1.5 miliardi di euro) è stato coperto almeno per metà da una rete di banche e istituzioni finanziarie – Cassa Depositi e Prestiti, Sace, Intesa Sanpaolo, Bnp Paribas e Santander.
Perché, di fatto, l’Egitto che compra armi come fossero caramelle, non è un paese ricco. La sua popolazione è sempre più povera (il 30% degli egiziani vive sotto la soglia di povertà, un altro 30% poco al di sopra) e il regime continua a investire miliardi di dollari in mega progetti infrastrutturali e nel suo arsenale militare mentre le fabbriche chiudono e gli ospedali affrontano l’epidemia di Covid quasi a mani nude.
Immediata è stata la reazione di Human Rights Watch Francia: “Firmando un mega-contratto con il governo di al-Sisi – ha detto il direttore della ‘filiale’ francese di Hrw, Benedicte Jeannerod – mentre quest’ultimo presiede la peggiore repressione degli ultimi decenni in Egitto, lo sradicamento della comunità dei diritti umani nel paese e gravissime violazioni dietro il pretesto di combattere il terrorismo, la Francia sta solo incoraggiando questa brutale repressione”.
La risposta l’aveva data lo stesso presidente Macron a inizio dicembre quando, insieme ad altri funzionari governativi, ripeteva che per essere efficaci nel migliorare la situazione egiziana è molto meglio criticare dietro le quinte, caso per caso, piuttosto che esporre l’Egitto alla gogna internazionale e punirlo per le sue azioni. Una politica molto simile a quella italiana: davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte parlò, nel giugno 2020, di business per la verità. Ovvero restare amici del Cairo tramite affari succulenti sperando così di poter fare pressione sul fronte dei diritti umani.
Una strategia bislacca che nella storia non ha mai funzionato. Lo dimostrano, a distanza di anni, i 60mila prigionieri politici che restano dietro le sbarre, l’agonia di Patrick Zaki e la mancata verità per Giulio Regeni.
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