Un gruppo di agenti incappucciati e in tenuta antisommossa avrebbe fatto irruzione nelle celle del penitenziario lucano
Detenuti del carcere di Melfi legati con le fascette ai polsi, denudati, fatti inginocchiare e messi con la faccia a terra o rivolta al muro. A quel punto schiaffi, umiliazioni e manganellate da parte di un gruppo consistente di agenti penitenziari che, secondo le testimonianze, apparterrebbero ai Gom. Le telecamere di video sorveglianza del carcere, però, risultano inutilizzabili per l’acquisizione delle immagini a causa di un backup periodico.
Diversi detenuti della sezione di Alta Sicurezza di Melfi sarebbero stati messi con la faccia a terra e tenuti fermi con gli anfibi. Altri ancora, per essere condotti sul pullman, sono dovuti passare tramite un cordone formato dagli agenti e al passaggio sarebbero stati manganellati e insultati. Alcuni testimoniano di aver visto detenuti con la testa sanguinante, occhi tumefatti e nasi rotti.
Parliamo del carcere di Melfi e sono le 3 di notte del 17 marzo 2020. Un gruppo rilevante di agenti incappucciati in tenuta antisommossa con caschi, scudi e manganelli irrompe nelle celle della sezione AS1 per far uscire i detenuti.
Alcuni di loro li avrebbero presi a calci, schiaffi e a manganellate mentre si trovavano legati e inginocchiati con la faccia rivolta al muro. Altri ancora, mentre si dirigevano verso il pullman per essere trasferiti in altre carceri, sarebbero stati presi a manganellate dagli agenti che avevano formato un cordone.
«Venivo messo con la faccia rivolta verso il muro del corridoio della sezione dove era ubicata la cella detentiva e in attesa che arrivassero gli altri detenuti, venivo percosso con il manganello mentre mi insultavano».
È una delle tante testimonianze dei detenuti del carcere di Melfi relative a presunti pestaggi avvenuti alle 3 di notte del 17 marzo 2020.
Una situazione simile a quella che è accaduta al carcere di Santa Maria Capua Vetere. Un altro detenuto racconta: «Durante tutto il tragitto l’agente della scorta mi ha preso a manganellate fino al locale colloqui, arrivati qui mi ha fatto entrare nella stanza dei colloqui, era presente anche l’ispettore dei colloqui, uno bassino pelato, ed era presente anche l’appuntato dei colloqui che mi aveva fatto uscire dalla cella. Sempre il poliziotto che mi ha preso a manganellate mi ha detto: mettiti faccia al muro e spogliati, ogni indumento che mi toglievo avevo una manganellata».
Circostanza confermata anche da un altro detenuto, il quale ha ricordato che, mentre era in attesa di effettuare la perquisizione, ha sentito che il ristretto «veniva malmenato nello stanzino dei colloqui», tanto che lo stesso chiedeva «al personale in servizio di lasciarlo stare perché lo stavano massacrando».
Un altro detenuto racconta di essere stato bruscamente svegliato da alcuni poliziotti penitenziari in tenuta antisommossa, alcuni muniti di caschi protettivi, altri di passamontagna, i quali gli hanno chiesto di vestirsi ed uscire velocemente dalla cella. Nel contempo, sia a lui che al compagno di cella, avrebbero applicato delle fascette in plastica ai polsi, dietro la schiena, in modo da impedire qualsiasi movimento.
Usciti fuori dalla cella, ovvero nel corridoio, li avrebbero messi faccia al muro in attesa di essere trasferiti ai piani inferiori. «Lungo il tragitto che ci avrebbe portato all’interno dei pullman – prosegue il racconto del detenuto – gli agenti, intimandoci di tenere la testa bassa, avevano formato un cordone umano e alcuni di loro ci colpivano con dei calci nel sedere e in altre parti del corpo».
Tutte testimonianze che raccontano lo stesso evento.
Un altro detenuto ancora racconta di essersi svegliato a causa delle urla di altri detenuti. Aperti gli occhi, ha visto 5 agenti antisommossa dentro la sua cella. Uno di loro si è rivolto a lui e all’altro compagno di cella, intimando loro di vestirsi. Una volta uscito dalla cella, il solito modus operandi con le fascette di plastica ai polsi.
«Una volta immobilizzato – racconta il detenuto – due agenti di Polizia penitenziaria mi hanno fatto inginocchiare e mi tenevano bloccato, faccia a terra, con gli anfibi. Durante queste fasi, venivo percosso dai predetti agenti di Polizia penitenziaria, con calci e sfollagente, gli stessi mi colpivano ripetutamente alla schiena, in testa, vicino alle gambe e nelle altre parti del corpo».
È Antigone ad occuparsi di questo caso. In particolar modo l’avvocata Simona Filippi, sempre in prima fila per i casi di pestaggi e tortura che purtroppo avvengono in alcuni penitenziari.
A marzo del 2020 Antigone viene contattata dai familiari di diverse persone detenute presso la Casa Circondariale di Melfi. Questi denunciano gravi violenze, abusi e maltrattamenti subiti dai propri familiari nella notte tra il 16 ed il 17 marzo 2020.
Si tratterebbe, esattamente come nel caso di Santa Maria Capua Vetere, di una punizione per la protesta scoppiata il 9 marzo 2020. Le testimonianze, come abbiamo riportato nello specifico, parlano di detenuti denudati, picchiati, insultati e messi in isolamento.
Molte delle vittime sarebbero poi state trasferite. Ai detenuti sarebbero poi state fatte firmare delle dichiarazioni in cui avrebbero riferito di essere accidentalmente caduti, a spiegazione dei segni e delle ferite riportate.
Il 7 aprile 2020 l’avvocata Filippi di Antigone ha presentato un esposto contro agenti di polizia penitenziaria e medici per violenze, abusi e torture.
Ma la procura di Potenza ha avanzato richiesta di archiviazione.
L’avvocata Simona Filippi di Antigone non ci sta e ha presentato opposizione. Secondo il legale, la procura non ha approfondito fondamentali circostante.
Innanzitutto chiede di sentire i compagni di cella dei denuncianti. Secondo l’opposizione all’archiviazione, questi potranno confermare il racconto reso dalle persone offese sia rispetto alla dinamica di quanto posto in essere dagli agenti di polizia penitenziaria intervenuti sia rispetto alle lesioni riportate dalle vittime.
Per quanto riguarda il riconoscimento degli agenti, Antigone chiede di procedere all’acquisizione dell’elenco degli agenti appartenenti al reparto Gom ed intervenuto nella notte tra il 16 e il 17 marzo 2020.
Risultano infatti acquisiti tra gli atti di indagine gli elenchi del personale intervenuto facente riferimento al Provveditorato territoriale. C’è anche un detenuto, compagno di cella di una delle presunte vittime dei pestaggi, che ha riconosciuto un agente in servizio nel carcere. Quest’ultimo, secondo la testimonianza, avrebbe detto ai Gom di andarci piano con quel detenuto, perché aveva seri problemi fisici.
In sostanza, mancherebbero accertamenti fondamentali per avere riscontri. Ci sono diversi detenuti da sentire che sono testimoni dell’accaduto.
C’è l’elenco dei Gom per individuare chi è intervenuto quella notte. Magari sentendo anche il Comandante che ha coordinato le operazioni, per approfondire in quali reparti e in quali celle sono andati gli agenti di polizia penitenziaria in servizio e anche gli agenti di polizia penitenziaria appartenenti ai Gom.
La dinamica denunciata è uguale a quella che è avvenuta nel carcere campano di Santa Maria Capua Vetere. Con la sola differenza che non è stato possibile dare corso all’acquisizione delle riprese video, in quanto, come emerso dall’esito degli approfondimenti, le telecamere poste all’interno del carcere consentono solo la visione diretta, ma non la registrazione.
Non solo. Quelle che avrebbero potuto registrare i trasferimenti risultavano danneggiate dalla rivolta.
Per le sole telecamere che hanno registrato tutto, allocate nella fascia perimetrale, il caso vuole che il backup periodico ne abbia impedito l’acquisizione. Il gip accoglierà l’opposizione dell’avvocata Filippi di Antigone? Di sicuro, ci sono ancora tanti accertamenti da compiere.
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