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01/10/2021

Il suicidio dell’Australia nell’accordo Aukus

Una lezione di politica estera, di salvaguardia dell’interesse azionale, di serietà istituzionale. Tutto questo è rintracciabile nell’artico che Paul Keating ha voluto dedicare all’attuale presidente del consiglio australiano, Scott Morrison, protagonista assoluto del voltafaccia che ha portato l’Australia a firmare l’accordo Aukus, stracciando i contratti con i francesi per la fornitura di otto sommergibili e comprandone altrettanti dagli Stati Uniti.

Paul Keating, laburista, era stato a sua volta presidente del consiglio dal dicembre 1991 al marzo del 1996, e non può certamente essere dipinto come un “avversario” di Washington. Ma la capriola del giovane liberale Morrison è troppo avventata – e subordinata al potente “alleato” – da poter passare sotto silenzio.

Al di là del linguaggio usato, abituale per un altro tipo di lettori, certamente non è un articolo “nazionalista” nel senso reazionario e straccione che siamo abituati a ritrovare nel dibattito italiano.

Al contrario è una visione alta del ruolo che un premier dovrebbe svolgere in qualsiasi situazione, e in qualsiasi regime politico. Sei il rappresentante di tot milioni di abitanti, in una certa zona del mondo, ogni scelta che fai presenta dei pro e dei contro che sei obbligato a tener presenti, senza farti ubriacare dagli interlocutori.

Di fatto, l’attuale governo australiano non ha scelto tra due opzioni quasi equivalenti. Ha rotto un contratto con la Francia di circa 50 miliardi di euro per 12 sottomarini in piena fase di costruzione da circa tre anni. Il contratto era stato siglato con la Francia nel 2016 ed è entrato entrò nella fase operativa nel 2017.

Scegliendo la Francia, l’Australia la preferì al progetto concorrenziale presentato dal Giappone. E si trattava in entrambi i casi di sottomarini a propulsione diesel, per cui l’Australia dispone autonomamente delle “competenze” necessarie alla gestione-manutenzione.

L’opzione di sottomarini a propulsione nucleare non era mai esistita anche perché l’Australia non ha alcuna capacità di gestire roba del genere (ingegneri nucleari con esperienza sul campo, società pubbliche o private esperte nel ramo, tecnici per ogni singolo aspetto rilevante in una macchina complessa).

L’idea USA di proporre dei sottomarini nucleari è stato il classico coniglio che esce dal cappello del prestigiatore. E un danno diretto per l’Australia, anche sotto l’aspetto dell’”indotto”.

Il progetto francese si basava infatti sulla costruzione in situ presso Adelaide e già vi erano coinvolte 200 aziende dell’area, con 17.000 dipendenti. Inoltre il progetto francese comportava un trasferimento di tecnologia di intelligenza artificiale, il cui sistema era da creare proprio ad Adelaide facendo di questa città un polo hightech.

Il progetto americano non comporta nulla di simile. Fabbricazione e tecnologie saranno di esclusiva competenza Usa, così come – ovviamente – la manutenzione, perché ci sono in gioco pesanti segreti industriali e militari da proteggere.

Di fatto, insomma, l’Australia pagherà agli Stati Uniti la costruzione di sommergibili negli Usa, che resteranno nella disponibilità piena della flotta statunitense anche perché l’Australia non ha la capacità tecnica di utilizzarli autonomamente.

Qualcuno dirà: “per ora”. Ammettiamolo pure. Ma quanto ci vuole a tirar su una generazione di ingegneri nucleari e far loro fare l’esperienza minima necessaria? Quanto ci vuole a far sviluppare aziende tecnologiche in grado di occuparsi da sole della manutenzione?

Sempre scommettendo che gli americani siano poi disposti a condividere qualche piccolo segreto nucleare…

E sorvoliamo tranquillamente gli aspetti geostrategici, su cui Keating insiste con competenza certamente superiore.

Buona lettura.

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Una reliquia di un’epoca passata? Potrei esserlo, ma non sono un disfattista

Marise Payne, che ha fatto una forma d’arte nel nascondere la sua luce sotto il moggio, si è precipitata sul palcoscenico nazionale lunedì, completamente indifferente alle luci sfavillanti dei riflettori.

Lo scopo di questa audace apparizione era quello di attaccarmi per aver avuto la temerarietà di dire che l’accordo AUKUS del governo ci ricollega all’Anglosfera – il mondo dell’Atlantico – voltando stridentemente le spalle alla nostra geografia, l’Asia, con un solo goffo movimento.

Payne e il primo ministro sono stati abbagliati dalla grande accoglienza che hanno ricevuto a Washington – un’accoglienza che qualsiasi cliente strategico degli Stati Uniti avrebbe ricevuto, se avesse ceduto il controllo delle sue forze armate agli Stati Uniti. Ma, nel nostro caso, cedendo anche il controllo effettivo della nostra politica estera.

Qualsiasi primo ministro che negozi la cessione di prerogative e interessi dell’Australia a un’altra potenza sarà sempre osannato e celebrato da quella potenza. E questo è precisamente ciò che Scott Morrison e Marise Payne hanno sperimentato.

La decisione sui sottomarini statunitensi non riguardava solo la guerra sottomarina, ma la donazione di otto sottomarini pagati da noi al comando degli Stati Uniti, come parte integrante della loro flotta del Pacifico. Provate a pensare ad un altro paese che farebbe qualcosa di così sottomesso.

Ma ancora di più, nel farlo, affronta sgarbatamente l’unica potenza internazionale d’Europa, la Francia – l’unico stato europeo che possiede un esercito sofisticato, sottomarini nucleari e armi nucleari. E insieme a questo, un vero patrimonio nazionale nel Pacifico. Una vera potenza del Pacifico. Difficilmente si sarebbe potuto sognare un partner militare più adeguato o più appropriato della Francia.

Ma Morrison, che non ha passato che un attimo a pensare alle questioni strategiche e all’allineamento del potere internazionale, ha mollato i francesi, per consolarsi ideologicamente, preferendo invece la sicurezza dell’ascella sudata degli Stati Uniti.

Quando dovremmo smettere di applaudire?

Ma con Broadway che fa parte del DNA dell’America, la Casa Bianca ha ospitato il primo incontro faccia a faccia del cosiddetto Quad, con scrivanie decorate nella sua East Room.

Il Quad ha un solo obiettivo ed è quello di contenere la Cina. Ossia il fatto che, in qualche modo, l’ascesa del 20 per cento dell’umanità da una povertà avvilente a qualcosa che si avvicina a uno stato moderno, sarebbe illegittimo – ma più di questo, con la sua semplice presenza, un affronto agli Stati Uniti.

Non è che la Cina rappresenti una minaccia per gli Stati Uniti – qualcosa che la Cina non ha mai articolato nella pratica né manifestato – piuttosto, la sua semplice presenza rappresenta una sfida alla preminenza degli Stati Uniti.

Come osa uno stato, grande come gli Stati Uniti, rappresentarsi così. Ma non solo rappresentarsi, possedere i mezzi per diventare possibilmente due volte più grande. Una simile eventualità non si trova da nessuna parte nel playbook americano. Ma questo è ciò che è il Quad. E, ingenuamente, noi ci siamo dentro.

Nel momento in cui un colpo forte fosse sparato, gli indiani si chiuderebbero nella loro penisola e i giapponesi farebbero quello che fanno sempre, negoziare sotto il tavolo. Questo lascerebbe gli Stati Uniti e i babbei come noi a portare una battaglia militare ai cinesi da soli.

L’India ci sta prendendo tutti in giro. L’India gode del muro impenetrabile dell’Himalaya al suo nord e della protezione di due oceani intorno alla sua penisola allungata. E ha una popolazione più giovane e grande come quella della Cina. È in una posizione imbattibile. E nessuna potenza cercherebbe di sconfiggerla – certamente non i cinesi.

Henry Kissinger mi ha detto in diverse occasioni che lui ed io condividevamo un’importante visione strategica. E questa visione, nelle parole di Kissinger, era che l’India “non avrebbe mai fatto parte del sistema dell’Asia orientale“. Una visione che ho sempre sostenuto con fermezza.

È impossibile immaginare la marina indiana attaccare le risorse militari o civili cinesi nel Mar Cinese Meridionale – un’area completamente lontana dalla sicurezza e dalla comodità della penisola indiana chiusa dal mare – nonostante le piccole scaramucce che ogni decennio si verificano sul confine himalayano.

L’India è un membro dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai. Gli altri stati dell’accordo sono la Cina stessa, la Russia e il Pakistan. L’India si presenterà grande come la vita alla prossima riunione dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai, dopo essersi presentata, grande come la vita, per le follie Quad dell’America alla Casa Bianca.

L’India, uno dei fondatori del movimento dei non allineati, è stata storicamente allergica alle alleanze, non avendo alcun desiderio di mettere tutte le sue uova in un paniere – qualcosa che non farà mai.

Ma eccoci qui noi dell’Australia, al casinò strategico, a puntare tutto sul nero, pensando che gli indiani si presenteranno nel caso di una grande prova di forza con i cinesi. Mentre i giapponesi sanno che, in un tale scontro, la Cina li annienterà.

Ma il “profeta della Contea” (titolo ironico per Scott Morrison, primo ministro australiano, ndr) ha divagato rispetto a tutto questo, incapace di comprendere le forze vettoriali delle sottigliezze in gioco, quando la politica estera australiana aveva invece la completa capacità di gestire le relazioni tra Cina e Stati Uniti, come abbiamo fatto con successo per decenni prima.

Ho convinto da solo due presidenti americani a sedersi annualmente con il presidente della Cina, il primo ministro del Giappone e il presidente dell’Indonesia e, nel caso della Cina, a convincerli a sedersi accanto ai rappresentanti di Taiwan e Hong Kong. Questo è quello che ho fatto nello sviluppo della riunione dei leader dell’APEC.

Potreste immaginare Morrison o Payne o il ringhioso poliziotto del Queensland ottenere una cosa simile? Ma ora, secondo Payne, non sono aggiornato, sono troppo fuori dal mondo, “una reliquia di un’epoca passata”.

Beh, potrei anche esserlo, ma una cosa non sono: un disfattista australiano che, al primo segno di tensione, venderebbe il paese ad un’altra potenza.

Paul Keating, dal Sidney Morning Herald

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