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15/05/2022

“Anarchici” per Zelenskij

È di questi ultimi giorni la rinnovata offensiva propagandistica di spezzoni del movimento anarchico ucraino per orientare in direzione Zelenskij libertari e centri sociali italiani ed europei. Il 12 maggio, nel centro sociale bolognese Làbas, sedicenti anarchici di Operation Solidarity ucraina hanno tenuto una marchetta pro-governativa “contro l’aggressione imperialista russa”.

A questo punto, si rende necessaria una breve panoramica storica sul movimento anarchico ucraino post Maidan per comprendere come una parte di esso, abbandonando de facto i più elementari principi dell’anarchismo stesso, abbia finito – come vedremo – per costituire orgogliosamente una componente bellicista e militarista della società ucraina, pronta ad invocare il salvifico intervento Nato e la collaborazione “tattica” con la Destra neonazista.

Le proteste del 2014 portano al collasso le vecchie organizzazioni, a partire dalla Rcas di Mahno, la confederazione degli anarco-sindacalisti. Il movimento si trova frantumato in numerosi, piccoli gruppi, numericamente di scarso rilievo.

In una simile condizione e con l’inizio delle ostilità armate nel Donbass, gli anarchici, complessivamente, non riescono a tenere a lungo il connotante punto d’onore del “no alla guerra” finendo per dividersi, proprio come tutte le altre componenti della società.

È a partire da questo preciso momento storico che, nella parte pro Maidan avviene l’insana folgorazione per il nazionalismo ucraino. Assistiamo così ad “anarchici” che scelgono il battaglione Azov e l’Oun; altri, come testimoniato da diverse foto, che vengono addestrati nel campo di Settore Destro nella base di Desna.

Altri ancora, affiliati all’organizzazione Autonomnyi Opir, che farneticano di “collaborazione militare” con l’esercito di Kiev (quello armato dalla Nato) in chiave “antimperialista”. Ovviamente, tanto questa organizzazione, con base a Lvov, quanto gli altri “anarchici di Zelenskij” hanno ricevuto pesanti e durissime critiche dal resto del movimento anarchico ucraino.

Incapaci di rivaleggiare con la destra neonazista per il controllo delle piazze e della protesta, non all’altezza di elaborare un proprio programma alternativo a quello dei filo occidentali, gli “anarchici di Zelenskij” hanno mestamente subordinato il proprio essere e la propria indipendenza alle componenti egemoni della protesta liberal-banderista.

Qualche dubbio in proposito? Leggiamo cosa scrivono i firmatari del recente appello – in inglese – “Guerra e anarchici: una prospettiva anti-autoritaria in Ucraina” (crimethink.com), a firma plurima e con l’obiettivo di mobilitare gli anarchici dell’Ue nella crociata russofobica.

Innanzitutto, i “nostri” considerano – parole loro – l’Ucraina un’isola felice e la prima linea della lotta occidentale contro l’imperialismo russo. Poche parole per comprendere che il modello di riferimento per gli anarchici di Zelenskij non è la lotta di classe e la sconfitta del capitalismo ma il liberismo occidentale che, infatti, ha reso (secondo loro) l’Ucraina un’isola felice, la quale, grazie al dirimente sostegno militare di Nato e vassalli, può oggi rappresentare la prima linea nella lotta alla Russia. Strana razza quella degli “anarchici di Zelenskij” ma continuiamo nella lettura.

Dato che – corsivo loro – “il piano a lungo termine della Russia è quello di distruggere la democrazia in Europa” – sembra più il punto di vista dell’amministrazione Reagan che un’analisi di anarchici (!) – il “no alla guerra” e lo “scontro inter-imperialista” costituiscono slogan “populisti ed inefficaci”; meglio, quindi, l’alleanza con la Nato.

È chiaro il campo scelto dagli “anarchici di Zelenskij”: non lotta di classe ed anarchismo ma Nato, guerra ed imperialismo.

L’appello continua: “guardate all’Afghanistan ed avrete cosa significa nei fatti lo slogan No alla guerra: con l’avanzata dei Taliban, le persone sono fuggite in massa, morte nel caos degli aeroporti e quelli rimasti sono stati purgati”.

Ancora una volta, il punto di vista degli “anarchici di Zelenskij” preferisce identificarsi con gli imperialisti occidentali piuttosto che con gli oppressi.

Il tentativo degli “anarchici di Zelenskij” di far schierare un (opportunamente epurato) anarchismo da operetta al fianco degli imperialisti occidentali poggia, e non da oggi, sull’odioso, truffaldino tentativo di inserire il leggendario condottiero anarchico degli anni rivoluzionari Nestor Mahno nel milieu del nazionalismo ucraino.

È dai primi anni ’90 del secolo scorso, dai tempi del Ruch nazionalista, che assistiamo a simili ignobili tentativi, una vera e propria aberrazione storica. Un revisionismo storico “da 4 rubli” cerca disperatamente di inserire nel proprio pantheon – accanto ai peggiori rappresentanti del nazionalismo etnico, eugenetico, antisemita, quale è quello ucraino – una positiva figura socialmente progressista, nella speranza di contrabbandare il suo sciovinismo per “condivisibile anelito all’indipendenza nazionale”.

Vediamo, quindi, cosa pensava Mahno dei nazionalisti ucraini. Dalle sue memorie, col significativo titolo “La Rivoluzione Russa in Ucraina”:

Il successo dei partiti socialisti di sinistra nelle elezioni si spiega col fatto che i lavoratori ucraini, non guastati dalla propaganda dei patriottardi, conservarono intatto il loro spirito rivoluzionario e […] che il “movimento della liberazione ucraina” restò completamente chiuso negli schemi patriottardi […] questo spirito borghese e patriottardo e la colpevolezza politica dei capi del “movimento della liberazione ucraina”, colpevolezza nei confronti dei lavoratori, della loro bella idea di conquista, tramite l’azione rivoluzionaria diretta, della libertà e del diritto all’indipendenza e alla libera edificazione di una nuova società socialista, provocarono nei lavoratori un sentimento d’odio nei confronti dell’idea stessa di “movimento della liberazione ucraina”.

I lavoratori rivoluzionari ucraini […] marciarono in massa contro questo movimento, senza alcuna pietà per tutto ciò che lo riguardava […] Il movimento patriottardo in Ucraina aveva rovinato i magnifici inizi della Grande Rivoluzione Russa”
. [in N. Mahno, La Rivoluzione Russa in Ucraina, La Rivolta, Ragusa, 1988, pp.118-119].

Continua Mahno, per il quale il nazionalismo dei nemici dell’unione fraterna col popolo russo fu solo nocivo alla rivoluzione:

Questa propaganda dei patriottardi ucraini spinse i lavoratori della regione di Guliai-Polé sulla via della lotta armata contro ogni tentativo separatista ucraino perché la popolazione vedeva nello sciovinismo – idea direttrice del separatismo ucraino – la morte della rivoluzione. [Ivi, p134].

A questo punto, ai mistificatori attuali del pensiero di Mahno occorre ricordare che: egli, per tutta la sua vita, parlò solo in dialetto russo e non conosceva neanche la lingua ucraina, proveniva orgogliosamente dalla riva ad est del Dniepr, dalla parte rivoluzionaria dell’Ucraina come lui la chiamava.

Fu sempre in prima linea contro gli antisemiti ed i pogrom commessi in grande quantità tanto dai reazionari bianchi, quanto dai nazionalisti ucraini. Fece sempre riferimento alla Grande Rivoluzione Russa; a separarlo dai bolscevichi, infatti, non era il sovietismo ma il come instaurarlo – Mahno libertario, i bolscevichi autoritari –.

Spiegare l’avversione di Mahno – un contadino divenuto rivoluzionario da autodidatta – per il nazionalismo ucraino di inizio ‘900 significa comprendere la natura borghese di quest’ultimo, la reazione delle élite agrarie alla concreta minaccia di rivoluzione sociale proveniente da Mosca.

Un nazionalismo, quindi, quello ucraino ben disposto a sacrificare i temi dell’uguaglianza e della giustizia sociale sull’altare della sola emancipazione nazionale.

In realtà sappiamo che anche quest’ultimo tema, per i sedicenti nazionalisti ucraini, è storicamente sacrificabile in cambio dell’aiuto tedesco o polacco volto a frenare il nemico principale dal 1917: il comunismo.

Come ci ricorda la parabola del campione storico del nazionalismo ucraino: Simon Petljura, l’ataman antisemita, al soldo della Polonia e che incarnava i privilegi dei cosacchi a scapito delle plebi contadine, che il bolscevismo “minacciava” di liberare dall’atavica schiavitù.

Pletjura guidò l’offensiva del ’19 contro Kiev, promettendo in cambio al suo sponsor militare – il maresciallo Pilsudski – la cessione della Galizia alla Polonia.

Chiudiamo ricordando che l’armata insurrezionale contadina di Mahno, la mahnovicina, fu artefice, negli anni della guerra civile della sconfitta manu militari delle armate bianche di Wrangel e Denikin e di quella nazionalista di Pletjura.

Si trattò di vittorie vitali per la Rivoluzione Russa, tanto che la mahnovicina venne formalmente inserita – pro tempore – nelle Armate Rosse del Fronte Meridionale. Una volta riparato avventurosamente in Francia, al termine di ripetuti scontri in patria coi bolscevichi vittoriosi, Mahno venne spesso accusato – ingiustamente – di filo-bolscevismo dagli anarchici occidentali, per le sue posizioni politiche, espresse nella Piattaforma Archinov-Mahno; entrando, perfino, in una nota querelle ideologica a mezzo stampa col vecchio anarchico italiano Errico Malatesta sulla questione della necessità della “responsabilità collettiva” e del “comitato centrale” per l’organizzazione anarchica del futuro.

Questo era Mahno: un comunista sovietico libertario, non un nazionalista ucraino né un “anarchico di Zelenskij”, che è poi dire la medesima cosa.

di Valerio Gentili, esperto di storia della Resistenza e del combattentismo di sinistra, soprattutto a Roma. Ha pubblicato ‘La legione romana degli Arditi del popolo‘ (Purple Press 2009), ‘Roma combattente‘ (Castelvecchi 2010), ‘Bastardi senza storia‘ (Castelvecchi 2011), ‘Dal nulla sorgemmo‘ (Red Press 2012). ‘Volevamo tutto. La guerra del capitale all’antifascismo. Una storia della Resistenza tradita‘. (Red Star Press 2016). Articolo pubblicato anche su L’Antiplomatico.

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