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17/05/2022

Contrordine, europei! Il gas russo si può pagare in rubli...

Più che l’onor potè il digiuno… Il vecchio proverbio, al di là del momento specifico, ricorda agli “idealisti” (e ai propagandisti di ogni risma) che la realtà ha la testa dura. O che l’interesse materiale prevale sempre sulle chiacchiere della retorica.

Così la “saldissima alleanza” tra Usa ed Unione Europea, militarizzata nella Nato, dopo aver varato sanzioni suicide contro la Russia si frantuma davanti alla più concreta delle constatazioni: senza gas e petrolio importati dalla perfida Russia si ferma l’economia. Non completamente, certo, ma sapete com’è il capitalismo: se si va in recessione anche di poco, e la “crescita” diventa un sogno, ci vuole un attimo a scatenare il fuggi fuggi.

La prima notizia è che la Commissione Europea si è arresa all’evidenza – un po’ come i nazisti autosepolti negli scantinati dell’Azovstal – e ha concesso una “via libera condizionato” agli acquisti di gas russo pagandolo in rubli.

Ricordiamo che questa era la “novità” introdotta dal Mosca come risposta alle sanzioni occidentali, che miravano a far crollare il valore della moneta russa e con ciò anche la sua economia. Mario Draghi, tra gli altri, aveva “tuonato” contro quella che definiva – come se in piena guerra fosse una cosa seria – una “violazione contrattuale”. Salvo accorgersi, dopo un rapido calcolo, che non c’erano alternative sul tavolo.

Dunque ora la UE fa sapere che, sì, gli stati o le aziende energetiche europee potranno pagare le forniture di gas e petrolio russi in rubli, accettando l’escamotage proposto proprio da Mosca. Ovvero, pagheranno in euro (in modo da non violare le proprie stesse sanzioni), ma lasceranno che Gazprom proceda al cambio di valuta.

Si accettano insomma i “conti K”, in pratica un doppio conto, che consente a Mosca contemporaneamente di incamerare valuta estera pregiata (euro) e rafforzare il valore del rublo. Meccanismo spiegato molto semplicemente anche in un altro articolo di questo giornale.

Il trucco sta tutto nel fatto che le aziende importatrici dovranno dichiarare “chiusa la transazione” nel momento in cui versano gli euro. Il passaggio successivo (il cambio in rubli) non apparirà nemmeno nei resoconti finali. Insomma, con una mano si “sanziona” e con l’altra si fa come prima.

La decisione deve essere apparsa inevitabile dopo aver esaminato i primi effetti della guerra e delle sanzioni anti-russe… sull’economia europea. Gli scenari disegnati dagli analisti di Bruxelles registrano una durissima frenata del Pil e un lungo periodo di inflazione in crescita, al punto da far dire al Commissario agli affari economici – ossia a Paolo Gentiloni – che “la stagflazione è qualcosa cui guardiamo con molta attenzione”.

E questo anche tifando per lo scenario più “ottimistico” (crescita del Pil al 2,7% quest’anno e al 2,3% il prossimo, con l’inflazione al 6,1 nel 2022 e al 2,7 nel 2023). Se invece la guerra dura a lungo si va direttamente in recessione, se non altro “tecnica” (due trimestri in negativo).

Sul più lungo periodo, comunque, solo nuvole nere e senza prospettive di sole.

Di fronte a questa realtà ci si aspetterebbe che la UE prendesse atto che “c’è un problema”, visto che veniamo da due anni di pandemia e quest’anno pensiamo di passarlo con la guerra alle porte. E invece no.

Il primo punto riguarda la sospensione o meno del “patto di stabilità”, la clausola che obbliga ogni singolo stato dell’Unione e ridurre il debito pubblico in misura tale da portarlo al 60% del Pil nel giro di 20 anni (l’Italia parte da quasi il 160%, in questo momento, e immaginatevi da soli quali e quanti tagli di spesa ci vorrebbero…).

Per i due anni di pandemia la sospensione è stata pacificamente accettata, visto che tutti i paesi membri si sono ritrovati nelle stesse –(pessime) condizioni. Ma ora i “falchi” del Nord Europa, capeggiati come sempre dalla Germania, vorrebbero farla tornare in vigore – in piena guerra e aumento delle spese militari, obbligatorio per tutti! – già da quest’anno. La motivazione “tecnico-giuridica” dà la misura della follia neoliberista: anche se si va in recessione, non è detto che ci vadano tutti i paesi europei, e perciò questo sarebbe sufficiente a ripristinare le regole di bilancio che conosciamo come “politiche di austerità”.

Particolarmente esplicito, su questo fronte, il ministro dell’economia tedesco, Christian Lindner, liberale, secondo cui “dobbiamo tornare a una finanza pubblica sana. I livelli di debito e deficit hanno effetti sulla stabilità dei prezzi e sulla capacità della Banca centrale europea di affrontare l’inflazione”.

E questo nonostante sia preoccupatissimo degli effetti del binomio-guerra sanzioni sull’economia tedesca. «Va evitata una situazione in cui infliggiamo più danni a noi stessi che a Putin. La forza dell’economia dell’Unione europea e del G7 è il nostro vantaggio in questo conflitto. Per la Germania, uno stop immediato delle forniture di gas dalla Russia porterebbe gravi danni. Chiaramente sostenere l’Ucraina non è una questione di prezzo: difende i nostri valori contro un regime autoritario che mina l’ordine internazionale basato sulle regole. Ma non voglio neanche rischiare una recessione grave che potrebbe ridurre la nostra capacità di sostenere economicamente e militarmente l’Ucraina».

La realtà ha la testa dura, e Lindner dovrà sentire rompersi la propria, prima o poi. Respinge anche l’idea – avanzata da Draghi – di imporre un tetto al prezzo dell’energia, in specifico del gas (non sia mai detto che si possa “limitare il mercato”…). Perché «Si rischia che la parte russa interrompa i flussi. Se modifichiamo unilateralmente i contratti, Putin potrebbe reagire stoppando di netto le forniture. Non so quali sarebbero le conseguenze per l’Unione europea, ma per la Germania non ci sarebbe solo una perdita di benessere o una riduzione della crescita. Certi settori industriali non sarebbero più in grado di produrre nel Paese».

Ma la Germania può fare quel che le serve, gli altri no. Punto. E dunque “no” secco anche all’ipotesi emettere debito comune europeo (come per il Covid) per contrastare la prevista caduta del Pil. «Ci dev’essere una connessione stretta tra il debito pubblico, i rischi finanziari e i responsabili politici nazionali. Non vedo vantaggi nel condividere i rischi prima di averli ridotti. La responsabilità degli Stati dell’unione monetaria è sulla loro finanza pubblica. Non siamo a favore di un’Unione europea che continui a emettere bond…».

L’unica “idea” che si dice pronto ad accettare è quella di sequestrare le riserve russe nelle banche occidentali. Un furto a danni di terzi si può fare, ma togliere la garrota intorno ai paesi con più debito… quello proprio no.

Con questa gente sul ponte di comando non si può affrontare neanche un’increspatura del mare. Figuriamoci la tempesta perfetta che si va addensando nell’area euro-atlantica...

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