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08/06/2022

“Ammuina” europea sul salario minimo

Chi sperava in una parola di moderata saggezza da parte dell’Unione Europea sarà rimasto ancora una volta deluso.

Il “Trilogo” – l’organismo informale composto da Commissione europea, Consiglio Ue e Parlamento europeo – ha approvato la scorsa notte una direttiva che non obbliga gli Stati membri a cambiare i propri sistemi già esistenti, ma che invita a promuovere salari “adeguati ed equi” ai lavoratori.

Al momento, il minimum wage è previsto per legge in 21 dei 27 paesi membri. Quelli che non ce l’hanno sono anche molto diversi tra loro: Italia, Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia. Tranne Cipro, insomma, hanno già tutti salari molto più alti di quelli italiani.

La trattativa è stata lunga e si è conclusa appunto nella notte. Si capisce che la “resistenza” infame è arrivata soprattutto dal nostro governo, alla guida del più grande dei sei paesi “in difetto”.

Lo si capisce dalle formule usate nel comunicato finale. L’obiettivo viene indicato nel cercare di “garantire una vita dignitosa ai lavoratori riducendo la povertà lavorativa”. Ma viene anche promossa la contrattazione collettiva per la determinazione dei salari e livelli adeguati di salari minimi legali, e prevede la presentazione di relazioni sulla copertura e l’adeguatezza dei salari minimi da parte degli Stati membri.

Un compromesso tra l’indicazione (o semplice “raccomandazione”) ai governi nazionali di verificare se le retribuzioni reali sono in grado di “garantire una vita dignitosa”, abbandonando la finta neutralità della politica di fronte a una “contrattazione privata tra le parti sociali” che non garantisce più da decenni proprio quell’obiettivo.

Ma stiamo parlando pur sempre del “gotha” politico della borghesia continentale, che sta giostrando i suoi equilibri interni tra la necessità di garantire a tutte le imprese una “concorrenza” a parità di condizioni e la volontà di non disturbare troppo le imprese nazionali che fin qui hanno beneficiato alla grande dei bassi salari. Italia in testa.

Naturalmente i 27 paesi dell’Unione hanno sia un costo della vita differente che salari minimi corrispondenti, e quindi l’obiettivo della “vita dignitosa” non è una misura uguale per tutti.

In Italia, secondo l’Inps, oltre 5 milioni di lavoratori dipendenti guadagnano meno di 1.000 euro al mese mentre 4,5 milioni vengono pagati meno di 9 euro lordi all’ora e oltre 2 milioni di lavoratori percepiscono 6 euro lordi all’ora.

Nel resto della UE il salario minimo legale oscilla grandemente, tra i 332 euro della Bulgaria e i circa 2.200 euro del Lussemburgo. La Svizzera, che è formalmente “extra-UE”, ha un minimo di 3.300 franchi (circa 3.000 euro).

Chiaramente una disparità che arriva anche a 10 volte ha conseguenze reali sui livelli di vita, perché una serie di prezzi fondamentali – dalla benzina al grano – hanno uno standard internazionale piuttosto unico, con variazioni soltanto nella tassazione nazionale (le nostre “accise”, Iva, ecc). Per capirci: un litro di benzina costa in Bulgaria 1,6 euro, in Italia 1,9, in Spagna 2 euro e in Svizzera 2,01. Non tutti possono insomma permettersi di fare un pieno al mese...

Poi ci sono i meandri dell’“economia informale” – ancora molto articolati nei paesi meno ricchi (Pigs e Balcani) – che permettono anche a chi ha il minimum wage più basso di “svoltare”, in qualche modo.

Ai governi nazionali viene insomma chiesto di monitorare da vicino queste dinamiche in modo da fornire un indicatore attendibile circa il livello della retribuzione minima nazionale. Senza disturbare le “dinamiche del mercato”, ovviamente...

La direttiva sarà pubblicata a giorni nella Gazzetta Ufficiale europea, ma gli Stati avranno due anni per applicarla. E qui partono tutte le manovre – parliamo del nostro paese – per ritardare al massimo l’introduzione di questo istituto che può aiutare anche la contrattazione a uscire dal ricatto feroce di rapporti di forza sociali negativi (se hai già un “pavimento” quasi dignitoso, puoi provare a ottenere di più).

Si sa che il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha già messo le mani avanti affermando che “la questione non ci riguarda; nei contratti firmati da Confindustria siamo già oltre i 9 euro l’ora” (il livello fissato dalla proposta dell’ex ministra Catalfo).

Le cose da sapere sono due, però. La prima è che Confindustria è il “sindacato” delle imprese, quello che siede ai tavoli di contrattazione di fronte ai sindacati. E non tutte le aziende sono iscritte all’associazione (Marchionne ne uscì ai tempi del “modello Pomigliano”, per adottare un contratto di lavoro peggiore), quindi non tutte applicano i livelli salariali fissati dai contratti.

La seconda cosa è che Bonomi, furbescamente, omette di precisare se quei “9 euro” siano netti o lordi. La differenza, per un lavoratore, è piuttosto forte (anche il 30% in meno, nel secondo caso).

Non a caso Bonomi insiste soltanto sul taglio delle tasse e del “cuneo fiscale” (i contributi previdenziali, ecc., che incidono sul costo del lavoro finale). Un modo di pretendere che eventuali aumenti delle buste paga nette siano a carico dello Stato e non delle imprese.

E dire che i salari italiani “contrattualizzati” sono riconosciuti ormai da tutti come i più bassi d’Europa, al punto di esser passati – in appena 20 anni – da 5.000 euro più della media OCSE (i 30 paesi più industrializzati del mondo) a 5.000 euro in meno. Come si vede da questo grafico dell’OCSE, appunto. In pratica, l’Italia sta uscendo dal novero dei paesi più industrializzati...


Ma fin qui abbiamo descritto la situazione “migliore”, quella dei lavoratori con regolare contratto a tempo pieno e indeterminato. Dietro di loro c’è la massa dei working poor – che l’Inps, come detto, quantifica in oltre 5 milioni – che pur spaccandosi la schiena tutti i giorni proprio non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena.

Del resto lo sappiamo da sempre. Padroni e governi – sia “nazionali” che sovranazionali – non regalano nulla. Anzi, cercano di appropriarsi di una fetta sempre più grande della ricchezza prodotta. Anche il “salario minimo europeo” rientra in questa cornice.

Se si vuole quel che è giusto, bisogna chiederlo con una certa forza...

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