A oltre tre mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, appare con sempre maggiore evidenza la totale confusione mentale esistente in campo occidentale. Siamo spinti, nostro malgrado, a rimpiangere la lucidità di strateghi come Kissinger i quali, pur macchiandosi di crimini contro l’umanità in America Latina (basti ricordare l’Operazione Condor e il golpe in Cile) ed altrove, avevano ben altra capacità di percepire gli interessi effettivi e di operare scelte adeguate.
Nonostante i lodevoli tentativi del New York Times e di altri di ricondurre il dibattito alla realtà, i penosi leader dell’Occidente appaiono in preda a una sorta di hybris. Ne è prova inconfutabile il loro continuo inneggiare a una vittoria totale dell’Ucraina che è completamente irraggiungibile.
Del tutto a digiuno di questioni militari i vari Boris Johnson, von der Leyen, Letta & C. dovrebbero leggere attentamente i commenti che da tempo seri professionisti della materia come i generali Fabio Mini, Bertolini, Tricarico ed altri dedicano alla guerra in Ucraina. Si prenda ad esempio l’articolo nel quale Fabio Mini, sul Fatto Quotidiano di lunedì 30 maggio, ha svolto un’interessante analisi sulla campagna in corso per trarre la conclusione che le incessanti richieste di aiuti militari sempre più sofisticati rivolti dal governo ucraino alla NATO hanno come unico effetto quello di prolungare la guerra, e quindi “di accelerare un processo distruttivo e impedire qualsiasi negoziato che prenderebbe tempo”. La scellerata illusione di una vittoria sul campo alimentata da leader occidentali evidentemente incompetenti e in preda ad ebbrezza di varia natura porta quindi al risultato di allontanare la pace, rendere possibile un’escalation incontrollabile e arrecare gravi danni alla popolazione ucraina che è la prima vittima della guerra in corso.
Va del pari respinta l’infantile narrativa fatta propria da questi leader secondo i quali tutti i territori ucraini sarebbero oggetto di un’occupazione straniera. Se infatti resta ingiustificabile la decisione di Putin di scatenare l’invasione, occorre rendersi conto del fatto che buona parte della popolazione del Donbass, per non parlare della Crimea, sta dalla parte della Russia, come ha dimostrato a suo tempo proclamando l’indipendenza delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e subendo per questo, per sette lunghi anni, le sanguinose rappresaglie del governo ucraino, che continuano del resto anche oggi. Il problema quindi è complesso e va analizzato con cura per trovare una soluzione.
Di certo c'è che la dabbenaggine dei leader occidentali allontana la soluzione pacifica del conflitto, illudendo il governo ucraino, comprese le sue componenti nazifasciste e alimentandone il revanscismo, con lo scopo dichiarato di logorare la Russia creando un nuovo Afghanistan alle porte dell’Europa. Obiettivo dichiarato da Hillary Clinton ma evidentemente condiviso, in modo autolesionistico, anche da vari degli attuali dirigenti politici europei. Il tutto a beneficio esclusivo degli Stati Uniti che da sempre vogliono impedire la saldatura, che è nelle cose, tra la Russia, l’Europa e la Cina, che significherebbe per certi versi l’emarginazione delle potenze anglosassoni forti del controllo dei mari, il che spiega la posizione estremista dei britannici, che fra l’altro non fanno più parte da tempo dell’Unione europea.
Ma non è solo per le loro davvero carenti cognizioni in materia di strategia bellica, e più in generale di geopolitica, che i capi dell’Occidente lasciano a desiderare. Anche sul piano delle strategie di penetrazione economica e commerciale essi, in questo caso soprattutto gli statunitensi, risultano del tutto fallimentari. Basti pensare alle proposte, ben poco allettanti, che sono stati in grado di offrire ai Paesi asiatici per indurli ad abbandonare la cooperazione colla Cina, strutturata da un accordo importante come quello per un partenariato economico globale regionale (Rcep), per abbracciare il fumoso e inconsistente Accordo quadro economico indo-pacifico (Ipef) che stanno facendo di tutto per promuovere in alternativa agli altre due ma senza poter offrire alcuna contropartita concreta, neanche negli usuali e minimali termini della riduzione delle tariffe commerciali.
In conclusione l’impressione penosa che ne risulta delle potenze occidentali è quella di una frustrazione e irritazione senza fine di fronte a tanti segnali della loro perdita di ruolo egemone sul pianeta di fronte all’ascesa di altri Stati, in primo luogo la Cina. Sarebbe invece necessario che gli Stati europei, e l’Italia in primo luogo, prendessero atto della mutata costellazione del potere, per affrontare in modo costruttivo la nuova situazione internazionale, evitando di dare l’esca a incendi della prateria che potrebbero vederli diventare le prime vittime, più o meno inconsapevoli. E soprattutto evitare di subire costantemente in modo passivo e autolesionistico le pensate della NATO, a cominciare dalla revisione del suo concetto strategico che dovrebbe essere approvata nella riunione di fine giugno a Madrid, che con ogni probabilità stabilirà che l’Organizzazione dovrà occuparsi anche e soprattutto della Cina, principale competitor degli Stati Uniti su scala mondiale, ma non necessariamente nemico dell’Europa, oggi più che mai in cerca di una sua autonoma identità del tutto inesistente.
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