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18/06/2022

Trintignant, l’arte dell’assenza

di Vincenzo Morvillo

Con Jean-Louis Trintignant, morto ieri all’età di 91 anni in conseguenza di un cancro che lo affliggeva da tempo, si spegne una delle più intense sensibilità attoriali che mai abbiano colpito la mia immaginazione. Di spettatore e di critico.

Forse, il più grande attore in sottrazione recitativa cui ci sia stato dato di assistere. Al punto, che la sua potrebbe definirsi, parafrasando Carmelo Bene, la tecnica dell’assenza.

Un’assenza talmente gigantesca da invadere il grande schermo o il palcoscenico.

Basti pensare a Costa-Gavras che, avendo messo al suo giudice istruttore in “Z – L’Orgia del Potere” un paio di occhiali scuri, per esaltarne il profilo anonimo del burocrate, se ne pentì quando si rese conto che Trintignant sembrava sparire tra la folla.

Interprete rarefatto ed intimo, quasi osceno nel suo scavo emotivo, al punto da denudare scabrosamente il nucleo più recondito cui attingere la passione e la verità del personaggio, Trintignant non si limitava alla superficie della rappresentazione.

Il suo lavoro era l’esserci, nella tela psicologica ed emotiva del personaggio che veniva a costruirsi, in tutte le sue contraddizioni!

La sua raffinatissima arte era decisamente poco incline al sistema strasberghiano oggi imperante, tutto proiettato sulla grammatica dell’immedesimazione, funzionale al protagonismo spettacolare e allo star-system liberista.

Antinaturalista e brechtiano, era dotato di un tratto recitativo straniante ed iconico, capace di una narrazione che potremmo definire confidenziale, addirittura confessionale con lo spettatore.

Mai manicheo od ideologico. Schivo e complesso, sfaccettato e meditabondo, malinconico e solitario, Trintignant ha lasciato una testimonianza unica nel mondo del cinema e del teatro.

Un patrimonio di gesti e di segni, di toni ed espressioni, di volti e di corpi, che dovrebbero andare a costituire un manuale di studio, per chiunque voglia approcciare al difficilissimo mestiere dell’Attore.

Che è altro dalla volgare, pornografica, eiaculatoria mania di apparire.

Un lavoro di indagine del sé e del mondo, delle relazioni e del proprio contesto storico, politico, sociale e culturale che dovrebbero fare dell’attore stesso giammai un divo individualista. Ovvero il burattino del circo di Mangiafuoco e dell’industria dell’intrattenimento.

Bensì la scheggia di uno specchio più largo – quali possono e debbono tornare ad essere il teatro ed il cinema – in cui vada a delinearsi l’etica politica dell’arte.

Il riflettersi del singolo e della collettività. Ad uno con l’indagine e la critica della propria epoca e delle strutture di potere.

Trintignant, attore superlativo, fu anche e soprattutto questo, nel mondo occidentale e capitalistico.

Dove il cinema è oramai ridotto a camera di compensazione dell‘architrave reazionaria e ad anello insulso della catena del valore neoliberista.

Mentre il teatro non è più la crudele, artaudiana, rivelazione della vita, ma una pantomima della stessa.

Una pantomima borghese e gastronomica, un pranzo alla Buñuel, alla cui tavola imbandita rimasticare stancamente opere più volte vomitate sui palchi di mezzo mondo.

Trintignant fu l’attore di un “altro” cinema e di un “altro” teatro.

Basterebbe citare qui pellicole come il già menzionato “Z -L’orgia del potere” di Costa-Gavras, “Il sorpasso” di Dino Risi, “Estate violenta” di Valerio Zurlini, “Metti una sera a cena” di Giusrppe Patroni Grifi, “La mia notte con Maud” di Rohmer, “Il Conformista” di Bertolucci, “Film Rosso” di Kieślowski, “Amour” di Haneke. E tanti tanti altri.

Ciao Jean-Louis. Grazie per la passione che ci hai regalato!

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