Per una singolare coincidenza con quanto avvenuto in Ucraina, anche il conflitto in Georgia nell’agosto 2008 – la “guerra degli otto giorni” – esplose in concomitanza con le Olimpiadi a Pechino.
Come oggi, i paesi dell’Occidente capitalista erano alle prese “con la crisi”, in quel caso con l’onda lunga della crisi finanziaria esplosa nel 2007 negli Stati Uniti e diffusasi nel 2008 anche in Europa. Poco più di un mese dopo, falliva la Lehman Brothers. Ma nella ex URSS l’aria era resa pesante da altri fattori.
L’8 agosto del 2008 le truppe della Georgia, repubblica ex sovietica diventata indipendente nel 1991 con la dissoluzione dell’URSS, attaccano le due repubbliche indipendenti dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud abitate da popolazioni russofone e sganciatesi dalla Georgia nel 1992 come effetto della dissoluzione dell’URSS nel dicembre 1991.
La popolazione dell’Abkhazia (240.000 abitanti) è composta principalmente da abkhazi, georgiani (per lo più mingreliani), armeni di Hamshemin e russi. La popolazione dell’Ossezia del Sud (82.000 abitanti) è composta al 70% da osseti, il 22% da georgiani, il resto da altre minoranza, russi inclusi.
I primi scontri fra i militari georgiani e le forze delle due repubbliche separatiste scoppiarono all’inizio di agosto, ma fu il lancio di una campagna aerea e terrestre da parte di Tiblisi contro la principale città dell’Ossezia del sud, Tskhinvali, che scatenò il conflitto nella notte fra il 7 e l’8 agosto.
La Russia aveva già sul terreno un contingente militare con missione di peacekeeping. In Ossezia sono infatti presenti diversi soldati russi nel ruolo di osservatori del cessate il fuoco del 1992 coordinato dall’Osce.
L’attacco militare coinvolse rapidamente e direttamente le truppe russe e portò ad un intervento militare della Russia che ben presto sconfisse le forze georgiane fino a ridosso della capitale Tbilisi.
Dopo solo otto giorni di guerra, il 16 agosto si giunse da un cessate il fuoco mediato dalla Francia e ad una tregua che perdura tuttora. Un rapporto indipendente commissionato dall’Ue, nel 2009, rivelava che la “Georgia aveva iniziato il conflitto con la Russia”, ma che Mosca aveva “reagito in modo sproporzionato”. All’epoca pochi compresero le ripercussioni politiche che avrebbe avuto il breve conflitto in Georgia.
Nel 2007, l’allora Segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer dichiarò che da lì a due anni, nel 2009, avrebbe voluto “vedere più paesi nella Nato”, indicando che era “importante avvicinarsi ad onorare le ambizioni” della Georgia e della spinta riformatrice innescata dalla “rivoluzione delle rose” del 2003 (una delle famose “rivoluzioni colorate” promosse dagli apparati Usa).
La Georgia nel 2008 aveva chiesto di aderire alla Nato. Gli Usa (amministrazione Bush jr) erano d’accordo, ma le principali potenze europee della Nato (Francia, Germania, Italia) nel vertice Nato di Bucarest – aprile 2008 – si opposero e la cosa non andò in porto. La Georgia aveva dunque lo status di partnerhisp con la Nato ma non quello di membro a tutti gli effetti.
Per forzare la mano alla Nato, il presidente georgiano di allora, Shakasvili (poi fuggito in Ucraina perché inseguito da un mandato di cattura, diventando addirittura un ministro ndr), tenta la carta del fatto compiuto e attacca militarmente Abkhazia e Ossezia del Sud. Di fronte all’intervento russo a fianco delle due repubbliche indipendentiste, Shakasvili invoca l’art. 5 della Nato e chiede di essere sostenuto militarmente dall’Alleanza Atlantica. Gli Stati Uniti si dicono disponibili a intervenire ma ancora una volta gli stati europei della Nato si mettono di traverso per non correre il rischio di scatenare una guerra con la Russia a causa di un “dittatorello georgiano” messo al potere dagli Stati Uniti.
Si manifesta così apertamente una seria divergenza tra i paesi della Nato.
Mosca ritirerà tutte le sue truppe dalla Georgia due mesi dopo, nell’ottobre del 2008, mentre il 26 agosto riconosce l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia quali Stati indipendenti basandosi, sotto il profilo giuridico internazionale, sull’allora recente precedente del Kosovo. Le due repubbliche a oggi sono riconosciute da Russia, Venezuela, Nicaragua, Siria, da una serie di piccoli stati e dalle Repubbliche Popolari del Donbass dichiaratesi indipendenti nel 2014.
Dal 2014 la Georgia ha firmato un accordo di associazione con la Ue che adesso è all’ordine del giorno a Bruxelles insieme all’analoga richiesta da parte della Moldavia e dell’Ucraina. Ma la richiesta di adesione alla Ue, negli scorsi anni, non era vista plebiscitariamente della popolazione georgiana come si vorrebbe far credere. I georgiani favorevoli all’Unione euroasiatica guidata dalla Russia erano passati dall’11% nel 2013 al 31% dell’agosto del 2015. Non si dispone di sondaggi più recenti.
Dal 2016 nei pressi della capitale georgiana Tbilisi, è operativo il centro di formazione Nato. La struttura opera per perfezionare da un lato la compatibilità delle forze armate georgiane con gli standard dell’Alleanza, dall’altro la capacità di difesa del paese in caso di necessità potenziando cyber-defense, sicurezza via terra, aria e mare, servizi d’intelligence ed esercitazioni militari congiunte.
Il 7 marzo 2022 a Bruxelles è arrivato il primo sì da parte dei 27 stati membri della Ue sul processo di adesione di Ucraina, Moldavia e Georgia all’Unione europea.
La Georgia dunque pur non avendo ancora aderito alla Nato, già da tempo ospita istruttori militari e strutture Nato e partecipa a manovre militari della Nato... nel cortile di casa di Mosca.
Un dettaglio. L’attuale presidente della Georgia, recentemente ricevuta da Draghi in Italia, è l’ex ambasciatrice francese in quel paese, un fattore che – insieme alla vicenda Shakasvili – dà l’idea della scarsa credibilità delle genuinità delle dinamiche politiche interne in Georgia.
Vedi la prima puntata: La guerra contro la Jugoslavia nel 1999
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