Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

15/06/2022

Una guerra incubata da più di venti anni/1. L’attacco alla Jugoslavia nel 1999

Una narrazione strumentale o omissiva ci racconta che quella iniziata in Ucraina il 24 febbraio è la prima guerra in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nulla di più falso, soprattutto perché affermare questo significa negare ogni valutazione dovuta e necessaria sulle cause dell’escalation impressa dalla Russia con l’attacco militare all’Ucraina.

In poco più di venti anni nei rapporti tra il blocco Nato e la Russia si sono andate accumulando contraddizioni, frustrazioni, senso di rivalsa, guerre ibride, processi di riarmo e forniture di armamenti, ma anche processi di ridefinizione della geografia politica ed economica del mondo, che sono deflagrate come tali il 24 febbraio 2022.

Provare a ricostruire queste tappe può essere utile per la comprensione della guerra così come ce l’abbiamo sotto gli occhi oggi. I sostenitori del partito interventista nella guerra in Ucraina, sin dall’inizio – vedi l’intervento di Draghi in Parlamento – hanno negato qualsiasi nesso tra il passato e il presente, anzi sostengono che provare a visualizzarlo e discuterne significa collaborare con l’invasione russa. In realtà è l’esatto contrario.

*****

Prima tappa: la guerra della Nato contro la Federazione Jugoslava

C’è stata una guerra in Europa ed è avvenuta nella primavera del 1999, esattamente 23 anni fa. La guerra, in quel caso, fu unilateralmente scatenata dalla Nato, senza alcuna legittimazione da parte dell’Onu. Bersaglio della guerra è stata la Federazione Jugoslava, ridotta alla sola Serbia-Montenegro, dopo le secessioni di Croazia, Slovenia, Bosnia e Macedonia negli anni precedenti.

Obiettivo dichiarato dei bombardamenti della Nato e di una campagna mass mediatica guerrafondaia, isterica e slavofoba come quella che vediamo in queste settimane, era l’imposizione alla Federazione Jugoslava della secessione del Kosovo, una provincia della Serbia abitata da una maggioranza albanese e musulmana.

Anche allora fu bombardata una capitale europea – Belgrado – furono bombardati palazzi, i ponti sul Danubio, fabbriche come la Zastava di Kragujevac, centrali elettriche, impianti chimici e petrolchimici come quelli di Pancevo, la sede della televisione serba a Belgrado (sedici morti tra giornalisti e personale), fu bombardata dalla Nato anche l’ambasciata cinese a Belgrado e infine furono bombardate dagli aerei della Nato anche treni e colonne di profughi in fuga con decine di civili morti e feriti. I confini della Federazione Jugoslava furono modificati con la forza militare della Nato. Qualche anno dopo il Kosovo, liberato a forza di bombe, venne dichiarato e riconosciuto come repubblica indipendente.

Il 1999 e la guerra della Nato in Jugoslavia segnarono uno spartiacque per molti attori di quel tragico evento: per la Nato, per l’Unione Europea e per la Russia.

Nel marzo del 1999 tre paesi dell’ex Patto di Varsavia – Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca – entrarono nella Nato (e solo successivamente nella Ue) cominciando quella espansione a Est che da molti viene indicata come concausa della guerra in Ucraina materializzata dall’invasione russa. A giugno del 1999, il vertice della Nato celebra i cinquanta anni della sua fondazione e ridefinisce radicalmente le sue funzioni, passando da un patto militare formalmente difensivo ad un apparato politico/militare con dichiarata funzione offensiva e di proiezione strategica nelle aree di crisi esterne ai paesi aderenti al trattato ma ritenute strategiche per gli interessi occidentali.

La guerra in Jugoslavia era stata la sperimentazione sul campo e la sanzione ufficiale di cambiamento radicale di dottrina e funzione militare della Nato. Cinque anni dopo, nel 2004, aderiranno alla Nato e poi alla Ue anche altri paesi dell’Europa dell’Est come Romania, Bulgaria, Slovacchia e Repubbliche Baltiche (Lituania, Estonia, Lettonia) queste ultime sui confini della Russia. Bruxelles accettò supinamente o con enorme superficialità il diktat statunitense secondo cui i paesi dell’Europa dell’Est per diventare membri dell’Unione Europea dovessero contestualmente aderire alla Nato.

Poco dopo aderiranno alla Ue e alla Nato anche Slovenia e Croazia, mentre era aperta la discussione per l’adesione di Montenegro, Albania, Moldavia. Per l’Ucraina occorrerà attendere il 2010. La stessa Russia nel 2006 chiese – con Putin presidente – di aderire alla Nato, ma la presidenza Usa (Bush jr.) rispose picche, limitandosi alla creazione di un “Consiglio Nato-Russia” come vuota camera di compensazione per eventuali problemi. In compenso la Russia era stata ammessa al G8 di cui rimarrà membro fino al 2014.

Per l’Unione Europea, la guerra contro la Jugoslavia del 1999 è stata una “guerra costituente”.

I governi della Ue furono messi dagli Usa di fronte ad una guerra in Europa di cui avrebbero fatto volentieri a meno essendo impegnati nel processo di costruzione dell’integrazione economica/monetaria (a gennaio del 2000 verrà introdotto ufficialmente l’Euro). Una volta scaldati i motori e i mass media della guerra, i paesi dell’Unione Europea (soprattutto Francia, Gran Bretagna, Italia e perfino la Germania) parteciparono attivamente e volenterosamente ai bombardamenti su Belgrado e la ex Jugoslavia. Non solo.

I bombardamenti della Nato su Belgrado e le città jugoslave furono la conferma che non sempre la parola magica “diplomazia” corrisponde alla prevenzione o alla soluzione delle guerre.

Nel caso del Kosovo la diplomazia assunse i contorni di una vera e propria trappola apparecchiata dagli Stati Uniti per Belgrado, con protagonisti il segretario di Stato Usa Madeleine Albright e il negoziatore speciale statunitense Richard Hoolbrook, rivelandone la totale spregiudicatezza.

Il famoso Trattato di Rambouillet che a febbraio 1999 avrebbe dovuto mettere fine alla guerra civile in Kosovo, in realtà conteneva un allegato seminascosto che, se approvato, avrebbe consentito alle truppe della Nato di dislocarsi su tutto il territorio della Serbia, in pratica una sorta di occupazione. La Serbia non accettò quel trattato e sulla base di un “eccidio” rivelatosi poi fasullo – quello di Racak – la notte del 24 marzo i missili e i bombardieri dei paesi Nato cominciarono a colpire Belgrado, le città e le infrastrutture della Serbia.

I paesi europei parteciparono attivamente a questi bombardamenti, e lo fecero per cercare di dimostrare un’ultima volta agli Usa che una guerra in Europa in futuro non sarebbe stata più possibile imporla senza tenere conto degli interessi europei, anche dentro la Nato. La dimostrazione di questa “divaricazione interna” alla Nato si è palesata nove anni dopo con il conflitto in Georgia. La guerra contro la Jugoslavia può essere considerata come una delle crisi “costituenti” del processo di costruzione del polo imperialista europeo intorno alla Ue. Secondo il Premio Nobel per la letteratura Peter Handke, con la guerra in Jugoslavia “è morta l’Europa ed è nata l’Unione Europea”. È una definizione che non potrebbe essere più pertinente.

La Russia nel 1999 era un paese socialmente devastato, economicamente subordinato e militarmente dismesso a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991. Negli anni Novanta la Russia è stato l’unico paese al mondo che ha perso popolazione in tempo di pace, e questo a causa di malattie e miseria imposte dal micidiale combinato disposto tra lo smantellamento della struttura economico/sociale dell’URSS e le misure introdotte dal liberismo più selvaggio. Un combinato disposto che ha prodotto la nascita degli oligarchi cullati e vezzeggiati dall’occidente come esempio di modernizzazione del sistema economico russo.

La Russia del 1999, quando ci fu l’aggressione Nato alla Federazione Jugoslava, era governata da un presidente fantoccio ed ubriacone imposto dagli Usa: Boris Eltsin. Eltsin veniva e viene celebrato in Occidente come il “primo presidente democratico” della Russia post sovietica, nonostante nel 1993 avesse fatto bombardare dai carri armati il Parlamento di Mosca che gli si era ribellato contro.

Di fronte all’aggressione Nato alla Serbia, la Russia avanzò qualche timida protesta e inviò un contingente di blindati e carri armati a salvaguardia della minoranza serba in Kosovo. Il contingente fu ritirato quasi subito e sostituito dalle truppe dei paesi Nato nel quadro della missione Kfor.

Alla fine del 1999, nelle classi dirigenti della Russia, quanto accaduto in Jugoslavia, poi l’adesione di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca alla Nato ed infine il cambiamento radicale di dottrina strategica della Nato stessa, suonò come un pesante campanello d’allarme: la Nato avrebbe puntato apertamente verso Est fino ad arrivare al cortile di casa della Russia nel cosiddetto spazio post-sovietico. L’onda lunga sul come la Russia postsovietica ha vissuto la guerra della Nato contro la Federazione Jugoslava, è incubata per un ventennio ed è venuta alla luce in questi tempi. Non solo.

Parallelamente a quanto avveniva nel cuore dell’Europa, nell’area asiatica post sovietica negli anni Novanta si è combattuta una ferocissima guerra sui corridoi energetici (gasdotti, oleodotti etc,) che dovevano portare sui mercati dell’Occidente le risorse energetiche presenti in enormi quantità in paesi come Kazakistan, Azerbaijan, Uzbekistan, Turkmenistan.

I tracciati sui quali dovevano passare gli oleodotti rispondevano a due esigenze contrapposte: per gli Usa dovevano tagliare fuori paesi come la Russia e l’Iran e sfociare sul Mediterraneo (a Ceyhan in Turchia). Per la Russia la possibilità di far arrivare gas e petrolio dall’Asia centrale ai porti russi sul Mar Nero come Novorossik era questione vitale. Intorno ai tracciati degli oleodotti si sono combattuti anche conflitti sanguinosi per “stabilizzare” i territori di attraversamento, soprattutto in Cecenia e contro i kurdi residenti in Turchia.

Alla fine del 1999 in Russia viene estromesso dal potere Boris Eltsin, il presidente-fantoccio degli Usa e dell’Occidente, e viene eletto Presidente l’allora Primo Ministro: Vladimir Putin. Putin si ritrova tra le mani una Russia devastata socialmente, subalterna economicamente, debole politicamente e militarmente e con una crescente voglia di rivalsa.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento