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15/05/2023

Chi non vuole la guerra, prepari la pace

L’inviato speciale della Cina per gli affari euroasiatici, Li Hui, inizierà a visitare Ucraina, Polonia, Francia, Germania e Russia a partire da lunedì 15 maggio.

Si tratta della concretizzazione dell’impegno cinese come mediatrice nell’attuale conflitto ucraino, annunciato durante la telefonata tra Xi Jinping e Zelensky il 26 aprile scorso.

Ad annunciare l’inizio dell’importante tour diplomatico è stato il portavoce del Ministro degli Esteri della Repubblica Popolare, Wang Wenbin, in una conferenza stampa lo scorso venerdì, lo riferisce il sito d’informazione cinese in lingua inglese Global Times.

Wang ha ricordato l’approccio cinese tenuto da Xi Jinping sulle cui basi è stata formalizzata la “Posizione sulla Risoluzione Politica della Crisi Ucraina”.

Li è un veterano della diplomazia di Pechino e ricopre il ruolo di inviato speciale per le questioni euroasiatiche dal 2019. È stato prima ambasciatore cinese in Kazakistan, dal 1997 al 1999, e poi dal 2009 al 2019 ha servito come rappresentante diplomatico a Mosca.

Il tour diplomatico di Li è teso ad aprire la via a trattative di pace facendo da mediatore tra le varie parti che non intendono parlarsi direttamente, con un lavorio di cucitura diplomatica propedeutico all’avvio di proprie trattative.

I successi cinesi in questo campo, con la normalizzazione delle relazioni tra Iran e Arabia Saudita ed il dialogo trilaterale tra Cina, Pakistan e l’Emirato Afghano a guida Talebana, sono risultati concreti che provano l'impegno di Pechino a porsi come game changer diplomatico all’interno di una cornice multilaterale delle relazioni internazionali che viene costantemente proposta e soprattutto praticata, per quanto spinosi possano essere i dossier che affronta.

Secondo quanto riferito dall’agenzia Ansa rispetto alla conferenza stampa di venerdì: «La situazione, ha concluso Wang, sta diventando “sempre più complessa”, ma “la Cina è disposta a continuare a svolgere un ruolo costruttivo per raggiungere un maggiore consenso internazionale sul cessate il fuoco, sulla fine della guerra, sull’apertura di colloqui di pace e per evitare l’escalation della situazione, in modo da contribuire alla promozione della soluzione politica della crisi ucraina».

Lo sforzo diplomatico cinese per una risoluzione politica al conflitto si affianca a quella dell’attuale Pontefice, che lo scorso sabato ha ricevuto proprio il leader ucraino.

Un incontro preparato da tempo dalla diplomazia vaticana e descritto in maniera particolareggiata da Nello Scavo in un articolo su L’Avvenire, con un dietro le quinte che fa luce sulla diplomazia “segreta” attuata fin dall’inizio del conflitto, con un dialogo tra la Santa Sede e le autorità ucraine che non si è mai interrotto, affiancandosi alla diplomazia “personale del Papa”.

Una diplomazia “personale”, aggiungiamo, probabilmente messa in campo anche per “smarcarsi” da una parte del mondo cattolico e delle sue gerarchie, secondo cui la Pax Christiana di fatto coinciderebbe con la Pax Atlantica.

L’efficace protagonismo del pontefice è fin qui emerso per ciò che comprende lo scambio dei prigionieri – 200 combattenti, su una lista di 300, sono stati scambiati il 22 settembre; poi, il 6 maggio, sono tornati in Ucraina 45 militari. Ma lo stesso è accaduto per la questione dei bambini ucraini in un primo momento trasferiti in Russia.

Ma è chiaro che l’opera di Bergoglio non si è fermata a questi aspetti, insieme ad altri interventi più classicamente caritatevoli che hanno portato ad un alleviamento delle condizioni della popolazione colpita dalla guerra, è corrisposto un preciso disegno di pace che per ora – almeno nelle dichiarazioni ufficiali – non sembra avere incontrato il consenso del presidente ucraino.

Conclude Nello Scavo nel sul pezzo: «Certo, le incomprensioni non sono mancate nel corso di questi 15 mesi, ma i gesti concreti del Papa e tante delle sue azioni ancora coperte dalla riservatezza gli hanno fatto guadagnare il rispetto e la riconoscenza di un intero popolo e della sua leadership, che ora spera di poterlo accogliere in Ucraina per portare fin dentro alla guerra le sue parole di pace».

Il leader ucraino è sembrato, per ora, più interessato a coinvolgere il Pontefice nelle proposte ucraine che non il contrario, riproponendo i 10 punti avanzati da Kiev, oltre a chiedere al Papa una più netta condanna dei “crimini russi” ed una minore equidistanza. Un tentativo esplicito – e stupido – di fargli “indossare l’elmetto”.

Secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidiano, le parole di Zelensky sarebbero piuttosto lapidarie: “Con tutto il rispetto per Sua Santità, non abbiamo bisogno di mediatori”.

Dopo l’incontro con il Pontefice il leader ucraino ha incontrato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali della Segreteria di Stato, una sorta di “ministro degli Esteri” del Vaticano.

Nelle righe diffuse dalla Santa Sede anche in questo incontro è stata ribadita la “necessità di continuare gli sforzi per raggiungere la Pace”, segno che anche di fronte al Niet di Zelensky la battaglia per la pace va avanti comunque.

È stato, per così dire, arato il terreno ed esplicitata – anche se in maniera riservata – una proposta che, come quella cinese più esplicita, non può essere ignorata dall’opinione pubblica del nostro Paese.

Che la diplomazia nelle sue più alte sfere sia al lavoro, anche sulla questione ucraina, l’ha confermato però anche l’incontro tenuto segreto a Vienna tra Jack Sullivan, Consigliere per la Sicurezza Nazionale statunitense, e il Ministero degli Esteri cinese Wang Yi definito “franco” e “costruttivo” dalla stessa Casa Bianca.

È chiaro che lo sforzo dell’incontro era ristabilire una linea di comunicazione tra le due super-potenze economiche per una gestione responsabile dei vari fronti di competizione scaturiti dall’attuale situazione. Ossia Taiwan, ma non solo.

Una relazione necessaria perché non si intravede nessuna “camera di compensazione” in grado di raffreddare le tensioni internazionali a nessun livello, mentre abbondano i piromani più propensi ad estendere l’incendio ucraino che a domarlo: i conservatori britannici, l’establishment politico dei Paesi Baltici, e la leadership polacca.

In questo contesto risulta perciò necessario sostenere gli sforzi per proposte di pace concrete e di risoluzione politica del conflitto ucraino da qualunque parte provengano, superare il coinvolgimento bellico dell’Italia nella guerra in specie con l’invio di armi, mettere in discussione l’approccio irresponsabile dell’apparato militar-‘intellettuale’ nostrano che rende la guerra al fianco della NATO, contro la Russia, l’unico orizzonte praticabile della “nostra politica” estera.

Sono temi al cuore del documento “fermare la guerra, imporre la pace” di cui siamo firmatari e promotori e che vogliamo mettere al centro del dibattito e dell’agenda politica.

Da laici ed atei vogliamo riprendere le parole del Papa dopo la preghiera del Regina Coeli di questa domenica: “con le armi non si otterrà mai la sicurezza e la stabilità, ma al contrario si continuerà a distruggere anche ogni speranza di pace”.

Sono parole di buon senso, come quelle pronunciate da Carlo Rovelli il Primo Maggio.

Parole che fanno letteralmente a pugni con ciò che pensa la maggior parte della classe politica istituzionale in Italia – da FdI al PD – ma che riflettono il sentimento ampiamente maggioritario del Paese.

Chi non vuole la guerra, dunque, prepari la pace.

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