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16/09/2024

In ritardo i piani sulle case green, con gli italiani in difficoltà anche sulle bollette

Come ogni anno, è stato pubblicato il rapporto sullo Stato dell’Unione per ciò che riguarda il settore dell’energia, uno dei temi che è stato centrale negli ultimi anni, in particolare per la decisione di tagliare col gas russo. L’autonomia energetica mantiene per Bruxelles una rilevanza strategica.

Una parte importante delle riflessioni del documento è stata dedicata all’efficientamento energetico, e dunque all’implementazione della direttiva sulle case green. Questa era stata oggetto di una lunga trattativa, che alla fine aveva notevolmente ridotto la portata della riforma.

Ad ogni modo, i costi enormi della ristrutturazione di milioni di immobili avevano messo in allarme vari governi, e tra questi anche quello italiano. Stretto dai vincoli del nuovo Patto di Stabilità, il margine per finanziare questo grande sforzo edilizio si presenta come pressoché nullo.

In Italia sia la proprietà di case sia la distribuzione di queste tra le classi energetiche peggiori è relativamente superiore rispetto ad altri grandi paesi europei. Questo ha ovviamente creato grande preoccupazione a Palazzo Chigi, che ha dovuto presto rivelare come sia Bruxelles a dettare legge, e non Roma.

Le scelte comunitarie rischiano di mandare in fallimento segmenti centrali dell’economia italiana (e dell’elettorato del centrodestra). I soldi per le ristrutturazioni non ci sono, ma se queste non verranno fatte le case perderanno di valore perché non conformi alle norme europee, con un effetto a catena sui mutui.

Ad ogni modo, tornando al rapporto UE, i problemi riguardanti la direttiva sulle case green non riguardano solo il nostro paese. “Gli sforzi per l’efficienza energetica dovranno fare un ulteriore passo avanti per raggiungere l’obiettivo di riduzione del consumo energetico finale dell’11,7 per cento entro il 2030”, dice la Commissione Europea.

Studiando le bozze aggiornate dei vari piani nazionali per l’energia e il clima, i dati indicano una riduzione di solo il 5,8% rispetto alle proiezioni per il 2030. “I tassi di ristrutturazione e l’elettrificazione delle apparecchiature di riscaldamento in generale rimangono troppo bassi” per raggiungere un parco edilizio decarbonizzato entro il 2050, che è l’obiettivo finale di Bruxelles.

Maros Sefcovic, vicepresidente esecutivo della Commissione per il Green Deal, ha tentato di spiegare la necessità di accelerare su questi interventi toccando il tasto delicato delle bollette. “Dovremmo attuare rapidamente la nuova politica e il nuovo quadro normativo”, ha detto, “per affrontare i prezzi elevati dell’energia”.

Proprio nel capitolo relativo all’Italia, questa questione assume grande rilevanza, anche se in maniera piuttosto controversa. Il documento sottolinea, infatti, che nel 2023 il 4,1% della popolazione ha avuto difficoltà a pagare le bollette, mentre il 9,5% non è stato in grado di mantenere la propria casa adeguatamente riscaldata durante l’inverno.

Tradotto, significa che un abitante su dieci nel Belpaese, ottava economia al mondo, ha dovuto rinunciare ad accendere i termosifoni, per affrontare spese ancora più imprescindibili dello stare al caldo. Un dato che, così riportato, rappresenta un autogol quantomeno comunicativo del “giardino europeo”, che non può nascondere il proprio evidente fallimento.

Kadri Simpson, Commissaria europea all’Energia, si è fregiata del fatto che “non siamo più in balia delle condutture di Putin”. Insomma, ci ha ricordato che per condurre la guerra della NATO, abbiamo rinunciato a forniture di energia a prezzi più bassi di quelli che paghiamo ora, e il costo è stato far infreddolire qualche milione di persone.

Ovviamente, tolto qualche inciso, non viene data nessuna spinta ad alzare i salari e a intervenire sul mercato degli affitti, ad esempio, per ridurre l’impatto delle bollette. Ma al di là del fatto che ogni parola di questa classe politica è una dichiarazione di incapacità e di odio antipopolare, il problema non riguarda solo le fasce più povere della UE, ma anche l’industria europea.

I vertici europei si preoccupano degli effetti “degli elevati differenziali dei prezzi dell’energia rispetto ad altri concorrenti industriali come gli Stati Uniti e delle potenziali dipendenze strategiche dalle tecnologie energetiche pulite”, innanzitutto quelle cinesi. Ci sono alcuni segnali positivi sulle rinnovabili, ma la realtà è che la UE sta perdendo la propria corsa tra i grandi attori globali.

Nel documento vengono citati anche i rapporti presentati da Enrico Letta e Mario Draghi, rispettivamente sul mercato unico e sulla competitività europea. In essi viene fatta presente l’urgenza di investire nella rete infrastrutturale dell’energia e nei collegamenti elettrici tra i paesi comunitari, anche per ampliare le opportunità di fornitura per le industrie.

Per fare questo, si guarda anche al mercato dell’idrogeno e, soprattutto, al nucleare. Il rapporto ricordo che lo scorso febbraio è stato lanciato dalla Commissione un programma che riunisce vari attori imprenditoriali per raggiungere la messa in funzione del primo mini-reattore modulare entro l’inizio degli anni Trenta.

Per dirla senza mezzi termini, l'UE parla di grandi mire attraverso una tecnologia che è poco più che un progetto, e che prima di una decina d’anni non potrebbe ad ogni modo portare effetti. Nel frattempo, saranno i settori popolari a pagare i costi di questa corsa alla competizione globale.

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