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20/04/2025

[Contributo al dibattito] - Il futuro della musica tra intelligenza artificiale, ologrammi e falsari digitali

Una delle comodità della modernità è pre-selezionare (per scelta consapevole o per opera di un algoritmo occulto) quali notizie farti pervenire tra milioni (di milioni) di notifiche giornaliere, anche se voi mi farete notare che, prima di questa modernità, il problema semplicemente non si sarebbe posto. Io intanto scopro che su Bandcamp mi ero dimenticato di smettere di seguire gli Hail Darkness, prodotto retrodoom “al femminile” che era arrivato persino a garbare al Belardi. E scopro l’uscita del “loro” nuovo disco/Ep/singolo. Perché smettere di seguirli, vi chiederete, specie se non ne avete seguito la storia (e ne avreste tutte le giustificazioni): perché gli Hail Darkness, per lo meno come appaiono, non esistono, essendo venuto fuori negli ultimi mesi come si tratti di un progetto integralmente partorito tramite intelligenza artificiale. E sia io che il Belardi ci eravamo cascati. Io a un certo punto avevo capito che l’IA c’entrava nelle copertine e negli arrangiamenti, immaginando, che so, qualcosa di analogo ad un filtro per un’immagine da pubblicare su Instagram. Invece no, pare che tutto, ma proprio tutto quello che si sente non sia mai stato suonato, ma nemmeno composto, da essere vivente (in senso biologico). Il che non ha proibito certo al promotore (o ai promotori) dell’operazione di averci guadagnato, almeno all’inizio. Dei veri e propri falsari digitali, visto che sulle prime il fatto che fosse tutto quanto “sintetico” non era mica dichiarato, se non sbaglio. Immagino comunque non ci abbiano guadagnato molto, retrorock e doom cinereo non sono roba di massa, nemmeno se fronteggiato da donne avvenenti (reali o immaginarie). Certo che su Bandcamp si può ancora pagare per queste uscite, mentre il vinile di Death Divine è andato esaurito da un pezzo. Pure Spotify qualche spiccio potrebbe averglielo fruttato. E non sarà mica l’unico caso.

Di recente stavo divorando l’ascolto di un album strumentale di Dead Jack & His Dry Bones, aka Jack Cortese, quello dei Bone Machine. “La risposta pontina (Lazio meridionale, NdA) a Nell’Ora Blu, dicevo trionfante a Ciccio, altro estimatore dello psychobilly della palude. Invece non avevo letto bene, anche questo era stato prodotto interamente con un applicativo di intelligenza artificiale. C’era scritto chiaramente, e semmai sono io che non so tenermi i soldi in tasca quando sono entusiasta. Ma tornando “agli” Hail Darkness, comunque, che si tratti di furbizia o di gusto quasi artistico per la provocazione (o persino di una burla come i Modigliani “ritrovati” nell’84), le implicazioni della faccenda credo siano evidenti. E, davvero, vanno oltre i problemi di una vecchia, micragnosa gloria del death europeo che non intende spendere per l’opera di un artista grafico. Questione di tempo, del pochissimo tempo rimasto prima che un fan dei Pestilence, invece che aspettare fiducioso un paio d’anni almeno per ascoltare un disco nuovo, magari nemmeno soddisfacente, possa chiedere all’interfaccia del proprio cellulare di generarne uno nel giro di una manciata di minuti. Magari col suono di un disco e il songwriting di un altro. E allora a questo punto potrebbero essere tanti artisti a venire soppiantati nella produzione di nuova musica. E vista la sacrosanta rosicata di Miyazaki e i video che già pullulano su YouTube, mi immagino che i legali di chi possiede pacchetti di diritti di artisti “iconici” stiano mettendo al lavoro gli avvocati per “proteggere” l’identità di un certo artista e continuare a guadagnare anche dalle riproduzioni integrali o parziali di espressioni artistiche riconducibili, che so, a Beatles, Queen, et caetera. Conoscendoli, sicuro i Metallica si saranno già parati il culo. Chissà se Patrick Mameli può permettersi gli stessi avvocati.

Quello della violazione del diritto d’autore è sicuramente un tema interessante: se io chiedo a un applicativo IA di sfornarmi il nuovo disco dei Nirvana (o anche solo ...And Justice For All con il basso) chi sarebbe il proprietario dei diritti? Io no di certo, ma, anche se questo “prodotto” non generasse lucro, non ci sarebbero margini per gli autori “di riferimento” per chiedere danni? Tornando all’esempio, se l’intelligenza artificiale generasse un nuovo, bellissimo album di Kurt Cobain, questa cosa farebbe da volano anche per le vendite del repertorio reale o invece ne ridurrebbe l’appeal in maniera quantificabile? Tema interessante ma, converrete, roba per avvocati. Sicuro ne sentiremo di discussioni del genere nel futuro davvero prossimo. Un tema già più interessante per noi semplici ascoltatori sarebbe l’uso ibrido che, ci scommetterei, si starà già facendo dell’intelligenza artificiale, nel rimaneggiamento di prodotti ancora registrati “all’antica”, ma che possono essere “perfezionati” ora con poco sforzo. Modificare un suono di chitarra, correggere un’intonazione, aggiungere un’orchestrazione, fare andare a tempo un musicista scarso credo siano già operazioni alla portata di molte produzioni con efficacia ed economicità maggiore che non ritoccare e filtrare tutto attraverso qualche software e grazie alle competenze di un tecnico capace. Oppure magari qualcuno si farà scrivere riff e musica dall’IA per poi riregistrarsela interamente “davvero”, avendo superato così un blocco di creatività.

Qualunque sia la modalità di interazione con questo nuovo mostro, io sospetti ne ho già avuti su dischi che mi sono capitati di recente, particolarmente sorprendenti (ma non ho prove, per cui non dico altro). E tra un po’ credo che arriveremo a ridere con tenerezza di quando ci scandalizzavamo quando gli “artisti” dell’autotune si rivelavano stonati come mufloni in calore. Conoscevo uno, anche bravo chitarrista, che era molto soddisfatto del fatto che la sua nuova pedaliera digitale, che poteva attaccare direttamente a un mixer senza passare per l’amplificazione, gli consentisse di scegliere tra decine, forse centinaia di suoni di pedali e ampli, tutti “digitalizzati” all’interno di quella scatoletta. Io ero inorridito, ma davvero era niente, lui suonava per davvero, era il suono che era finto, dal mio punto di vista. E comunque, anche qui, non stiamo nemmeno sfiorando quelle che temo possano essere le implicazioni di questi scenari odierni. E, come solito, il mio solito pessimismo non aiuta a vedere il quadro un po’ più roseo.

Immaginiamo ora che qualcuno, per burla o per lucro, non lo avesse fatto già e che io desiderassi ascoltare una band “late 60’s / early 70’s American doom occult rock” (Barg e Ciccio mi perdonino la definizione), esattamente tra Coven e Pentagram. Bene, l’IA potrebbe fornirmela con pochi passaggi. E così potrebbe fare chiunque. Ognuno potrà farsi produrre la musica che immagina, interagendo in solitario con un algoritmo superavanzato. Come conseguenza immagino che i formati standard potrebbero saltare del tutto e questo sarebbe il meno. Invece potrà proliferare QUALSIASI forma di musica, in una specie di audioteca infinita, babilonica e borgesiana, in grado di spazzare via del tutto anche la storicità (termine desueto nell’eterno presente istantaneo). A me non sembra una prospettiva così allettante. Innanzitutto le ibridazioni possibili sono infinite, non essendo più limitate dalle possibilità tecniche e pratiche di musicisti reali. Praticamente ogni possibilità della musica rock (e mi limito a considerare quella) sarà in teoria raggiungibile, almeno come registrazione in studio (“ciao IA, mi produci un intero album live degli Iron Maiden nel 1981, ma con Rob Halford alla voce?”). Questa possibilità infinita è alla portata di tutti e potrebbe spazzare via il lavoro (retribuito o meno) di migliaia di artisti. Immaginate quel buon cuore di Kirk Hammett bussare alla porta. “Ehi James, Lars, ho 767 riff pronti per il nuovo album dei ‘Tallica”. E quei due mica gli aprono. Hanno a disposizione una quantità di riff ben maggiore. Anzi, magari mandano avanti l’avvocato a declassare il contratto di Kirk come mero esecutore live (decurtandogli lo stipendio e con la clausola che alla prossima stecca dovrà limitarsi a mimare di suonare, la chitarra resterà staccata e l’IA suonerà per lui). Tra un po’ non sarà la musica ad essere tutelata, semmai un’identità, ammesso che si sia affermata in anticipo rispetto alla tecnologia odierna. Ma pure immaginate il piccolo gruppo, che suda e si sbatte per fare un prodotto dignitoso coi propri mezzi e che si troverà come concorrenza centinaia di migliaia di Hail Darkness. E chi glielo fa fare.

Io, che l’ottimismo non so cosa sia, immagino conseguenze anche sul nostro modo di condividere la musica. Perché pure i blackster più oltranzisti alla fine desiderano condividere i propri ascolti, solo con un numero più ristretto di persone. Immaginiamo ora che io mi stufi di andare a ricercare scene assurde degli anni ’70, alla ricerca di qualche traccia heavy e occulta non ancora pervenuta, e chieda all’IA di produrmi un disco che sia una versione afro dell’hard dei ’70. Diciamo una commistione “vera” di Sabbath e Fela Kuti, qualcosa “di più” di quegli spassosi mash-up di Bill McClintock che pullulano su YouTube. Con poche reiterazioni successive, immaginiamo che ottenga il disco che voglio. Gasatissimo, vorrò condividerlo con qualcuno che conosco, che sommariamente condivide certe mie perversioni. Magari questo qui dirà ok, bello, “ma io ci aggiungerei un farfisa qua e una blast-beat là e poi comunque vorrei sentirci più Chtulhu”. E potrebbe personalizzare a modo suo l’ascolto, a piacimento, finendo con l’avere in cuffia un prodotto sostanzialmente diverso da quello che volevo condividere io. E così è facile immaginare centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, compreso il tuo vicino di scrivania a lavoro, ognuno in cuffia con una musica perfettamente diversa, personalizzata sul proprio gusto personale. Ora, sarete abituati a non essere circondati da metallari sul luogo di lavoro, per cui non ci vedrete magari nulla di scandaloso in quello che ho appena detto, ma immaginate che ognuno dei lettori di Metal Skunk si mettesse a “prodursi” la sua musica con l’IA, di cosa parleremmo qua? E da condividere ci sarebbe una ceppa. Anzi, la possibilità di produrre musica nuova potrebbe essere potenzialmente infinita e potremmo per assurdo non ascoltare mai due volte la stessa battuta. E con una proliferazione così infinita, fatico a pensare che potrà mai nascere un genere nuovo, mai sentito prima ma definibile. E a consolidarsi come tale negli ascolti di milioni di persone.

In realtà, nonostante il mio innato catastrofismo, non credo andrà esattamente così, perché chiunque (almeno fino ad oggi) ha gusti in qualche misura ristretti, “conformisti”, solo questa cosa varia a seconda del contesto scelto. E tanti ascoltatori, la maggior parte (quelli che “io ascolto la radio”) non hanno nemmeno un gusto specifico o non sanno di averlo. Così sarà possibile, forse necessario, creare dei prodotti che possano accomunare masse più o meno grandi. Anche perché il bisogno di condivisione è grande (sennò alla prossima pestilenza come ci mettiamo d’accordo su che canzone cantare dal balcone?). E perché tanto ci sarà sempre la necessità di trarre profitto. Così magari anche quei prodotti da sempre creati a tavolino (le boy band, per certi versi il “nostro” nu-metal) vivranno una nuova era, con progetti multimediali completi. Non dimentichiamo che oltre a musica e arti grafiche, anche la letteratura e presto il cinema dovranno fare i conti con l’IA (e immaginate che livello di abietto si potrà raggiungere quando questa multimedialità si unirà anche all’offerta di sesso virtuale). Progetti immediatamente disponibili, con bombardamento a tappeto per fare il botto. Ora, io già mi ero fatto Cassandra tempo fa prevedendo la fine dei live e i fatti poi mi hanno spernacchiato (e ora devo decidere se pagare sessanta euro, prezzo ritenuto evidentemente congruo per il mercato, per vedere e probabilmente ascoltare male i Deftones). Tanti dei pochi soldi rimasti all’industria musicale girano ancora attorno ai live. Sempre che l’IA non riesca a produrre un suo avatar biologico (come nel vecchio e meraviglioso sceneggiato RAI A come Andromeda), basterà produrre degli Idol in carne ed ossa (l’Asia sempre un pezzo avanti) per mandare avanti tour interi per maree di ragazzini adoranti. E magari presto noi rideremo buffamente ricordando dell’ologramma di Ronnie James Dio. O di quella volta che Kanye West (o chi per lui) si presentò immobile su di un palco con la registrazione del disco diffusa dagli altoparlanti del palazzetto.

Non si può dire che certe dinamiche, in un contesto tecnologico differente, non siano mai esistite. Per dire, solo dopo aver concluso la serie del Sabbath italiano ho recuperato il libro Terzo Grado – Indagine sul pop progressivo italiano di Alessio Marino e Massimiliano Bruno. Tra le varie storie curiose e succulente che ci sono raccontate (alcune meno sotterranee di altre) ho appreso di un Maurizio Vandelli, leader della popolarissima Equipe 84, sempre più concentrato sulla propria attività in studio nei primi anni ’70, con album come Dr. Jekill e Mr. Hyde e Sacrificio (album quest’ultimo che no, purtroppo non ho il coraggio di spacciarvi per la versione italiana dei Black Widow, ma che contiene comunque un titolo come E Lucifero disse). Tanto concentrato sul proprio lavoro di ricerca in studio da non voler più sprecare tempo ed energie nelle sfiancanti tournée live tanto richieste da migliaia di fan italiani. Così la soluzione fu, con l’accordo di tutti, di Vandelli stesso e sicuro della casa discografica, che per qualche tempo una formazione chiamata Equipe 84, con membri quasi del tutto differenti dalla formazione “reale”, girò le sale da ballo d’Italia portando alla gente il repertorio dell’Equipe 84. Già, la gente. Perché in fondo è quella lì che vuole ritrovarsi la sera in un locale o all’aperto e ascoltare musica e conoscere altra gente. Ok, per quello (e anche per altro) ci sono le discoteche che fanno già a meno di musicisti dal vivo da qualche decennio (e Morrissey ha già detto tutto al riguardo). Ma a noi interessa che continuino ad esserci gruppi fisici, in carne ed ossa a suonare la musica che vogliamo ascoltare, giusto?

Bene, sempre il libro Terzo Grado mi ha suggerito una riflessione, che sicuro meriterebbe un approfondimento a parte, ma che mi offre la possibilità di chiudere il pezzo con un finale un po’ meno apocalittico. La mia domanda era: come ha fatto a nascere una generazione così straordinaria, quella dei musicisti italiani degli anni ’70 (e il discorso vale anche per altre scene “di provincia”, Turchia, Argentina, Giappone, Francia) in maniera così impetuosa, con qualità sorprendente e con originalità tanto spiccata? Una risposta che mi sono dato è la seguente: negli anni ’60 i dischi non erano disponibili come lo sono oggi e nemmeno come dieci anni dopo, anche le radio non erano proprio in tutte le case. Magari ti capitava di ascoltare, che so, un brano degli Yardbirds e rimanerne fulminato. Se eri fortunato c’era un jukebox al bar, magari con una versione tradotta, adattata e suonata da qualche complesso italiano. Ma se volevi ascoltarla dal vivo non potevi aspettare l’improbabile tournée degli Yardbirds per ascoltare di nuovo il pezzo che amavi. Per quello c’erano le balere, le sale parrocchiali, i ristoranti e i night che assoldavano complessi con dei contratti anche buoni per proporre ogni settimana (o persino più volte a sera) un repertorio di brani noti dal richiamo assicurato. Bene, è da quella generazione di musicisti prezzolati, nelle balere di quart’ordine, centinaia, forse migliaia, che è avvenuta quella selezione che ha portato i migliori di loro (per tecnica, idee, personalità, magari anche culo) ad affrancarsi dalla ripetizione di un repertorio altrui per iniziare a fare la propria musica ed affermarsi, anche con il pubblico. Spero quindi che, dopo questo Kali-Yuga-rock, il rock stesso rinasca come una fenice? Boh. Magari però l’infinita offerta personalizzata minuziosamente ci andrà a noia e continueremo a preferire le band vere, quelle che puoi testare dal vivo, una sera in un pub o in una sala concerti, attenti che il jack che esce dalla chitarra arrivi direttamente all’amplificatore, senza trucchi o giri sospetti. Insomma, mentre l’Algoritmo Globale continuerà ad avere in vetrina prodotti sempre più allettanti, noi continueremo a preferire quelli imperfetti, i difetti, la personalità insomma. E magari continueremo, spero, ad andare a quei concerti lì, senza metterci in coda per gli idol di turno in concerti in cui ognuno avrà le proprie cuffie e la propria visiera 3D per vedere il volto che preferiamo quella sera sovrapporsi a quello della cantante. Insomma, magari il rock per come lo conosciamo continuerà ad esistere. Poi qualcuno la chiamerà resistenza, qualcun altro passaggio al bosco. Per uno come me, che di solito evita l’ottimismo come fosse una pestilenza, sarà semplicemente una necessità. Ora intanto aiutatemi, però, perché ho un problema reale: il “late 60’s / early 70’s American doom occult rock” come concetto mi garba troppo e non riesco più a togliermi gli Hail Darkness dagli auricolari. (Lorenzo Centini)

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