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28/04/2025

Guerra in Ucraina - I russi riconquistano Kursk. E con l’annuncio mandano messaggi a Zelensky e all’Europa

di Fulvio Scaglione

Se c’è una cosa che non cambia mai, in Russia, è il senso della liturgia. Ai tempi dell’Unione Sovietica i cremlinologi dovevano analizzare la posizione sul Mausoleo di Lenin di questo o quel dirigente per provare a divinare se il suo rango fosse in ascesa o in discesa, e quali gruppi fossero prevalenti all’interno del Pcus.

I modi con il tempo sono cambiati, ma non la sostanza: il come spesso vale più del cosa. Lo abbiamo visto in queste ore con l’annuncio della completa riconquista della regione di Kursk, invasa e in parte occupata dagli ucraini il 6 agosto scorso, da parte delle truppe russe. Da mesi si sapeva che sarebbe successo. Ma il modo in cui ne è stato dato l’annuncio è molto rivelatore.

Con immagini ovviamente subito diffuse, ma sfacciatamente improntate a uno stile sobrio e business oriented, il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov si rivolge a Vladimir Putin che, facendo finta di non essere al corrente, gli dice: “Ho saputo che ha delle notizie da darmi sull’andamento delle operazioni nella regione di Kursk...”.

E già questo dice qualcosa: il messaggio che si vuole trasmettere ai russi è che la vittoria sull’Ucraina non è un evento ma un fatto normale, quasi più organizzativo che ideale. Tappa dopo tappa, non ci può essere altro esito.

Seconda considerazione: perché non è il ministro della Difesa Andrej Belousov, nominato l’anno scorso, ad annunciare il risultato al Presidente? Qui prevale un’altra logica. Qui è il capo di stato maggiore che parla al comandante in capo.

Qui la politica non deve entrarci, è una questione tra militari, chiaramente un modo per onorare e gratificare le forze armate. Tanto più che Gerasimov veste la divisa da cinquant’anni e occupa il ruolo di capo di stato maggiore dal 2012. Da allora ha già visto passare tre ministri della Difesa tra i quali anche colui che fu il suo mentore, Sergej Shoigu. Nessuno più di lui incarna la continuità della vecchia guardia militare.

Lasciandogli la scena, Putin ha così voluto “ringraziare” la classe degli ufficiali che è rimasta al suo fianco in questi tre anni, la stessa classe che lui peraltro ha difeso al momento prima delle critiche e poi della ribellione di Evgenyj Prigozhin.

Un ultimo elemento: Belousov è un civile che ha fama di incorruttibile e che prima del 2024 non aveva mai avuto contatti con le gerarchie militari. La sua nomina (in qualche modo confermata dalla radicale “purga” dei generali collaboratori di Shoigu, licenziati e più spesso processati per corruzione) aveva un senso preciso: non voleva delegittimare chi conduceva le operazioni militari sul campo (nonostante gli insuccessi) ma stroncare le malefatte dei generali da ufficio e scrivania. Questo siparietto Gerasimov-Putin va nella stessa direzione.

Terzo elemento: Gerasimov, rivolgendosi a Putin, non dimentica di elogiare l’eroismo e il coraggio dei soldati della Corea del Nord che hanno combattuto nella regione di Kursk. Difficile che sia stata un’iniziativa del generale. Più facile che in questo modo gli spin doctors del Cremlino abbiano voluto non solo gratificare l’alleato ma esibirne l’esistenza e il “peso” (anche se sicuramente non decisivo), come in uno schiaffo rivolto ai Paesi occidentali che hanno di volta in volta ironizzato o drammatizzato sulla presenza dei nordcoreani.

La testa di ponte

Quarto elemento: l’annuncio della creazione di una testa di ponte nella regione ucraina di Sumy. Oltre al drammatico sberleffo nei confronti di Zelensky (hai invaso la nostra regione di Kursk? Bene, ora noi invadiamo la tua di Sumy), si tratta di un evidente strumento di pressione sull’andamento del negoziato, vero o presunto che sia, tra Usa, Russia e Ucraina.

Un modo per rafforzare l’ultimo messaggio di Trump a Zelensky: accetta il nostro piano (che comporta tra l’altro la rinuncia alla Crimea e il congelamento della linea del fronte) prima che Putin ti porti via tutto. All’orizzonte, se non ci sarà un cambiamento radicale della situazione al fonte, spunta la minaccia di una nuova offensiva russa su Sumy e magari anche Khar’kiv. Anche se Putin, agitando un po’ il bastone e un po’ la carota, ha detto a Steve Witkoff, l’inviato di Trump, che “la Russia è pronta a riprendere i colloqui con Kiev senza alcuna precondizione”.

Sui negoziati si vedrà, è difficile capire quale via d’uscita stia cercando Zelensky, stretto tra le richieste di Trump, le operazioni militari di Putin e le incertezze dell’Europa. Una cosa è certa: la spedizione nella regione russa di Kursk, a suo tempo ovviamente esaltata come un colpo di genio dalla stampa occidentale, è stata un disastro. Doveva servire ad allontanare le forze russe dagli altri fronti, è non è successo.

A procurare all’Ucraina un “gettone” da usare in eventuali trattative, e ora il gettone è scomparso. In più, stando alle fonti russe (affidabili fino a un certo punto, ma gli ucraini naturalmente di questo non parlano), la spedizione sarebbe costata alle forze armate ucraine 75 mila uomini tra morti e feriti. Per ritrovarsi con nulla in mano e il nemico con un piede in casa.

Non sorprende, per una lunga serie di ragioni, che Zelensky non voglia cedere alle condizioni previste dal piano americano. Colpisce, invece, l’incapacità dell’Europa di elaborare un’analisi realistica e concreta della situazione e di usarla per agire, invece di restare ancorata a una visione bellicistica in cui, sostanzialmente, l’Ucraina viene usata come scudo rispetto alla minaccia russa che ha provocato il famoso piano ReArm Europe.

I vari Starmer e Macron ci dicano una buona volta se davvero credono in una pronta riscossa degli ucraini o se pensano di sacrificarli per avere il tempo necessario a comprare nuove armi.

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