È noto come alcune organizzazioni della Resistenza Palestinese, specie di tendenza politica islamista, abbiamo rilasciato comunicati di giubilo il giorno della caduta del regime baathista, nel tentativo di fare i conti con la nuova realtà e, magari, far leva sul comune background sunnita con i “nuovi padroni” di HTS. Mal gliene incolse.
La nuova leadership siriana, sin da subito, ha voluto dimostrare al mondo che la Siria voltava pagina radicalmente e usciva dall’Asse della Resistenza, optando per una politica di repressione nei confronti di tutta la Resistenza Palestinese.
Ebbene, a quanto pare, l’autoproclamato presidente Al-Golani non si fa scrupolo di promettere ai propri interlocutori d’oltreoceano il colpo di grazia, pur di presentarsi come un interlocutore affidabile.
La settimana scorsa, infatti, è arrivata una visita eccellente che, nelle sue speranze, dovrebbe sbloccare l’annoso capitolo del Caesar Act, ovvero il regime sanzionatorio USA stabilito nel 2019 per strangolare il baathismo, la cui persistenza rischia di togliere di mezzo anche il nuovo, fragile, governo: è giunto a Damasco il parlamentare trumpiano Cory Mills, che ha incontrato lo stesso Al-Golani per 90 minuti, dettandogli i passi necessari al fine di ottenere un alleviamento delle sanzioni.
Secondo lo stesso Cory Millis, dall’incontro è venuto fuori che la Siria sarebbe pronta ad aderire agli Accordi di Abramo, normalizzando i propri rapporti con Israele, alle “giuste condizioni”.
È la prima volta che quest’argomento viene sdoganato, nonostante sia evidente sin dall’inizio che la leaderdiship qaedista non avesse nessuna intenzione di contrastare l’espansionismo sionista in territorio siriano, giunto ormai a poche decine di chilometri da Damasco.
I compiti a casa assegnati da Millis consisterebbero in: distruggere le armi chimiche rimanenti negli arsenali siriani, impedire che i combattenti stranieri di HTS tornino alla loro attività precedente di compiere attentati in giro per il mondo, fornire non meglio precisate ‘rassicurazioni’ a Israele e cooperare con i paesi vicini nella lotta al terrorismo.
Queste ultime due “raccomandazioni” all’apparenza generiche includono il proseguimento delle persecuzione alle organizzazioni palestinesi ancora presenti sul territorio siriano.
Da questo punto di vista, la risposta è stata assai solerte: due alti funzionari del movimento della Jihad Islamica Palestinese (PIJ) in Siria sono stati immediatamente arrestati. Si tratta di Khaled Khaled, capo delle operazioni dell’organizzazione in Siria, e Yasser al-Zafari, capo del comitato organizzativo.
Khaled e Zafari sono stati arrestati “senza alcuna spiegazione sui motivi del loro arresto, e in un modo che non avremmo immaginato di vedere dai nostri fratelli”, si legge nella dichiarazione delle Brigate Quds, braccio armato del Jihad Islamico.
“È passato il quinto giorno e avete due dei nostri migliori quadri”, continua il comunicato. “Noi delle Brigate Quds speriamo che i nostri fratelli nel governo siriano rilascino i nostri fratelli da loro detenuti. In questo momento, in cui combattiamo il nemico sionista ininterrottamente da oltre un anno e mezzo nella Striscia di Gaza senza arrenderci, speriamo di ricevere sostegno e apprezzamento dai nostri fratelli arabi, non il contrario”.
Queste parole ben rappresentano la situazione di isolamento politico e militare in cui si trovano le organizzazioni della Resistenza Palestinese dall’8 dicembre in poi; è pressoché dal giorno della dipartita di Assad dalla Siria, infatti, che, a causa del cambiamento dei rapporti di forza nella regione a sfavore dell’Asse della Resistenza, esse sono oggetto di un attacco concentrico che arriva dal nuovo governo libanese, dalla Giordania, dagli Emirati Arabi Uniti e da altri paesi arabi, proprio nel bel mezzo del genocidio sionista, atto a costringerle a capitolare.
In Siria, tali organizzazioni, occorre sottolineare ancora una volta, sono passate dall’avere libertà di movimento, uffici, arsenali propri ed una grande autonomia nella gestione dei campi dei rifugiati, a dover fronteggiare arresti e soprusi e dover, nella migliore delle ipotesi, ridurre la propria attività a opere caritatevoli e a seppellire i morti uccisi dalle bombe dell’occupante sionista.
Come se non bastasse, le nuove autorità qaediste stanno provando a sottrarre loro il controllo dei campi dei rifugiati e a limitare l’attività dell’UNRWA, ponendo in questione anche il “diritto al ritorno”, sancito dalla Nazioni Unite.
Si tratta, dunque, di un’attività antipalestinese a tutto campo quella portata avanti da HTS, che va, come detto, dalla repressione della Resistenza alla messa in dubbio dello status di rifugiati per i palestinesi siriani.
Tutto questo, però, non ha minimamente intenerito Israele, che prosegue nella sua linea espansionista e continua a considerare “terrorista” la nuova leadership siriana.
Poco prima di Cory Mills, era giunto a Damasco Abu Mazen, con cui HTS sta stringendo i rapporti in funzione anti-Resistenza. Ebbene, in tale occasione, Israele ha addirittura tentato di ostacolare il volo del Presidente dell’ANP, recapitando ad Hussein Al-Sheikh, segretario generale del Comitato Esecutivo dell’OLP ed erede designato dello stesso Abu Mazen, il seguente messaggio: “Israele respinge la visita di Abbas a Damasco, poiché la leadership siriana è considerata terrorista”.
Con tutta probabilità, lo scopo finale del regime sionista è, come nel suo stile, ridisegnare i confini, legittimando la realtà che ha imposto con la forza sul terreno, attraverso accordi che formalizzino le zone demilitarizzate in tutto il sud della Siria e riconoscano una sorta di proprio protettorato sulla comunità drusa siriana.
A questi progetti si oppone la Turchia che, dopo anni e anni di sforzi sostenuti per finanziare, armare, pagare e mantenere HTS e le altre milizie islamiste, non ci sta a vedere parte del proprio lavoro sfruttato da altri e cerca in ogni modo di condizionare Al-Golani nei suoi movimenti diplomatici, facendo leva sulla dipendenza economica e militare del nuovo stato siriano rispetto alla “madrepatria ottomana”.
Tale condizionamento però, si avverte su tutte le questioni tranne che su quella palestinese, nonostante le “intemperanze verbali” di Erdogan nei confronti Netanyahu e l’appoggio offerto nei mesi scorsi ad Hamas, la cui condizione di agibilità, in Siria, è simile a quella delle altre organizzazioni palestinesi appena descritta.
Al contrario, come chiesto da Trump, Ankara ha ristabilito i contatti diretti con Israele al fine di evitare un confronto militare diretto.
Allo stesso modo, gli USA stanno chiedendo di trovare una mediazione anche rispetto allo status del nord-est della Siria, dal quale, questa volta sembrano realmente determinati a ritirarsi, nonostante la situazione diplomatica permanga poco chiara e vi siano insistenti richieste israeliane di restare, in funzione antiturca.
Sullo sfondo, è necessario ricordarlo, nell’area della costa continua il genocidio nei confronti della minoranza alawita da parte milizie governative, nel silenzio generale.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento