Ma ora la situazione sembra precipitare...
Un vertice chiamato a Londra dagli Stati Uniti, convocando anche ucraini ed “europei di peso” (Francia e Germania), non vedrà la presenza delle delegazioni di Parigi e Berlino. Mentre la “ministra degli esteri” UE, Kaja Kallzs, affermava che l’Unione non riconoscerà mai la Crimea come parte della Russia: “La Crimea è l’Ucraina”. Con soddisfazione del padrone di casa, quel Keir Starmer che somiglia ormai più a un Boris Johnson coi capelli corti che non a un “laburista”.
Il tema del vertice – a quanto si apprende dai giornali internazionali che hanno accesso a “fonti anonime” vicine ai grandi capi – doveva essere il riconoscimento della Crimea come parte della Federazione Russa, da parte di Kiev, e conseguentemente dell’Unione Europea. Una prima mossa per sbloccare le posizioni delle parti in conflitto, anche perché – data la situazione sul terreno – ogni giorno che passa l’Ucraina “sovrana” si va riducendo un po’.
Per Zelenskij sarebbe però un passo eccessivo, “vietato dalla costituzione”. Ma se fosse davvero così, allora non ci sarà mai una pace fino a quando dell’Ucraina non resterà veramente nulla. Al massimo, viene riferito, potrebbe accettare un riconoscimento “di fatto”, ossia momentaneo e non de jure, che però significherebbe il mantenimento a tempo indeterminato di una situazione di “non guerra/non pace”, pronta a degenerare in qualsiasi momento.
Putin, indirettamente, dopo la mossa sulla “tregua unilaterale di Pasqua”, ha colto l’occasione per avanzare l’idea che si potrebbe cominciare a ragionare a partire dalla stabilizzazione della linea del fronte. La “concessione”, dal punto di vista russo, starebbe nel fatto di non pretendere anche quelle aree degli oblast dichiarati “parte della Federazione” (Lugansk, Donetsk, Zaporozhye e Kherson) non ancora conquistati dall’Armata russa.
Mosse tattiche, certamente, fatte per rendere più credibile una riapertura ufficiale dei negoziati.
Dall’altra parte però si continua a giocare a Napoleone, senza però le stesse carte né tanto meno la stessa capacità strategica. Sia Kiev che “gli europei” propongono infatti di partire da un cessate il fuoco immediato, che però – viene detto quasi apertamente – servirebbe solo a permettere l’invio di un contingente anglo-francese in territorio ucraino. Da ridere il cambiamento di nome proposto: da “forza di peacekeeping” a “forza di resilienza”. Come se in guerra si badasse ai nomi anziché al numero delle divisioni sul terreno...
L’idea è completamente folle. Perché metterebbe a contatto praticamente diretto forze Nato ed esercito russo in un territorio che non solo non è parte della Nato, ma che Mosca ha attaccato proprio per evitare una simile “soluzione”.
Altra cosa sarebbe naturalmente una “transizione” garantita dall’Onu, con la presenza di caschi blu provenienti da paesi estranei al conflitto, su cui la Russia ha dato una disponibilità a discutere.
A complicare ulteriormente il quadro il dilettantismo diplomatico della “giunta Trump” che ha avanzato l’ipotesi – considerata “una mediazione”! – di affidare il controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia... agli Stati Uniti.
Saremmo alle comiche finali, evidentemente. Ma il problema è invece serissimo. Trump non appare al momento avere il controllo del “campo euro-atlantico”, che peraltro ha lui stesso disassato aprendo la guerra dei dazi prima ancora di chiudere la “trattativa di pace” su un risultato comprensibile e condivisibile.
In questo “vuoto di potere” scavano – per ragioni diverse – sia Zelenskij (per il quale ogni cambiamento di quadro rappresenta la fine politica), sia e soprattutto i “volenterosi” pazzi che pensano di resuscitare la propria grandeur perduta continuando a sostenere un conflitto ormai perso. Anche a costo di esporre i propri paesi al rischio di una guerra atomica...
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