I firmatari condannano la ripresa dei combattimenti nella Striscia e la violenza contro i palestinesi in Cisgiordania, definendo l’attuale governo israeliano «il governo più estremo della storia di Israele», che incoraggia la violenza contro i palestinesi e danneggia la democrazia israeliana.
Esprimono poi anche solidarietà alle famiglie dei rapiti e alle migliaia di manifestanti per le strade d’Israele: «Noi siamo con loro. Resistiamo alla guerra. Conosciamo e piangiamo la perdita di vite palestinesi. Desideriamo che arrivi presto il “giorno dopo” di questo conflitto, quando si potrà iniziare una riconciliazione».
È sicuramente il segnale di una frattura importante nel mondo ebraico rispetto al culmine del genocidio che viene portato avanti in questo momento, con l’occupazione di Gaza che continua innanzitutto come merce di scambio offerta all’ala di Ben-Gvir per tenere in piedi il governo. Elemento sottolineato anche nella lettera.
Bisogna tuttavia riconoscere che, anche se le vicende giudiziarie che coinvolgono il gabinetto Netanyahu e il conseguente avvitamento autoritario sono certamente collegate, «l’anima di Israele», come è stata chiamata, presenta alle sue radici coloniali ed etno-nazionaliste le ragioni del massacro in atto.
Nella lettera si saldano le ragioni di chi vuole portare a casa gli ostaggi – mostrando, numeri alla mano, come la linea dura abbia fallito – con quelle delle proteste di una parte della popolazione israeliana che non è rappresentata da Netanyahu, ma che non necessariamente mette in discussione l’assetto di potere regionale.
Il richiamo a un’alternativa ad Hamas, il pianto per la perdita delle vite palestinesi senza però citare in alcun modo le ragioni e gli obiettivi politici della resistenza palestinese, svelano la pesante tara di questa lettera. Che, ad ogni modo, rimane un potente messaggio di rottura rispetto al silenzio o all’esplicito assenso di altre comunità ebraiche al genocidio dei palestinesi, e vale la pena riportarlo.
Qui sotto il testo della lettera:
«Scriviamo in qualità di rappresentanti della comunità ebraica britannica, spinti dall’amore per Israele e dalla profonda preoccupazione per il suo futuro.Firmano Harriett Goldenberg, Baron Frankal, Sophie Hasenson, Robert Stone e altri.
La tendenza a distogliere lo sguardo è forte, poiché ciò che sta accadendo è insopportabile, ma i nostri valori ebraici ci spingono a prendere posizione e a parlare apertamente.
Questo è ciò che vediamo: gli ultimi 18 mesi di guerra straziante ci hanno dimostrato che il modo più efficace per riportare a casa gli ostaggi e creare una pace duratura è attraverso la diplomazia.
Alla fine della prima fase del secondo accordo di cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi, 135 ostaggi sono stati rilasciati tramite negoziati, solo otto con azioni militari, e almeno tre sono stati tragicamente uccisi dalle Forze di Difesa israeliane.
America, Qatar ed Egitto si sono assunti la responsabilità di garantire il rilascio di tutti gli ostaggi rimanenti nella seconda fase di questo accordo, in cambio del ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza. La comunità internazionale ha approvato e sostenuto un solido piano per la ricostruzione di Gaza, da affidare alla leadership palestinese, che costituirebbe una valida alternativa ad Hamas, piano finanziato dalla Lega Araba.
Ma in quel momento, il governo israeliano ha scelto di rompere il cessate il fuoco e tornare in guerra a Gaza con l’«offensiva di Itamar», così chiamata perché era la condizione posta da Itamar Ben-Gvir per il ritorno nella coalizione, consentendo in questo modo l’approvazione del bilancio del governo israeliano entro la scadenza ravvicinata necessaria per evitare le elezioni. Da allora, nessun ostaggio è tornato.
Centinaia e centinaia di altri palestinesi sono stati uccisi; cibo, carburante e forniture mediche sono stati nuovamente bloccati all’ingresso a Gaza; e siamo di nuovo piombati in una guerra brutale in cui l’uccisione di 15 paramedici e la loro sepoltura in una fossa comune rischia di essere la normalità.
Simili incidenti sono troppo dolorosi e scioccanti da accettare, ma sappiamo in cuor nostro che non possiamo chiudere un occhio o rimanere in silenzio di fronte a questa nuova perdita di vite umane e di mezzi di sussistenza, con le speranze di una riconciliazione pacifica e del ritorno degli ostaggi che si stanno esaurendo.
Il più estremista dei governi israeliani sta apertamente incoraggiando la violenza contro i palestinesi in Cisgiordania, strangolando l’economia palestinese e costruendo nuovi insediamenti più che mai.
Questo estremismo prende di mira anche la democrazia israeliana, con l’indipendenza del sistema giudiziario nuovamente sotto feroce attacco, la polizia sempre più simile a una milizia e leggi repressive in atto, mentre un populismo partigiano provocatorio sta profondamente dividendo la società israeliana.
L’anima di Israele viene strappata via e noi, membri del Board of Deputies of British Jews, temiamo per il futuro di Israele, Paese che amiamo e con cui abbiamo legami così stretti.
Il silenzio è visto come un sostegno a politiche e azioni contrarie ai nostri valori ebraici. Guidati dalle famiglie degli ostaggi, centinaia di migliaia di israeliani stanno manifestando nelle strade contro il ritorno in guerra di un governo israeliano che non ha dato priorità al salvataggio degli ostaggi.
Siamo al loro fianco. Siamo contro la guerra. Riconosciamo e piangiamo la perdita di vite umane palestinesi. Aneliamo al “giorno dopo” di questo conflitto, quando potrà iniziare la riconciliazione. Mentre celebriamo la festa della libertà con così tanti ostaggi ancora prigionieri, è nostro dovere, come ebrei, far sentire la nostra voce».
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