Nemmeno il tempo di inchiodare la bara del “papa pacifista” che i guerrafondai si scatenano per cancellarne anche il ricordo, puntando dritto sull’obiettivo che a loro interessa: continuare la guerra. Anche senza sapere, né capire, per quale obbiettivo razionale. O almeno raggiungibile... Ma quale occasione – e location – migliore per raggiungere più obiettivi in un colpo solo?
Come sapete, non consideriamo il mondo dei media mainstream capace di alcuna autonomia di pensiero. Obbediscono ai proprietari, tra cui spicca ancora la famiglia Agnelli – ora declinata in Elkann – che almeno per quanto riguarda l’Italia rappresenta ancora il principale gruppo industriale privato (insieme alla semi-pubblica Leonardo) interessato alla produzione militare (tramite Iveco).
E quindi siamo obbligati a pensare che un ordine sia corso in tutte le redazioni: mettere nella bara anche ogni speranza di pace.
Bisogna conoscere il mestiere (da non confondere con il giornalismo degno di questo nome) e tutto diventa molto semplice. Non badate alla melassa di parole di circostanza seminate ad ogni passo del corteo funebre, non badate alle dichiarazioni di questo o di quello (tutti personaggi importanti, per carità, ma per una giornata soltanto comparse di prima fila, davanti e contro i loro popoli). Il “caporedattore centrale” del sistema dei media aveva bisogno di un’immagine dietro cui far sparire tutto il resto e “comunicare” il messaggio che tutti devono intendere: la guerra va avanti.
L’immagine è stata presto trovata: Trump e Zelenskij seduti uno di fronte all’altro, a parlare di cose decisamente indecenti rispetto alla location, rapidamente promossa a “miracolo”. Non conta quel che si sono detti – è stata la parola d’ordine del “caporedattore centrale” – ma quel che vogliamo dire “noi” (siamo in Italia e nell’Unione Europea, il resto del mondo ha “lavorato” sulla notizia diversamente).
E “noi” – “europeisti da guerra” – vogliamo dire che finché c’è guerra c’è (per “noi”) speranza. Naturalmente il messaggio va infiorettato con frasi ad effetto come “cessate il fuoco immediato”, “speranza di pace”, ecc. Perché si sa che i popoli del Vecchio Continente, per quanto sbalestrati da una propaganda che anche Goebbels avrebbe sognato, di guerra dentro casa non vogliono neanche sentir parlare...
Serviva una frase, una battuta, qualche parola per confermare il messaggio. Ed è stato trovato anche quello, utilizzando uno dei tanti post di Trump sul suo social personale: «non c’è motivo per cui Putin abbia dovuto lanciare missili su aree civili, città e paesi, negli ultimi giorni. Mi fa pensare che forse non vuole fermare la guerra, mi sta solo prendendo in giro, e deve essere trattato diversamente, forse con sanzioni secondarie? Troppe persone stanno morendo!!!».
Fiato alle trombe, il Grande Capo è rinsavito, habemus di nuovo l’America dalla “nostra” parte! E quindi si può presentare l’idea – solo quella – del “piano di pace alternativo”, concordato tra “volenterosi” e la junta Zalenskij, come una cosa raggiungibile, praticabile.
È il caso di ricordare i tratti salienti di questo “piano alternativo”, rivelati da un servizio dell’agenzia Reuters.
– la Russia dovrebbe accettare un cessate il fuoco immediato al quale seguirebbero i negoziati di pace veri e propri, gestiti con il contributo di Europa e Stati Uniti (va ricordato che i “volenterosi” anglo-francesi vorrebbero usare questa finestra per inviare un proprio contingente militare in Ucraina, che coinvolgerebbe poi “naturalmente” la Nato);
– gli USA dovrebbero controllare che il cessate il fuoco sia rispettato, come se fossero un “arbitro” imparziale invece che la parte principale nel conflitto dal lato occidentale (seppure nella versione “Biden-Obama”);
– all’Ucraina verrebbero date “robuste” garanzie di sicurezza del tipo Articolo 5 della Nato, quindi con la partecipazione decisiva degli USA (va ricordato, anche qui, che l’invasione russa è scattata anche per evitare uno scenario simile, ed è davvero singolare che questa sia presentata come una “proposta di pace”);
– l’esercito ucraino dovrebbe mantenere lo stesso numero di effettivi, senza alcuna limitazione a quantità e tipologia degli armamenti stranieri (NATO, ovviamente);
– l’Ucraina dovrebbe entrare nell’UE;
– vanno restituire all’Ucraina la centrale nucleare di Zaporižja, la diga di Kakhovka e la penisola di Kinburn sull’estuario del Dnepr;
– l’Ucraina dovrebbe recuperare interamente i territori perduti (nel 2014 con i referendum in Crimea, Lugansk, Donetsk, poi gli altri con la guerra in corso), e compensata economicamente, utilizzando anche i fondi russi congelati a Bruxelles;
– le sanzioni alla Russia potranno essere gradualmente sospese solo dopo il definitivo accordo di pace, e reintrodotte in caso di non ottemperanza russa alle condizioni di pace.
Naturalmente non si capisce come e perché questo “piano” dovrebbe essere accettato da Mosca. La più antica e ferrea legge della guerra recita infatti che le “trattative di pace” partono dalla situazione reale esistente sul terreno, che è l’unica “prova oggettiva” dei rapporti di forza.
In rete, giustamente, molti ironizzano evocando situazioni storiche simili. Tipo Badoglio che nel 1943 “pretende” il ritiro degli Alleati dall’Italia (che controllavano per metà), oppure l’imperatore del Giappone nel 1945 (“aridatece Okinawa!”).
Certo, rispetto a questi esempi, la situazione attuale è molto meno squilibrata perché Kiev dispone ancora del supporto europeo, mentre quello Usa da tre mesi è diventato incerto e condizionato. Ma quello europeo è un aiuto limitato (un po’ di armi e soldi, ma praticamente senza copertura aerea e satellitare, tanto meno “ombrello nucleare”), e l’orientamento di Trump diventa comunque decisivo.
Ma il tycoon gioca a poker, alterna minacce e ricatti a ordini e perdoni. E questo spiega l’andamento ciclotimico dei vertici “europeisti”, costretti ad alternare momenti di depressione nera, rapidi entusiasmi (basta vedere come vengono accolti gli attentati a un generale a Mosca o come si spera che l’esplosione in un grande magazzino di Mosca sia un atto terroristico “nostro”, ossia ucraino).
Ma bisogna andare avanti e seppellire ogni voce di pace. Di chiunque sia. E quella del papa era sicuramente una di quelle più fastidiose. Al punto che il “caporedattore centrale” si preoccupa già di dare indicazioni su quali scelte dovrà fare il Conclave: “ora un papa di mediazione”. Che stia zitto davanti a guerra e genocidio.
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