Si è concluso ieri il vertice sul futuro della sicurezza energetica, organizzato dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) e tenutosi a Londra. All’incontro hanno partecipato rappresentanti di circa 60 paesi, compresi vari ministri dell’Energia europei e la presidente della Commissione Europea von der Leyen, e almeno 120 alti funzionari governativi, dirigenti aziendali ed esperti del settore.
In una nota dell’AIE precedente al summit si legge: “il vertice esaminerà i fattori geopolitici, tecnologici ed economici che influenzano la sicurezza energetica a livello nazionale e internazionale”. È proprio la crescente tensione internazionale, i dazi e l’impatto dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente che ha reso assai delicata la questione della sicurezza energetica.
Il vertice si è aperto con l’annuncio del governo britannico di voler investire 300 milioni di sterline nell’energia eolica offshore, dentro il programma che punta a decarbonizzare la produzione di energia elettrica del paese entro il 2030. L’obiettivo è però innanzitutto quello di sostenere i produttori nazionali della filiera, per raggiungere una maggiore autonomia.
Infatti, seppur al Regno Unito appartengano alcuni dei principali parchi eolici in mare, è ancora la Cina ad essere al primo posto per capacità installata e anche sul piano tecnologico e della produzione delle turbine. Cina che però, insieme a Russia e Arabia Saudita, non ha presenziato alle riunioni di Londra. Parliamo del secondo consumatore al mondo di petrolio, e del secondo e terzo produttore.
Dei ‘pezzi grossi’ senza cui è difficile parlare delle prospettive del mercato dell’energia. Ma tutti e tre i paesi avevano le proprie motivazioni per non presentarsi, anche se ben diverse le une dalle altre. L’Arabia Saudita, ad esempio, deve fare i conti con importanti contrasti dentro l’OPEC, che ha benedetto (con riserva) l’incontro dell’IEA.
I sauditi hanno già annunciato di voler mantenere più alto di quanto previsto il numero di barili prodotti. Se questo sarà un duro colpo per le loro entrate – il greggio manterrà basso il prezzo se l’offerta sarà maggiore rispetto alla domanda, in un periodo di incertezza a causa delle aspettative di contrazione dell’economia per colpa dei dazi – è una guerra di logoramento quella che promuove Riyad.
L’Arabia ha deciso di adottare questa politica contro il rifiuto di altri paesi OPEC di tagliare la propria produzione, sperando così anche di spingere ulteriormente sulla diversificazione della propria economia attraverso il programma Vision 2030. Ad esempio, i sauditi stanno attraendo investimenti da parte di alcuni dei più importanti produttori di computer al mondo, a partire dalla cinese Lenovo.
A Riyad hanno insomma altri pensieri per la testa rispetto a quelli espressi da un consesso che ha sostanzialmente rappresentato un punto di vista occidentale nella competizione internazionale, quando invece la Cina può essere un ottimo partner dell’Arabia. E questo è il motivo per cui sia Pechino sia Mosca non hanno pensato di (e non hanno ovviamente potuto) presentarsi a Londra.
Gli annunci britannici hanno mostrato il chiaro interesse a minare il primato del Dragone nel settore eolico. Mentre, per quanto riguarda la Russia, è stata von der Leyen a mettere in chiaro come il summit dell’IEA fosse sostanzialmente una passerella per dichiarare al mondo il prossimo taglio definitivo delle importazioni UE di fonti fossili russe.
Secondo la presidente della Commissione Europea, Mosca ha provato a ricattare la UE sfruttando la dipendenza energetica dalla Russia e “tagliandoci il gas”. Qualcuno dovrebbe ricordarle che è stato un commando ucraino, non russo, a far saltare i Nord Stream, e semmai è stata Kiev a sfruttare i punti di debolezza della UE per incastrarla mani e piedi in una guerra persa.
Ad ogni modo, i vertici europei si sono scagliati contro la Russia: “abbiamo tagliato i finanziamenti per l’economia di guerra russa”, ha ribadito come un disco rotto la politica tedesca. Il commissario europeo per l’Energia, Dan Jorgensen, ha di recente sottolineato come le importazioni di gas russo sono passate “da oltre il 45% nel 2021 al 19% nel 2024”, e quest’anno potrebbero arrivare al 13% del totale.
L’evento londinese è stato appunto un’occasione per rilanciare in pompa magna l’annuncio che arriverà il prossimo 6 maggio, con la nuova roadmap per lo stop definitivo all’importazione di ogni combustibile fossile russo. Ancora retorica di guerra... bisognerà vedere quanto sarà resiliente l’economia comunitaria, che già si dibatte in una pesante crisi.
Soprattutto, se una delle alternative a Mosca è il costoso gas naturale liquefatto venduto da Washington, che significherebbe un ulteriore approfondimento della subalternità europea agli Stati Uniti. Che giustamente dal loro punto di vista, a Londra hanno condannato le politiche ostili ai combustibili fossili, definendole “dannose e pericolose”.
Insomma, a Londra è andato in scena un teatrino per lo più unioneuropeista, che ha nascosto le profonde difficoltà di Bruxelles. Mentre gli attori che davvero contano sullo scenario internazionale, in questo momento (Cina, Russia, USA) o non si sono presentati, o lo hanno fatto con una delegazione ristretta e fortemente critica, come è stata quella stelle-e-strisce. Non un evento da ricordare.
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