Circa l’0,3% del Pil. Si ipotizza che una parte del calo di visitatori sia spiegabile come una forma di protesta nei confronti dell’Amministrazione Trump, ma il resto si ritiene sia dovuto al timore di aver problemi alla frontiera o all’interno agli Stati Uniti, dove gli agenti dell’Immigration and Customs Enforcement (Ice) conducono operazioni senza precedenti.
In particolare nelle settimane scorse hanno fatto scalpore numerosi casi di persone, tra cui ricercatori francesi e tedeschi, a cui è stato negato l’ingresso negli Stati Uniti apparentemente dopo aver trovato sui loro smartphone messaggi (o post sui social media) ritenuti inappropriati.
In almeno un caso, quello di un ricercatore tedesco, si trattava di una persona in possesso di “green card”, ovvero, di un residente permanente degli Stati Uniti.
Considerata l’estrema libertà di cui godono gli agenti che eseguono i controlli di frontiera, la Commissione europea di recente ha iniziato a fornire smartphone e computer temporanei ai propri funzionari diretti negli Usa, con la motivazione ufficiale di evitare rischi di spionaggio, una misura tradizionalmente riservata ai viaggi in Cina.
Ad aumentare il clima di paura sono gli oltre 1.500 studenti internazionali a cui finora è stato revocato il visto (cifra che secondo alcuni andrebbe più che triplicata), tipicamente per aver appoggiato pubblicamente la causa palestinese.
In alcuni casi si è arrivati all’arresto, come nel caso dello studente della Columbia Mahmoud Khalil (anche lui detentore di “green card”) o della studentessa della Tufts Rümeysa Öztürk.
La base legale è il McCarran-Walter Act, una legge approvata nel 1952, in pieno Maccartismo, che consente la deportazione di non-cittadini la cui presenza il governo ritiene possa essere dannosa per gli interessi di politica estera degli Usa. All’epoca l’obiettivo erano i comunisti, veri o presunti, oggi, invece, i filo-palestinesi, equiparati a sostenitori del terrorismo.
In praticamente tutti questi casi sono gli smartphone e i social media a svolgere un ruolo centrale. È grazie soprattutto a queste tecnologie, infatti, che è possibile non solo schedare in maniera automatica e veloce praticamente chiunque, anche grazie alle nuove tecniche di intelligenza artificiale, ma anche accedere – entrando nello smartphone – a gran parte della vita delle persone: fotografie, spostamenti, messaggi, documenti di lavoro, navigazione su Internet, telefonate e molto altro ancora.
Ed è sempre lo smartphone che viene utilizzato sempre più intensamente per identificare, per esempio, donne che cercano di abortire fuori dal proprio Stato o immigrati non in regola coi documenti, ricerca quest’ultima oggetto di un recentissimo contratto tra Palantir, l’azienda di Peter Thiel, e Ice.
Se a quanto accade negli Usa aggiunge una pressione crescente anche in vari Paesi europei, tra cui Francia, Germania e Regno Unito, sia relativamente a quanto viene postato sui social media, sia per poter accedere agli smartphone più liberamente (come chiesto esplicitamente il 13 aprile scorso dal Ministro degli Interni francese Bruno Retailleau), è urgente porre al centro della riflessione e dell’azione politica il rischio assai concreto che la computerizzazione del mondo abiliti anche, se non soprattutto, una macchina di repressione e controllo senza precedenti nella storia per capillarità, ampiezza, velocità e precisione.
Come recita una pubblicità di Palantir diffusa proprio in questi giorni: «In fabbrica, in camera operatoria, sul campo di battaglia – noi costruiamo per dominare».
Ormai ci viene detto apertamente che si tratta di dominio.
Agiamo ora per evitare che alla storica gabbia di acciaio di weberiana memoria si aggiunga una gabbia, se possibile ancor più insidiosa, fatta di silicio.
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