Martedì il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato l’aggiornamento del World Economic Outlook, una delle più famose previsioni e indagini sulle prospettive economiche più prossime. Una revisione dei dati pubblicati a gennaio era d’obbligo dopo lo shock dei dazi e il netto impatto che questi hanno avuto e avranno su borse e commerci.
Bisogna subito dire che il FMI ha considerato la situazione al 4 aprile, cioè prima della sospensione delle tariffe e dell’esenzione per ciò che riguarda i dispositivi elettronici che dalla Cina arrivano negli USA. È lo stesso istituto a definire il report come una “previsione di riferimento” piuttosto che “di base”, a causa della “complessità e fluidità del momento attuale”.
Ad ogni modo, è stato il capo economista del FMI, Pierre-Olivier Gourinchas, a dire in conferenza stampa che l’incertezza grava pesantemente sull’andamento dell’economia e che “stiamo entrando in un periodo in cui il sistema economico globale che conosciamo da 80 anni sta subendo un riassetto”.
Arriviamo dunque a qualche dato. Innanzitutto, la crescita globale è stata ridotta dello 0,5%, assestandosi nelle previsioni al 2,8%. Come è ovvio, anche il PIL statunitense farà le spese delle misure prese dalla Casa Bianca: la prospettiva di crescita per il 2025 è stata tagliata di quasi un punto percentuale, passando all’1,8%.
“Anche il calo della fiducia dei consumatori e il rallentamento dei consumi – ha detto sempre Gourinchas – hanno contribuito alla correzione” delle previsioni. È recente notizia che per quanto riguarda l’Eurozona, la fiducia dei consumatori è arrivata ai minimi da 18 mesi, confermando le dichiarazioni dell’economista.
Proprio nell’Eurozona se la passerà sicuramente male l’Italia. Per il 2025 la crescita è prevista allo 0,4%, perdendo 0,3 punti percentuali rispetto alle previsioni dello scorso gennaio. Per il 2026, invece, il FMI ha tagliato la stima dell’incremento del Pil dello 0,1%, indicandolo ora al +0,8%. Anche per la disoccupazione è previsto un leggero aumento di un 0,1% per entrambi gli anni (6,7%).
Anche l’inflazione risente della tempesta economica che stiamo vivendo. È infatti previsto che l’inflazione globale complessiva diminuirà a un ritmo leggermente inferiore rispetto a quanto previsto a gennaio. In Italia si attesterà all’1,7% nel 2025, per poi accelerare al 2% nel 2026, fissandosi a questa cifra tra il 2027 al 2030 (anche se è chiaro che è troppo presto per guardare così avanti).
Il debito pubblico italiano salirà anche quest’anno. La proiezione a lungo termine del FMI, che arriva al 2030, parla di un debito al 137,7% del PIL. Al contrario, il deficit di bilancio scenderà quest’anno e la stima al 2030 segnala una spesa al 2,4% del PIL. Insomma, si palesa ancora una volta il macigno della gabbia europea, altro che riarmo.
Rimangono in dubbio gli effetti sulle politiche delle banche centrali e sui cambi. “L’effetto dei dazi sui cambi non è mai lineare”, osserva Gourinchas, e “nel medio termine, è possibile che il dollaro si svaluti in termini reali se i dazi finiranno per ridurre la produttività del settore manifatturiero statunitense rispetto ai partner commerciali”.
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