Quando nel gennaio 2025 il Regno Unito ha siglato con l’Ucraina un partenariato strategico “centenario”, il mondo ha assistito a una cerimonia da grande potenza: pennini dorati, retorica altisonante, dichiarazioni di “impegno secolare” nella difesa della libertà e della sovranità.
Eppure, a pochi mesi, l’accordo è già l’oggetto di sarcasmo diplomatico, scetticismo nei circoli strategici e domande fondamentali: quale ruolo pensa di giocare davvero Londra nell’ordine globale post-2022?
Il titolo “centenario” si è rivelato più una trovata pubblicitaria che un piano strutturato. Un’evocazione simbolica più vicina a una proiezione imperiale nostalgica che a una roadmap politica. E mentre Downing Street sognava Versailles, Washington, versione Trump, è arrivata col machete: “Volete il nostro sostegno? Ci date metà delle risorse minerarie”.
Il contrasto tra la visione britannica e l’approccio trumpiano ha rivelato l’essenza della partita in corso: da un lato, Londra si posiziona come paladina morale, impegnata nel tutelare i principi dell’ordine liberale; dall’altro, gli Stati Uniti, col ritorno di Trump alla ribalta geopolitica, offrono una versione brutale della realpolitik: risorse in cambio di protezione. Un linguaggio privo di abbellimenti morali, ma dolorosamente chiaro.
Il messaggio implicito di Trump, rivolto anche agli alleati: “Non esiste più un Occidente coeso. Esistono transazioni. Se volete far parte del gioco, pagate”.
Il risultato? Il “secolo” immaginato da Londra è stato derubricato a una stagione.
È da tempo che la Gran Bretagna coltiva un’ambizione strategica che non corrisponde alla sua capacità operativa. Brexit, invece di rilanciarne l’autonomia geopolitica, ne ha accentuato l’isolamento. E l’idea di essere “Global Britain” si scontra oggi con le risorse limitate, un’economia interna sotto pressione e una diplomazia spesso appesa al soft power più che alla deterrenza concreta.
Eppure, il governo britannico rilancia. A inizio aprile 2025, la possibilità di invio di truppe in Ucraina per un impegno quinquennale ha fatto scalpore. Ufficialmente, si tratterebbe di un atto “di deterrenza”, per rafforzare le forze armate ucraine e facilitare la ricostruzione.
Ma il segnale implicito è: la Gran Bretagna intende “presidiare” la futura Ucraina come avamposto strategico europeo – anche se la Russia ha già chiarito che questo rappresenterebbe una soglia di scontro diretto con la NATO.
Londra e Parigi sembrano voler costruire una “coalizione dei volenterosi” disposta a mettere i piedi sul suolo ucraino in una logica da peacekeeping armato. Ma la domanda diventa: fino a che punto la NATO è pronta a spingersi in un conflitto che non ha una fine politica all’orizzonte?
L’analogia più sinistra non è con la Seconda guerra mondiale, ma con l’Afghanistan post-2001 o l’Iraq del 2003: operazioni senza exit strategy, con una presenza militare sempre più radicata e una società da ricostruire in un quadro geopolitico instabile.
E proprio come a Kabul o a Mosul, la rimilitarizzazione dell’Ucraina rischia di creare una dipendenza permanente dalle forze occidentali, più che una reale autonomia difensiva.
Non va dimenticato che l’Ucraina del dopoguerra sarà anche un terreno fertile per investimenti infrastrutturali, sfruttamento di materie prime, hub logistici e digitali. La firma dell’accordo centenario può essere letta anche come una prenotazione geopolitica: chi ha sostenuto prima, raccoglierà dopo.
Londra, con la sua lunga storia coloniale e finanziaria, si prepara a svolgere un ruolo da facilitatore: appalti, contratti di difesa, tecnologia, know-how militare, imprese strategiche. Un nuovo “Commonwealth dell’Est”? Forse, ma senza corona e senza il controllo dei tempi andati.
L’impegno britannico in Ucraina non è solo un tentativo di riaffermarsi a livello globale. È anche un test esistenziale sul senso della politica estera post-imperiale. Se la guerra si trascina, se le forze NATO vengono coinvolte direttamente, se la Russia decide di alzare il livello dello scontro, la posizione di Londra potrebbe trasformarsi da leadership morale a bersaglio strategico.
Inoltre, le voci critiche non mancano: la Camera dei Lord ha già espresso scetticismo, interrogandosi apertamente sulla sopravvivenza stessa dell’Ucraina come entità sovrana tra 10 o 100 anni. Una domanda scomoda, ma legittima. E anche se ora taciuta dai vertici politici, è sulla bocca di ogni analista militare serio.
Il “partenariato centenario” con Kiev è stato concepito più come un’operazione di immagine che come un progetto strutturato. L’inizio del 2025 ha mostrato in modo spietato che non basta evocare Churchill per essere Churchill, e che il mondo non aspetta le visioni britanniche di grandeur.
Londra è ancora una voce ascoltata, ma non è più un arbitro. I tavoli veri si tengono altrove: tra Washington e Mosca, tra Pechino e il Golfo. La Gran Bretagna può sedersi, ma difficilmente darà le carte.
Il rischio? Che nel cercare di giocare una partita da grande potenza, si ritrovi a fare la comparsa nella guerra più determinante del XXI secolo.
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