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18/04/2025

Alla corte di Trump per rammendare il governo di casa

Abbiamo cercato con molta cura, tra i vari resoconti sulla “missione” di Giorgia Meloni a Washington, qualcosa che somigliasse a un “contenuto”. Insomma, qualcosa di concreto su cui ragionare.

Solo chiacchiere, sorrisi, dichiarazioni di circostanza, un frasario da “vecchi amiconi” che si dicono l’un l’altro “quanto sei bravo” e “torneremo grandi” (Trump lo dice dell’America, Meloni più genericamente ha parlato dell’“Occidente”, lasciando quindi perdere sia un nazionalismo italico che sarebbe risultato comico, sia un “nazionalismo europeo” che non è nelle sue corde e ancor meno in quelle del suo elettorato).

Gli unici momenti di velata concretezza hanno riguardato una possibile prossima visita di Trump in Italia, una dichiarata disponibilità a spendere di più in armi statunitensi e una certa distanza sulla guerra in corso («La Russia ha invaso l’Ucraina», ha ribadito Meloni, mentre Trump ha di nuovo marcato la freddezza verso Zelensky «non sono un suo fan»), anche se la convergenza è stata poi trovata sull’esigenza di “trovare una soluzione” per uscirne (senza insistere però sulla linea rossa della “pace giusta” con cui gli europoidi giustificano la volontà di continuare la guerra).

Né aderire (alla “coalizione dei volenterosi” gruerrafondai anglo-francesi), né sabotare (i tentativi di trattativa tra Usa e Russia).

Poco o nulla, insomma. Sotto il vestito (bianco, per spiccare meglio nelle photo opportunity in mezzo a tanti uomini vestiti di scuro), niente.

Del resto era il limite imposto e accettato dalla stessa Meloni: trattare sui dazi tocca all’Unione Europea, non ai singoli paesi. E almeno in pubblico “le forme” vanno salvaguardate. Se poi “Gioggia” avesse pure ottenuto la promessa di qualche sconto su alcune merci italiane, non si può dire a voce alta. Al massimo lo scopriremo al prossimo voltafaccia di Trump, quando modificherà ancora una volta la lista dei beni e l’entità dei dazi.

Gli osservatori mainstream – quelli che parlano al telefono con l’entourage della Meloni, insomma – giurano che un po’ di concretezza in più si avrà nei colloqui con il vice, J. D. Vance, previsti per oggi.

Ma l’impressione forte è che la “missione” abbia come scopo prevalente quello di rimettere ordine nelle tensioni interne alla maggioranza di governo, tra scandali/scandaletti e forzature autoritarie, tra un Salvini che vorrebbe tornare al Viminale e un Tajani che fatica a sopportare le sparate anti-von der Leyen dell’orsacchiotto leghista.

Come dire: in America ci vado io e sono io “il ponte” con Trump. Non in nome e per conto dell’“Europa”, ma per incollare frammenti di rappresentanza senza uno straccio di idea spendibile.

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