Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

17/04/2025

USA - L'impossibile ritorno al passato dell'amministrazione Trump

di Atilio Boron

Il ritorno radicale al protezionismo non solo è possibile ma necessario per un impero in declino, un fatto denunciato da analisti critici ma confermato da intellettuali di spicco dell’establishment statunitense, come Zbigniew Brzeziński in un testo del 2012 e, successivamente, da diversi rapporti della Rand Corporation (think tank ultra-reazionario Usa).

Il declino, o dissoluzione se si preferisce, è arrivato insieme a fattori interni critici: la lenta crescita economica, la perdita di competitività nei mercati globali e il gigantesco indebitamento del governo federale.

Se nel 1980 il debito pubblico degli Stati Uniti rispetto al PIL era del 34,54%, oggi ha raggiunto un livello astronomico del 122,55%. A questo si aggiunge l’insostenibile deficit commerciale, che continua a crescere e nel 2024 ha raggiunto i 131,4 miliardi di dollari, circa il 3,5% del PIL. Questo perché gli USA consumano più di quanto producono.

A questa costellazione di fattori interni di indebolimento imperiale si somma il deterioramento della legittimità democratica, evidenziato dall’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 e dai recenti e diffusi perdoni concessi da Trump a favore di circa 1.500 assalitori condannati dalla magistratura.

Invece del consenso bipartisan, oggi c’è una profonda frattura che mina il sistema politico, di cui il trumpismo è solo un’espressione.

A questo quadro già complesso si aggiungono i cambiamenti epocali nell’ambiente esterno agli Stati Uniti, trasformazioni che hanno modificato irreversibilmente la morfologia del sistema internazionale e i suoi imperativi geopolitici.

La crescita economica fenomenale della Cina e i significativi progressi di altri paesi del Sud Globale, come l’India e diverse nazioni asiatiche, hanno creato barriere oggettive alle pretese di Washington.

Per decenni, gli USA si sono abituati a imporre le proprie condizioni globalmente senza trovare ostacoli. Per quanto Trump possa rimpiangerlo, quell’“epoca d’oro” è finita per sempre, cancellata dal rafforzamento economico e tecnologico dei paesi del Sud Globale. Oggi, i vecchi atti di forza non hanno più lo stesso effetto, tanto meno le guerre commerciali, in cui l’aggressore finisce per essere vittima delle proprie decisioni.

Come se non bastasse, la “scacchiera mondiale” è ulteriormente complicata dall’inaspettato “ritorno” della Russia come potenza globale. Questo ha colto di sorpresa gli esperti ideologizzati dell’impero, convinti dell’eccezionalità degli USA come “nazione indispensabile”.

A causa dei loro paraocchi ideologici, credevano che dopo l’implosione dell’URSS, la Russia fosse condannata in eterno a essere uno spettatore passivo degli affari mondiali. Invece, la capacità militare russa (dimostrata nella guerra in Ucraina) e i successi diplomatici, come la formazione di ampie alleanze (i BRICS+, ad esempio), hanno ribaltato l’equilibrio geopolitico globale a sfavore degli interessi americani.

Il multipolarismo è arrivato ed è qui per restare.

Non sorprende che, di fronte a questi cambiamenti minacciosi (emersi già all’inizio del fallito “nuovo secolo americano”), alcuni studiosi e consulenti governativi abbiano invocato l’esercizio del potere nudo, senza convenzioni o rispetto per la legalità internazionale.

Robert Kagan, in un influente articolo pubblicato dopo l’11 settembre 2001, sostenne che, a differenza dell’Europa, gli USA devono agire in un “mondo hobbesiano anarchico”, dove la sicurezza dipende dall’uso della forza militare. Per lui, il mondo aveva bisogno di un “gendarme globale”, ruolo che solo Washington poteva ricoprire. Da qui la dottrina della “Guerra Preventiva” di George W. Bush, che giustificava l’annientamento di paesi considerati fuorilegge secondo gli standard della Casa Bianca.

Kagan riprende il ragionamento spregiudicato del diplomatico britannico Robert Cooper, secondo cui, fuori dall’Europa o dall’“Anglosfera”, bisogna usare “metodi brutali: forza, attacchi preventivi, inganni”. Vent’anni dopo, Josep Borrell, rappresentante dell’UE, ripeterà questa logica paragonando il “giardino europeo” al “resto della giungla”.

Tuttavia, già prima di Kagan e Cooper, Samuel P. Huntington aveva avvertito dei limiti degli USA come “sceriffo solitario” e dell’insostenibilità dell’unipolarismo. Secondo lui, il comportamento aggressivo di Washington avrebbe finito per creare una vasta coalizione anti-USA, comprendente non solo Russia e Cina ma anche il Sud Globale.

Inoltre, come gendarme del capitalismo mondiale, gli USA sono costretti a imporre i propri interessi con metodi discutibili: pressioni per adottare valori americani, sanzioni extraterritoriali illegali, etichette di “stati canaglia” per chi non si piega. Il risultato? Una crescente resistenza globale.

Militarmente, lo “sceriffo solitario” ha fallito in Corea, Vietnam, Iraq e Afghanistan, e non è riuscito a piegare Cuba né a rovesciare il Venezuela. Oggi, il “guardiano del capitalismo” è più debole e deve affrontare uno scenario internazionale molto più complesso.

Nella sua disperazione, Trump cerca di fermare il tempo, vestendo i panni dello sceriffo e usando la forza bruta come argomento diplomatico principale (“pace attraverso la forza”, come dice Marco Rubio). Ma il suo tentativo di resuscitare l’“ordine mondiale basato su regole” (già morto) è vano.

Trump ne è solo il becchino: ha abbandonato gli accordi di Parigi e l’OMS, tagliato i fondi al WTO e minacciato di lasciare l’ONU. Le sue guerre commerciali, con dazi a effetto boomerang, hanno solo peggiorato le cose.

Nel suo delirio imperiale, gli USA minacciano di imporre la loro volontà su chiunque: dalla Groenlandia (non in vendita) al Canale di Panama (non riconquistabile con la forza), fino al Messico (che rifiuta di etichettare i cartelli come “terroristi”).

Trump aveva promesso di chiudere la guerra in Ucraina in 24 ore, ma due mesi dopo le sue parole sono svanite, perché Putin non rinuncerà alla vittoria militare. E nonostante le pretese pacifiste, Trump continua a finanziare il genocidio israeliano a Gaza.

Finora, Trump e la sua cerchia oligarchica hanno limitato le loro ambizioni a gesti simbolici, ma sul campo delle relazioni internazionali hanno ottenuto poco o nulla. Anzi, il fronte interno si sta indebolendo: il 50% degli americani disapprova il suo operato (sondaggio dell’Economist del 27 marzo).

Tuttavia, in America Latina e nei Caraibi dobbiamo restare vigili. Come avvertivano Fidel e Che, quando le cose vanno male altrove, Washington si ritira nella sua “retroguardia strategica”: la nostra regione. Non esiterebbe a scatenare offensive politiche, mediatiche e militari per instaurare governi “amici” (o dittature feroci) e tenere lontane potenze rivali come Cina, Russia e Iran.

È successo in passato, e potrebbe ripetersi oggi.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento