Il 24 aprile la Cina ha lanciato la 35esima missione del proprio programma spaziale. La navicella Shenzhou-20 è decollata dal sito di Jiuquan, situato in profondità nell’entroterra del paese. A bordo del mezzo ci sono tre astronauti (Chen Dong, Chen Zhongrui e Wang Jie), diretti verso la stazione spaziale Tiangong.
Il lancio è avvenuto in una data simbolica: il 24 aprile 1970 il Dragone aveva portato in orbita il suo primo satellite, il Dongfanghong-1, partito dallo stesso cosmodromo. Ma, al di là dell’anniversario, l’iniziativa è tutto fuorché simbolica. Si tratta di un passo fondamentale per raggiungere l’obiettivo di portare il primo astronauta cinese sulla Luna entro il 2030.
Si prevede che Shenzhou-20 tornerà sulla terra il prossimo ottobre, dopo aver continuato l’opera della precedente missione Shenzhou-19, in procinto di rientrare il 29 aprile. Quello appena partito è il quinto viaggio con equipaggio del Programma Tiangong, ovvero il progetto tutto cinese che ha permesso la realizzazione di una stazione spaziale modulare con finalità primariamente scientifiche.
Lin Xiqiang, portavoce dell’agenzia spaziale cinese (abbreviata in CMSA) ha infatti parlato del fatto che l’equipaggio della Shenzhou-20 condurrà indagini e sperimentazioni biologiche che “potrebbero fornire spunti per affrontare problemi di salute umana correlati a lesioni indotte dallo spazio”. È evidente l’interesse correlato al programmato arrivo sul satellite terrestre.
Anche in questo caso, però, bisogna evitare di pensare che si tratti di un semplice strumento propagandistico. Lo sa bene Ted Cruz, nuovo Segretario di Stato USA, che solo qualche settimana fa ribadiva durante una sua audizione al Senato, in occasione della conferma di Jared Isaacman alla guida della NASA, che Washington deve rimettere piede sulla Luna prima di Pechino.
Gli interessi del Dragone, infatti, sono ben concreti, e sono perseguiti a tutta velocità. Alla Casa Bianca lo sanno bene, e per questo sono preoccupati. Vediamo di evidenziare l’importanza di alcune iniziative cinesi, a partire dal fatto che, dopo il primo sbarco sulla Luna, la volontà è quella di costruire una base stabile sul satellite entro il 2035.
Già lo scorso novembre alla stazione Tiangong sono stati portati dei mattoni di polvere lunare simulata: è attraverso il materiale trovato sullo stesso satellite che si spera di poter abbattere i costi di un’opera del genere. La ricerca scientifica potrebbe giovarne assai, ma rimangono dubbi sulla possibilità che i trattati internazionali offrono riguardo allo sfruttamento delle risorse di quel corpo celeste.
Ad ogni modo, come ha sottolineato Andrew Jones, giornalista della rivista statunitense SpaceNews, “se la Cina avrà una base lunare fissa prima degli statunitensi, detterà le regole che tutti dovranno seguire”. Al di là delle risorse, vi sono importanti questioni come i luoghi in cui è possibile atterrare o quali sistemi di navigazione e comunicazione utilizzare sul satellite.
Ma non è solo questo. Questa base lunare, che prenderà il nome di International Lunar Research Station (ILRS) e dovrebbe cominciare a essere costruita a partire dal 2028, è un progetto di natura collaborativa e internazionale, in cui alla Cina si affianca la Russia e a cui ci si può liberamente associare.
Questo non vale però per gli USA, che nel 2011 hanno approvato il Wolf Amendment che proibisce alla NASA di impegnarsi in progetti comuni con il governo cinese e agenzie collegate senza l’approvazione di FBI e Congresso. Cosa abbastanza difficile da immaginarsi con la composizione che ha da qualche mese a questa parte.
Il problema è che i pro che potrebbe dare a tanti paesi la collaborazione con Cina e Russia si prospettano molto superiori di quelli che offe la Casa Bianca. I mezzi Chang’e 5 e Chang’e 6 hanno già portato a termine il recupero di campioni lunari (il secondo persino dal lato oscuro del corpo celeste), cosa che invece gli USA non hanno mai fatto.
Tali fatti palesano anche un evidente recupero da parte della Cina della distanza che la separava dagli Stati Uniti per ciò che riguarda la robotica spaziale. Ma c’è di più, perché se il rover Perseverance ha già raccolto campioni su Marte ma non è stato ancora organizzato il suo ritorno, il Dragone prevede il lancio di una sua missione con lo stesso scopo entro il 2028.
La propaganda è semmai quella di Jared Isaacman, il quale ha intrecci affaristici con Elon Musk e che ha parlato di arrivare, appunto, sul pianeta rosso. Cosa da considerarsi pressoché impossibile senza aver preliminarmente studiato i campioni raccolti su di esso. Cosa che comunque rimane di discutibile interesse.
Infatti, il nodo dello spazio non è tanto – o non è ancora, diciamo così – quello della colonizzazione, ma semmai quello del controllo delle orbite terrestre e lunare, cosa che prevede il dispiegamento di satelliti (come i Queqiao cinesi per il lato oscuro della luna), ma anche di infrastrutture e della robotica avanzata collegata. Su cui la Cina ha mostrato grandi capacità.
A ciò si aggiungono anche le missioni di studio e campionamento di alcuni asteroidi, ma anche e soprattutto il programma di condivisione dati dei satelliti dei paesi BRICS, partito nel maggio del 2022. Lo sviluppo di questa costellazione per il telerilevamento vuole essere usato per affrontare possibili disastri.
I servizi satellitari che il Dragone vuole offrire sono anche esplicitamente diretti ai partecipanti della Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta, con l’obiettivo di aiutare i vari paesi nello sviluppo delle loro capacità spaziali e nel progresso delle attività agricole, della prevenzione dei disastri e delle iniziative per le smart cities.
Insomma, l’assunzione di un ruolo guida nel settore spaziale significa assumere un ruolo guida nelle opportunità di sviluppo futuro di importanti aree del mondo. Si capisce perché a Washington sbraitino senza poter però davvero arrestare l’ascesa cinese.
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