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24/04/2025

“Illegittimo scavalcare il Parlamento Europeo”, ma non è una battuta d’arresto del riarmo

In una sessione a porte chiuse la Commissione Affari Giuridici del Parlamento Europeo (JURI) ha bocciato all’unanimità la decisione di Ursula von der Leyen di eludere il voto dell’Eurocamera per il piano Readiness 2030, ovvero quello che prima era il ReArm Europe. La scelta del vertice della Commissione Europea era già stato indicato come illegittimo dal servizio giuridico dell’Assemblea.

von der Leyen aveva deciso di attivare l’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), che esclude il Parlamento Europeo dalle procedure di consultazione per le misure proposte dalla Commissione, sulla base di criteri di urgenza del provvedimento. Cosa che non è stata riscontrata in questo caso specifico – parliamo di un piano che porta il 2030 nel nome....

Bisogna però leggere bene tra le righe delle grandi dichiarazioni che si sono susseguite in merito a questa decisione. Ad esempio, da parte di Lega e pentastellati, tale votazione è stata accolta come la sanzione dell’antidemocraticità e dell’abuso di potere perpetrato da Bruxelles. Cosa che è sicuramente vera, ma che è una cifra scritta nella stessa organizzazione istituzionale della UE.

La scelta del JURI, infatti, è semplicemente una raccomandazione non vincolante, a ricordarci il ruolo insignificante del Parlamento. Per la sua commissione, l’uso dell’articolo 122 è considerato non adeguato legalmente per ciò che compete lo strumento SAFE, ovvero il fondo da 150 miliardi per fornire prestiti garantiti dal bilancio UE che, in teoria, dovrebbero aiutare acquisti congiunti.

Il famoso piano da 800 miliardi è stato già approvato dal Parlamento Europeo con una netta maggioranza (419 voti a favore, 204 contrari e 46 astenuti), insieme al Libro bianco sulla difesa. L’adozione dell’articolo 122 era semmai il tentativo di von der Leyen di rispondere alla richiesta di Draghi di muoversi in fretta, senza però considerare i mal di pancia che avrebbe creato tra gli europarlamentari.

Ora lo JURI invierà le proprie decisioni alla presidente dell’Aula di Strasburgo, Roberta Metsola. La quale potrà cercare una mediazione con Bruxelles sul fatto che, per quanto si può ad ora evincere, il Parlamento individui nell’articolo 173 del TFUE, riguardante la competitività dell’industria nella UE, la base giuridica sottostante il SAFE. È una questione di affari, non di urgenza improrogabile tale da bypassare l’Assemblea.

Rimane il fatto che sarà la Commissione a decidere su cosa fondare le proprie proposte. Quello che potrebbe succedere, se von der Leyen procedesse spedita sulla propria strada, è che i parlamentari europei potrebbero ricorrere alla Corte di Giustizia Europea, e in questo caso davvero rallenterebbero il percorso già deciso e approvato del piano Readiness 2030.

Al centro del dibattito c’è perciò lo strumento finanziario che garantirebbe anche ai paesi più indebitati di poter usufruire di una fetta del riarmo europeo e della conversione bellica dell’industria comunitaria. A conferma di come le prospettive militaresche unioneuropeiste siano tutte interne alla gabbia dei trattati e al processo di gerarchizzazione continentale.

Il voto della Commissione di Strasburgo avvenuto ieri non ha nulla a che vedere, nella sostanza, con l’antidemocraticità delle istituzioni comunitarie e con i meccanismi di funzionamento rodati della UE, ma si configura come un gioco politicista tutto interno ai vari organi e alle compagini politiche: così va letta l’unanimità arrivata anche da rappresentanti della maggioranza Ursula.

I parlamentari vogliono poter discutere nei dettagli la parte che coprirà gli acquisti comuni, perché è evidente sarà quella più delicata negli equilibri interni della UE, al di là della parte di cui tutti potranno avvantaggiarsi in virtù delle proprie capacità di bilancio (che sappiamo essere importanti solo per la Germania). Saranno quei 150 miliardi su cui potranno davvero esaudire i desiderata delle lobbie che agiscono direttamente sui gangli comunitari.

È una questione di spartirsi il bottino tra consorterie varie, senza mettere in discussione la strada imboccata. Sarà comunque interessante vedere, nel caso in cui si arrivasse a un voto in Parlamento, cosa faranno, ad esempio, gli esponenti del campo largo: sulla difesa comune, in varie accezioni, c’è meno distanza, ma potrebbe essere un’ulteriore occasione di divisione.

Nella crisi della UE si agitano fenomeni da tenere d’occhio per chi vuole costruire un’alternativa politica realmente indipendente.

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