Le ricette keynesiane non portano da nessuna parte. La crisi non è solo
finanziaria. Intervista a Luciano Vasapollo. “Bisogna avanzare verso il
superamento del capitalismo”.
Il giornale Semos Galiza ha intervistato Luciano Vasapollo,
economista e direttore del Cestes, in occasione del forum economico
internazionale “Comprendere le cause della crisi” tenutosi a fine
novembre, forum organizzato dalla fondazione Fesga e dal sindacato conflittuale CIG della Galizia.
Professore Lei definisce la UE come una “Super-Germania” e l’euro come un “super-marco”.
La costruzione europea, dell’unione sia come potenza geo-economica sia
come area monetaria, è la costruzione di un polo imperialista che
compete contro gli USA e altri attori. Nel quadro della competizione
globale c’è l’area del dollaro, l’area asiatica e anche l’area europea.
Pertanto, la costruzione europea è una costruzione imperialista, al
servizio di una visione economica, politica, monetaria e potenzialmente
militare. Il nucleo duro è il modello tedesco, con la sua forza
economica, con il suo modello esportatore, con il marco che è stata la
moneta più forte sulla quale si è costruito l’euro. Tutta la costruzione
europea si basa ed è incentrata sul ruolo imperialista. Questo vuol dire
che paesi come Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna sono stati
costretti a essere funzionali alla nuova divisione internazionale del
lavoro, a questo modello esportatore dell’impresa tedesca e alle
regole volute e imposte dal sistema bancario tedesco e quindi dalla
BCE.
Che ruolo ha la periferia europea nell’attuale UE?
A partire dai primi anni ‘70 fu deciso di costruire un modello in cui
l’industria tedesca doveva essere centrale e l’esportatore principale
che ha sempre bisogno, logicamente, di qualcuno che importi all’interno
di una proprio polo geoeconomico e geopolitico di riferimento. Per questo
nell’area semiperiferica dei paesi mediterranei, si sono forzati i processi di delocalizzazione produttiva, privatizzazione e fine dell’intervento degli Stati nell’economia. Ciò ha permesso che all’interno della costruzione dell’UE non si rafforzassero
competitori industriali contro la Germania e allo stesso tempo si sviluppasse
un’economia importatrice e di consumo, il cui principale settore sarebbe stato quello dei servizi a basso valore aggiunto. Tutto
quello che succede oggi nell’Europa mediterranea è il risultato di ciò
che si è iniziato a fare dai primi anni ‘70, periodo in cui è iniziata
la crisi attuale. Quella che noi viviamo non è una crisi finanziaria,
non è solo una crisi ciclica iniziata nel 2007; è una crisi che
origina dopo la fine degli accordi di Bretton Woods, una crisi sistemica
di sovra-accumulazione di capitale e in questo contesto va riducendosi
sempre più lo spazio competitivo a livello internazionale. E' per questo
che i potentati economico-finanziari europei necessitano di un’area
monetaria e politica molto forte, perché se così non fosse, la Germania
non avrebbe spazio nella competizione globale.
Abbandonare l'euro e l'Unione Europea è una pazzia o una misura necessaria?
Se si pensasse di uscire dall’euro con una via “ nazional-fascistoide”, con un singolo paese, con la vecchia moneta, la finanza internazionale
non lo permetterebbe e si rafforzerebbe l’attacco speculativo
finanziario e monetario. Ma, se si partisse da un nuovo protagonismo
della classe lavoratrice in una visione internazionalista capace di
porsi sul terreno con percorsi e processi di lotta volti a far uscire contemporaneamente e in maniera congiunta dall’euro, tre,
quattro o cinque paesi, per costruire un’alleanza economica e
commerciale, con una moneta virtuale di compensazione, questa formula
doterebbe questi territori della stessa forza che ha oggi l’ALBA in
America Latina.
L’unico modo è iniziare a dare battaglia a partire dal
movimento sindacale conflittuale e dai movimenti sociali, affinché non
si paghi il debito, e destinare le risorse economiche a investimenti di
carattere sociale. Nello stesso tempo, è necessario nazionalizzare le
banche, che significherebbe poter orientare la linea di credito verso i
settori strategici, e, come anche si sta facendo nell’ALBA,
nazionalizzare i settori energetico, trasporti e
telecomunicazioni, rafforzando il ruolo pubblico nella sanità, nell'istruzione, nei sistemi pensionistici e di sostegno al
reddito. Tutto ciò darebbe un ulteriore impulso all'economia in una
dimensione sociale, efficiente e solidale.
E’ in completo disaccordo con le tesi che riducono al solo aspetto finanziario la portata di questa crisi?
E’ molto conveniente e strumentale per gli agenti del capitale e per
gran parte della "sinistra" europea occidentalcentrica, parlare solo di
crisi finanziaria. Perché se la crisi fosse solo finanziaria, si
potrebbe risolvere facilmente e immediatamente. Come? Con la
regolamentazione dei mercati, dopo averne imposto la deregolamentazione
forzata. Se si dovesse pensare che funziona il capitale produttivo e non
funziona il capitale finanziario, l’unica cosa che si dovrebbe fare,
secondo questa tesi, sarebbe imporre regole di controllo ed “equità” al
capitale finanziario. Ma questa è una pazzia e una falsità. Perché oggi
il grande capitale finanziario e il grande capitale produttivo sono
intrecciati uno all’altro. Inoltre, lo sfruttamento della forza lavoro
avviene nel circuito della cosiddetta economia reale, non nel circuito
finanziario. Il capitale produttivo necessita della finanza, perché quando
non esiste il margine per un tasso di profitto conveniente in un ciclo produttivo
completo di valorizzazione del capitale, si utilizza la finanza per
trasformare i proventi in rendita e tentare di sopravvivere. I grandi
nuclei del capitale sono nello stesso tempo produttivi e finanziari.
Accettare questa idea di combattere solo la finanza significa non avere
un’idea anti-capitalista di superamento dell’attuale modo di produzione.
Esiste un’alternativa al capitalismo?
Esiste, è chiaro. Non accettare le regole del capitale. Capire che
questo capitalismo non è riformabile, che da questa crisi non si esce
con un nuovo modello keynesiano, che
rimane comunque compatibile alle regole di sfruttamento del modo di
produzione capitalista. L’uscita deve passare per il controllo della
tecnologia e per il ritorno alla centralità della politica che determini regole e condizioni dell’economia e non il contrario come avviene
nel capitalismo. E’ necessario un nuovo ruolo protagonista delle/dei
lavoratori e dei movimenti sociali, affinché si realizzi un primo passo
di lotte per rivendicazioni sul terreno tattico della ridistribuzione
della ricchezza, ma mantenendo sempre la linea, l’orizzonte strategico,
della conquista di fette di potere nel conflitto capitale-lavoro per il
necessario obiettivo di superamento del modo di produzione
capitalistico.
Oggi proporre di non pagare il debito, di nazionalizzare le banche e i settori strategici, di uscire
dall’Europa dell’euro, può rilanciare una forte ripresa della diverse
forme di lotta che la classe lavoratrice può concretamente attivare
contro il capitale nelle sue diverse configurazioni, significa combinare
ogni sforzo tattico per corretti e necessari obiettivi di
ridistribuzione di reddito e della ricchezza, con l’idea di creare una
soggettività di classe in cui sia sempre ben chiaro il percorso
strategico del superamento dell’attuale sistema dello sfruttamento
capitalista.
Traduzione a cura di Paola Tiberi
Fonte
Ho ampiamente reinterpretato la traduzione pubblicata dalla fonte perché linguisticamente contorta e in alcuni casi concettualmente discordante tra i periodi che la compongono. Credo che nel complesso l'articolo ci abbia guadagnato.
Consiglio, in ogni caso, anche la lettura dell'originale.
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