Gli stessi giornali che incensano Monti hanno scoperto - grazie soltanto all'Istat - che in effetti la povertà sta colpendo fasce sempre più ampie di popolazione.
A loro scusante, se fossero ingenui, potrebbero invocare il fatto che i dati dell'istituto centrale di statistica sono relativi al 2011, e quindi non imputabili al Professore a capo del "governo tecnico". Certo, ognuno sa che nel 2012 le cose sono andate molto peggio, ma i dati saranno disponibili solo fra qualche mese. Quindi questa parte può intanto essere addebitata a Berlusconi (e Tremonti, Sacconi, Brunetta, ecc; meglio non dimenticare i protagonisti principali della "politica economica" - si fa per dire - del governo del Caimano). Anche perché, con la faccia di teflon, pensano di potersi ripresentare come i salvatori del popolo dalle vessazioni Ue.
Vediamo cosa dice l'Istat, intanto.
Nel 2011, il 28,4% delle persone residenti in Italia è a rischio povertà o esclusione sociale. Si tratta di categorie statistiche elaborate nell'ambito della strategia Europa 2020, quindi internazionalmente riconosciute ed omogenee. L'indicatore deriva dalla combinazione del rischio di povertà (calcolato sui redditi 2010), della severa deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro, ed è definito come la quota di popolazione che sperimenta almeno una delle suddette condizioni.
Rispetto al 2010 l'indice cresce del 3,8% a causa dall'aumento della quota di persone "a rischio di povertà" (dal 18,2% al 19,6%) e di quelle che soffrono di "severa deprivazione" (dal 6,9% all'11,1%). E' invece rimasta stabile, dopo l'aumento osservato tra il 2009 e il 2010, la quota di persone che vivono in "famiglie a bassa intensità di lavoro" (10,5%).
Il rischio di povertà o esclusione sociale è più elevato rispetto a quello medio europeo (24,2%), soprattutto per le componenti della "severa deprivazione" (11,1% contro una media dell'8,8%) e del "rischio di povertà" (19,6% contro 16,9%). E' da ricordare che la media europea tiene conto dei paesi dell'Est (ancora molto lontani dagli standard di vita cui eravamo abituati in Europa occidentale) e degli altri Piigs in caduta.
Aumentano gli individui che vivono in famiglie che dichiarano di non potersi permettere, nell'anno, una settimana di ferie lontano da casa (dal 39,8% al 46,6%). Aumentano anche coloro che non si possono permettere di riscaldare adeguatamente l'abitazione (dall'11,2% al 17,9%); ed anche quelli che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 33,3% al 38,5%). Peggio ancora, coloro che, se volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni (dal 6,7% al 12,3%). Come si vede, si tratta di "consumi" tutt'altro che voluttuari, e che incidono pesantemente sulle condizioni di vita. Ad esempio, la scarsità di alimentazione adeguata e le carenze di riscaldamento durante l'inverno sono certamente tra i fattori che riducono seriamente le "aspettative di vita".
Naturalmente la distribuzione del rischio povertà non è omogeneo sul territorio nazionale. Il 19,4% dei residenti nel Mezzogiorno è "gravemente deprivato", valore più che doppio rispetto al Centro (7,5%) e triplo rispetto al Nord (6,4%). Nel Sud l'8,5% delle persone senza alcun sintomo di deprivazione nel 2010 diventa gravemente deprivato nel 2011, contro appena l'1,7% nel Nord e il 3% nel Centro.
E questo avveniva l'anno scorso...
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