Un filo nero unisce la vicenda delle indagini sulle trattative
Stato-Mafia (la maiuscola diventa d'obbligo anche per la seconda, visto
che il primo c'è sceso a patti) con quella del decreto sull'Ilva, che
strappa ai giudici ogni potere di controllo sulle attività industriali
pericolose.
In tutta Italia, è necessario sottolineare.
Entrambe le partite, infatti, si giocano sul terreno della divisione dei
poteri dello Stato, ed entrambe avvengono sotto il segno della
prevalenza del potere esecutivo su quello giudiziario. Il match infinito che
Berlusconi non era mai riuscito a chiudere, nonostante un mare di leggi ad personam e
scontri belluini, si avvia ora alla conclusione sotto la spinta di un
governo “tecnico” e la sponda d'acciaio offerta dalla presidenza della
Repubblica. Il potere politico, da sempre, pretende l'impunità per sé e
il silenziamento dei nemici. Se ne ha un'eco ogni giorno, per
esempio nelle parole del ministro Clini che pretende “ora nessun si
opponga al decreto”. Oggi questo potere sta arrivando a chiudere la
frattura che si era aperta, non a caso, nella stagione delle stragi di
mafia. Quando la magistratura assunse quasi da sola il compito di
rappresentare la “sovranità dello Stato” mentre il governo – e il
processo deciderà se ciò è avvenuto attraverso i ministri dell'interno e
della giustizia d'allora – apriva febbrili canali di comunicazione con i
corleonesi.
Ma è da oltre 30 anni che la magistratura italiana
“supplisce” alle carenze di una classe politica al di sotto della
soglia, e spesso anche della decenza. Si cominciò nella seconda metà
degli anni '70, quando l'affronto della lotta armata di sinistra fu
delegato in toto agli organi inquirenti – quattro polizie e giudici –
fino al punto di incaricare dei magistrati a scrivere le norme che il
Parlamento doveva approvare e che loro avrebbero dovuto, per
Costituzione, soltanto applicare. Una prima delega “tecnica”, potremmo
dire, che ha fatto da format risolutore in tutte le crisi politiche
successive.
Avvenne lo stesso all'epoca di Tangentopoli, quando
una classe politica ossificata, ormai divenuta inutile a causa della
caduta del Muro, fu messa da parte con il marchio dell'ignominia e
sostituita – al governo o al Colle – da funzionari di vertice della
Banca d'Italia. E così, naturalmente, per la lotta alla grande
criminalità organizzata.
La “sinistra” parlamentare d'allora,
che non era ancora mai arrivata al governo, sponsorizzò tutte le deleghe
possibili ai giudici nella evidente tentazione di aprirsi i portoni del
Palazzo senza passare per un conflitto politico-sociale-elettorale
vissuto come rischioso e forse impossibile da vincere. Il “populismo
manettaro” sostituì rapidamente la prospettiva del socialismo o del
progressismo per una vasta parte di quello che era stato “il popolo
della sinistra”. Sopravvive ora in altri “movimenti d'opinione”, ma
nasce da lì.
Ogni soluzione impropria è destinata però a vita
breve. Già l'avvento di Berlusconi aveva chiarito che quello schema e
quella delega non poteva tenere. La stessa lotta al Cavaliere venne
perciò a sua volta “delegata” alla parte di magistratura che si era
sempre sentita “in prima linea”, prolungando così l'esistenza di una
frattura inimmaginabile in altri paesi occidentali.
Ora
l'”invasione” della Troika punta a mettere rapidamente fine a questa,
come a molte altre “anomalie” italiane. Nella persistente debolezza del
movimento di classe e nell'inesistenza di un'opposizione parlamentare,
sono rimasti i giudici a rappresentare il principale ostacolo istituzionale al pieno dispiegamento del nuovo potere imprenditorial-finanziario di stampo “europeo”.
Non è dunque “la politica” a riprendersi uno spazio che in linea di
principio dovrebbe esser suo (le scelte sulle strategie industriali,
sugli interessi da privilegiare e quelli da scoraggiare, ecc). Anzi. Mai
come in questo frangente “la politica” – come sfera autonoma – è
scomparsa dalla scena.
L'intangibilità della presidenza della
Repubblica anticipa e prefigura il ridisegno istituzionale del prossimo
futuro. Un'autentica “zona rossa” ostile alle istanze che salgono dalla
società.
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