L'uomo di Goldman Sachs si dimette per tornare subito, scompaginando il "bipolarismo obbligato" e per instaure l'autocrazia del grande capitale finanziario.
Forse qualcuno si va accorgendo di quanto andiamo scrivendo da mesi. Non perché ci abbia letto, supponiamo, ma per l'evidenza della realtà stessa.
Vi proponiamo questo pezzo dall'Huffington Post edizione italiana, che comincia a cogliere la novità vera della presenza di Monti sul mercato politico. Non un “Capo” carismatico come altri provano a trovare, ma nemmeno un grigio burocrate venuto pro tempore a far rispettare impegni internazionali altrimenti facilmente disattesi.
Monti è stato mandato a “rifare” l'Italia in un modo tale che possa funzionare da paradigma europeo. Il programma – dichiarato ormai con imbarazzante chiarezza da Monti stesso – è far arretrare le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione fino al punto in cui (secondo i manuali di macroeconomia liberista) diventano “competitive” con quelle di paesi che stanno soltanto ora approdando alla “civiltà industriale”. Si tratta di un esperimento mai tentato prima in tempi di pace. Obiettivi così sanguinosi, fino alla seconda guerra mondiale, venivano raggiunti con una bella sequenza di stermini sui campi di battaglia e soprattutto con bombardamenti a tappeto tali da distruggere la “capacità produttiva in eccesso”. Un modo brutale ma capitalisticamente “normale” di far ripartire l'accumulazione su nuove e più ristrette basi.
La bomba atomica diffusa, com'è noto, ha bruciato questa possibilità. I paesi o le aree continentali di potenza industriale simile dispongono di testate nucleari sufficienti a distruggere più volte il pianeta. La guerra si introverte dunque all'interno dell'occidente, diventa guerra alla popolazione.
Le parole spese da Monti in conferenza stampa e poi nel faccia a faccia con Lucia Annunziata non hanno ovviamente avuto un simile grado di chiarezza. Ma hanno individuato esplicitamente i nemici da battere: la rappresentanza del lavoro, intesa come sindacati e partiti politici. Quel definire “arcaica” la Cgil e “conservatore” il suo affannato scudiero politico (Vendola) è qualcosa di più di un innalzamento della conflittualità retorica tipica di una campagna elettorale agli inizi. È segno di una cultura e un programma, ossia di interessi strutturati che non ammettono più mediazione. Perché non ne sentono più il bisogno.
Le sue frustate a destra sono state di tutt'altro segno. L'accusa, in questa direzione, è di inadeguatezza al compito che “la classe dirigente” nazionale è chiamata a compiere. Il localismo e il nazionalismo sono residui di un pensiero reazionario d'altri tempi. La reazione attuale si considera come sempre “rivoluzionaria” rispetto al semplice conservatorismo. Rappresentante dunque di nuovi assetti, nuove figure sociali (il capitale finanziario multinazionale), non delle sopravvivenze insicure (appaltisti, monopolisti in concessione, corruttori e concussi, piccola e media impresa, anche criminale, ecc).
Chiarissimo anche l'obiettivo di brevissimo periodo: spaccare entrambi i poli fin qui dominanti nell'osceno “bipolarismo forzato” all'italiana. E ricomporne le parti disponibili intorno all'unico programma che possa esistere: l'agenda Monti, ovvero la “lettera della Bce”, il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio per sempre, la riduzione a nulla della spesa sociale (a cominciare da quella sanitaria, che incide immediatamente sulla lunghezza della vita media e quindi può contribuire rapidamente anche alla riduzione del “monte pensioni”, se muori prima, se ne pagheranno meno e per meno tempo).
Spaccare e saldare altrimenti. E che il resto si cuocia nel suo brodo. La frase chiave: "Non mi schiero con nessuno", ma "sono disponibile a fare il premier con chi condivide la mia agenda". Della serie: "non sarò secondo o alleato di nessuno, perché o qui comando io o comando io". Un grande mediatore, non vi pare?
Chiarissimo. L'unica incertezza è: ma Bersani e Vendola se ne sono accorti? Se sì e non sono d'accordo dovrebbero dichiarare guerra agli “impegni europei”. Se no, cambiassero mestiere, perché non sono tagliati per la politica di questi tempi di crisi. C'è l'ipotesi che se ne siano accorti e facciano finta di nulla, sperando di non essere scaricati a terra una volta terminata questa transizione dal “bipolarismo straccione” all'autocrazia conclamata. Ma è inutile parlare agli illusi...
Elezioni 2013, Mario Monti scende in campo: "Pronto a fare il premier ma a mie condizioni". E illustra la sua agenda per scomporre Pd e Pdl
Alessandro De Angelis
"Se una o più forze politiche, con credibile adesione alla mia agenda, manifestasse il proposito di candidarmi a presidente del Consiglio, valuterei la cosa. A nessuno si può impedire di fare questo. Verificate tante condizioni, sì". C'è qualcosa di nuovo, irregolare, irrituale nella discesa in campo di Mario Monti. C'è davvero una cesura profonda con tutte le discese in campo di questa strampalata Seconda Repubblica. Detta in sintesi: c'è il metodo, prima ancora dell'Agenda, e prima ancora della candidatura a premier. E il metodo è chiaro. Il Professore, nel corso della conferenza stampa di fine anno, ha esposto la sua visione del futuro del paese. Esponendo i punti qualificanti del suo manifesto politico, "Cambiare l'Italia, riformare l'Europa, Agenda per un impegno comune".
E sui contenuti ha avviato il confronto, essendo l'agenda aperta quanto basta per recepire le idee dei futuri compagni di viaggio, ma altrettanto definita per non essere stravolta. Da questo dipenderà la formula del suo impegno: prima la verifica su chi e come nel mondo politico e nella pubblica opinione condivide la sua Agenda, poi la valutazione sull'impegno diretto. Un metodo che non rappresenta un modo per tenere aperta una sorta di uscita di sicurezza, visto che ormai Monti ha fissato un punto di ritorno, facendo della sua visione un punto fermo del confronto politico dei prossimi mesi. Ma che serve a fissare i confini di una discesa in campo ordinata, consapevole, ragionata: "La mia agenda - spiega il premier - è chiara e aperta a tutti per coalizioni ampie. Alle forze che manifesteranno adesione convinta e credibile all'agenda Monti, sono pronto a dare incoraggiamento e se richiesto anche guida, e sono pronto ad assumere un giorno, se le circostanze lo volessero, responsabilità che venissero affidate dal Parlamento".
Insomma è dalle reazioni che ci saranno di fronte al suo manifesto che deriveranno le successive valutazioni. E quanto il metodo sia importante si capisce anche nella seconda performace pubblica, quando ospite nella trasmissione In Mezz'ora di Lucia Annunziata, il Professore, proprio alla fine pronuncia forse una delle frasi più significative della sua giornata: "Se volessi restare nel mondo della politica e delle istituzioni non prendere nessuna iniziativa sarebbe il modo più tranquillo per avere forse qualche altra occasione istituzionale".
C'è un cambio di passo, nell'accettare la sfida della politica, ma su un terreno nuovo. E c'è un mettersi in gioco anche personale. Come dire, sarebbe stato più comodo mettermi a guardare e aspettare il prossimo incarico, invece ci metto la faccia a modo mio: "Credo che un'operazione di riflessione collettiva di questo tipo - dice il premier - comporta molti rischi e un'alta probabilità di insuccesso, ma possa fare un po' più la differenza per le cose future italiane che occupare o non occupare questa e quella alta carica dello Stato".
E a ben vedere questa impostazione va ben oltre il tormentone sul "come" sarà l'assetto elettorale delle forze che lo sostengono. L'ipotesi più accreditata è una lista unica al Senato e una coalizione alla Camera, con nel simbolo la sigla "per l'agenda Monti". Nell'operazione è assai più importante vedere quando sia "costituente" di una nuova dinamica politica, dopo che i primi giorni di campagna elettorale sembrano aver portato indietro l'orologio della storia. Non è un caso che, nel corso di In Mezz'ora, il Professore si sia rivolto, di fatto, a tutti coloro che nei due poli si riconoscono nel suo Manifesto, come Pietro Ichino, e soprattutto alla società civile che si sta distaccando dalla politica: "La nostra agenda non è indirizzata al centro, non a destra e non a sinistra: è modestamente un'agenda erga omnes, chiunque trova titolo di interesse la consideri". E non è un caso che nella conferenza stampa ha spiegato bene attorno a quali principi ci possa essere una scomposizione e ricomposizione dei poli: "Di fronte alle sfide che si trova davanti l'Italia la classica divisione orizzontale, tra destra e sinistra è superata. Ci sono cespugli di volontà riformista in entrambi gli schieramenti".
Si misureranno, nelle prossime settimane, sull'agenda esposta oggi da Monti. Un'agenda già molto dettagliata su molti punti. Ecco i principali: 1) non distruggere ciò che si è fatto nell'ultimo anno; 2) non sottrarsi alle linee guida della Ue, ma contribuire a costruirle ("senza credibilità del paese, alle pacche sulle spalle segue il risolino"); 3) non promettere di togliere l'Imu "perché l'anno successivo bisognerebbe rimetterlo doppio"; 4) lottare contro la denatalità; 5) proseguire con le linee guida europee per abbassare lo spread ("nel novembre 2011 era il doppio di adesso"; 6) riformare il mercato del lavoro, nella direzione di una maggiore flessibilità ("Vendola dice che sono un conservatore, per me il conservatore è lui, e la Cgil è nobilmente arcaica"); 7) varare riforme sulla giustizia, dall'anticorruzione da approfondire al falso in bilancio ("Norme ad nationem più che ad personam"). Praticamente la lettera inviata dalla Bce un anno fa, aggiornata e corretta. Assai più vincolante del solo nome in un simbolo elettorale.
Fonte
Il cantiere per la costruzione delle terza repubblica si può considerare ufficialmente aperto. A giudicare dai progetti, ne uscirà certamente un'opera di merda.
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