La crisi del sistema porta con sé la fine del lavoro?
"Lavorerai con sudore, partorirai con dolore". Chissà se la
maledizione biblica vedeva un collegamento tra le due cose. Che sia per
l'aumento della popolazione, o per la crisi economico-finanziaria, la situazione del lavoro è tragica per tutto il pianeta.
In Italia, le notizie recenti riportano come la disoccupazione stia crescendo a livelli record, e che il 2013 sarà se possibile anche peggio.
Dagli USA, arrivano notiziole di poco valore che dovrebbero essere
confortanti, la disoccupazione in calo per miseri 146 mila posti di
lavoro creati a novembre.
Se invece, come piace a noi, guardiamo i dati da una distanza un po'
meno vicina che ieri mattina, ecco il drammatico grafico in apertura
che si riferisce proprio agli States. Un crollo senza possibilità di
scuse. Un Paese che, dal 95% di occupati del 1969, è
passato a poco più del 58; dove un quarto della popolazione vive intorno
alla soglia di povertà, dove chi lavora spesso deve fare tre lavori al
giorno per arrivare a fine mese, dove i laureati lavorano gratis. La classe media è completamente distrutta.
Altrove non va meglio. In Spagna i senza lavoro sono 5 milioni, in Francia la disoccupazione è cresciuta al 10,3% nel terzo trimestre, in Grecia è al 26. Persino in Cina
decine di migliaia di laureati e diplomati si affollano in file di ore
per la speranza di un colloquio, mentre l'economia rallenta (guardate le foto, impressionanti).
La sensazione è che stia finendo il lavoro. Non ce n'è più per tutti,
qualsiasi cosa si faccia, qualsiasi preparazione si abbia, qualsiasi
capacità o conoscenza si sia in grado di offrire. E questa è
probabilmente la prospettiva più agghiacciante nella fine del nostro
sistema.
Fonte
I prossimi paradigmi su cui si reggerà il mondo (salvo estinzioni premature della razza umana) dovranno gioco forza essere slegati dalla centralità che il lavoro ha nella società attuale.
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