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20/12/2012

I peggiori miglioristi

Sorpresa! Napolitano e Monti non vanno più d'amore e d'accordo. Siccome pensiamo che la politica sia affari tra classi e interessi sociali, non competizione tra “personalità”, cerchiamo di capire meglio da cosa origina questa crisi del tredicesimo mese.

I “retroscenisti” - triste specializzazione giornalistica che ha avuto tra i sommi tale Augusto Minzolini, poi indimenticabile direttore del Tg1 berlusconiano e ora dimenticato – si affannano a spiegare che la “frizione” tra i due registi dell'”invasione della Troika”, origina dalla tempistica con cui il presidente del consiglio ha preannunciato le dimissioni in seguito all'astensione del Pdl sul “decreto sviluppo”.

Un po' risibile, come motivo. Un “asse” di ferro come quello creato poco più di un anno fa, quando Napolitano nominò Monti come senatore a vita e premier nel giro di 24 ore, non si incrina per ragioni stupide e piccoli errori tattici.

Il problema, a nostro avviso, è l'investitura della destra europea che Monti ha cercato e ricevuto in sede di vertice del Partito Popolare Europeo a Bruxelles, la settimana scorsa. Se ne era parlato solo in chiave pro o contro Berlusconi, come si usa fare in Italia invece di capire quel che accade. E lì, in effetti, il Cavaliere è stato fucilato da coloro che lo avevano fin qui avallato (Merkel, i successori di Sarkozy, Rajoy, Maertens, ecc) e sostituito in tempo reale con il premier venuto dai cieli della Trilaterale.

Repubblica e gli altri rintronati “progressisti” che seguono da sempre un solo schema mentale avevano interpretato – o raccontato – questa fucilazione come “la volontà dell'Europa”. Un po' come accade per le “riforme strutturali”...

Ma in quel caso non era affatto “l'Europa” – o meglio l'Unione europea – ma una sua parte politica. E precisamente la destra europea. Certo, non quella di Storace o di Le Pen, ma comunque quella che annovera tra i suoi leader ex franchisti come Rajoy e Aznar, e tanti altri “conservatori” in simil-orbace.

Quella “sostituzione”, quindi, non era affatto “istituzionale” e tantomeno “tecnica”. Anzi, proprio quella sortita ha tolto a Monti l'aura intoccabile del “salvatore disinteressato della patria”, iniziando a trasformare l'intoccabile “rispettato da tutte le cancellerie del mondo” in uno dei normali protagonisti della scena politica nazionale, o almeno in un primus inter pares.

Il malumore del Pd bersaniano è stato subito vivace. E tanto più forte quanto più negato. Ma non si tratta di un contrasto di “agenda”. Quella “Monti” va benissimo per tutti, come ha ripetuto Napolitano anche ieri, tra una frecciatina e l'altra al premier. Anche perché quella, sì, ce la impone l'Europa della Troika.

Il problema è come – istituzionalmente – quel compito obbligato viene assolto. Attraverso una prosecuzione della formula “tecnica” di espropriaziopne anche formale della “politica” oppure tramite il riconoscimento di ruolo di un classe politica più che disponibile al lavoro sporco?

Detta altrimenti: è indispensabile che l'Italia venga visibilmente governata da un mandatario di poteri superiori o è meglio che le stesse politiche vengano realizzate “come se” fossero un'autonoma scelta nazionale con tanto di consenso elettorale? Ne discendono due modalità istituzionali differenti: un grado di identificazione popolare nelle leadership nulla o poco possibile con una ristrutturazione del “modello sociale” fatto a colpi di mazza (modello Monti-Fornero) oppure un pugno di ferro in guanto di velluto (modello Bersani-Camusso).

Del resto Monti non ha mai fatto mistero di voler “rieducare” il paese, stravolgere la mentalità corrente, rovesciare equilibri e annientare ruoli “impropri” (come quello “politico” del sindacato). Dal lato Pd, invece, c'è una disposizione a “riformare tutto” ma sotto vesti “continuiste”. Quelle per cui si toglie il welfare “per migliorarlo” o si lascerà l'art. 18 svuotato così com'è perché “garantisce ancora molto”.

Il risultato, alla fine, sarà lo stesso. Il prezzo politico – in termini di conflittualità sociale – un po' differente.

Qui si gioca buona parte della differenza di “gestione” tra impostazioni programmatiche molto simili. Poi, nella frattura, intervengono certamente anche interessi strutturati che temono un troppo brusco passaggio da un regime all'altro (municipalizzate e appalti pubblici, servizi ancora in parte in house, quote di amministrazione pubblica già condannate alla ghigliottina come le amministrazioni provinciali, ecc).

Qualcuno un po' iena potrebbe però chiedere a Napolitano e Bersani, comunque più svegli delle corti a orechio obnubilate che li seguono: ma davvero vi siete accorti soltanto ora di chi è e quali poteri rappresenta Monti? Davvero avevate pensato che affidarsi alla Troika “tatticamente” vi avrebbe facilitato il compito – per voi irrealizzabile – di liberarci da Berlusconi?

Le risposte possibili sono soltanto due: sì o no. Ed entrambe non vi qualificano come dei geni della politica. Ex Pci, insomma.

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