Sorpresa! Napolitano e Monti non vanno più d'amore e d'accordo. Siccome
pensiamo che la politica sia affari tra classi e interessi sociali, non
competizione tra “personalità”, cerchiamo di capire meglio da cosa
origina questa crisi del tredicesimo mese.
I “retroscenisti” - triste specializzazione giornalistica
che ha avuto tra i sommi tale Augusto Minzolini, poi indimenticabile
direttore del Tg1 berlusconiano e ora dimenticato – si affannano a
spiegare che la “frizione” tra i due registi dell'”invasione della
Troika”, origina dalla tempistica con cui il presidente del consiglio ha
preannunciato le dimissioni in seguito all'astensione del Pdl sul
“decreto sviluppo”.
Un po' risibile, come motivo. Un “asse” di
ferro come quello creato poco più di un anno fa, quando Napolitano
nominò Monti come senatore a vita e premier nel giro di 24 ore, non si
incrina per ragioni stupide e piccoli errori tattici.
Il
problema, a nostro avviso, è l'investitura della destra europea che
Monti ha cercato e ricevuto in sede di vertice del Partito Popolare
Europeo a Bruxelles, la settimana scorsa. Se ne era parlato solo in
chiave pro o contro Berlusconi, come si usa fare in Italia invece di
capire quel che accade. E lì, in effetti, il Cavaliere è stato fucilato
da coloro che lo avevano fin qui avallato (Merkel, i successori di
Sarkozy, Rajoy, Maertens, ecc) e sostituito in tempo reale con il
premier venuto dai cieli della Trilaterale.
Repubblica e
gli altri rintronati “progressisti” che seguono da sempre un solo schema
mentale avevano interpretato – o raccontato – questa fucilazione come
“la volontà dell'Europa”. Un po' come accade per le “riforme
strutturali”...
Ma in quel caso non era affatto “l'Europa” – o
meglio l'Unione europea – ma una sua parte politica. E precisamente la
destra europea. Certo, non quella di Storace o di Le Pen, ma comunque
quella che annovera tra i suoi leader ex franchisti come Rajoy e Aznar, e
tanti altri “conservatori” in simil-orbace.
Quella
“sostituzione”, quindi, non era affatto “istituzionale” e tantomeno
“tecnica”. Anzi, proprio quella sortita ha tolto a Monti l'aura
intoccabile del “salvatore disinteressato della patria”, iniziando a
trasformare l'intoccabile “rispettato da tutte le cancellerie del mondo”
in uno dei normali protagonisti della scena politica nazionale, o
almeno in un primus inter pares.
Il malumore del Pd
bersaniano è stato subito vivace. E tanto più forte quanto più negato.
Ma non si tratta di un contrasto di “agenda”. Quella “Monti” va
benissimo per tutti, come ha ripetuto Napolitano anche ieri, tra una
frecciatina e l'altra al premier. Anche perché quella, sì, ce la impone
l'Europa della Troika.
Il problema è come – istituzionalmente –
quel compito obbligato viene assolto. Attraverso una prosecuzione della
formula “tecnica” di espropriaziopne anche formale della “politica”
oppure tramite il riconoscimento di ruolo di un classe politica più che
disponibile al lavoro sporco?
Detta altrimenti: è indispensabile che l'Italia venga visibilmente governata da un mandatario di
poteri superiori o è meglio che le stesse politiche vengano realizzate
“come se” fossero un'autonoma scelta nazionale con tanto di consenso
elettorale? Ne discendono due modalità istituzionali differenti: un
grado di identificazione popolare nelle leadership nulla o poco
possibile con una ristrutturazione del “modello sociale” fatto a colpi di
mazza (modello Monti-Fornero) oppure un pugno di ferro in guanto di velluto
(modello Bersani-Camusso).
Del resto Monti non ha mai fatto
mistero di voler “rieducare” il paese, stravolgere la mentalità
corrente, rovesciare equilibri e annientare ruoli “impropri” (come
quello “politico” del sindacato). Dal lato Pd, invece, c'è una
disposizione a “riformare tutto” ma sotto vesti “continuiste”. Quelle
per cui si toglie il welfare “per migliorarlo” o si lascerà l'art. 18
svuotato così com'è perché “garantisce ancora molto”.
Il risultato, alla fine, sarà lo stesso. Il prezzo politico – in termini di conflittualità sociale – un po' differente.
Qui si gioca buona parte della differenza di “gestione” tra
impostazioni programmatiche molto simili. Poi, nella frattura,
intervengono certamente anche interessi strutturati che temono un troppo
brusco passaggio da un regime all'altro (municipalizzate e appalti
pubblici, servizi ancora in parte in house, quote di amministrazione pubblica già condannate alla ghigliottina come le amministrazioni provinciali, ecc).
Qualcuno un po' iena potrebbe però chiedere a Napolitano e Bersani,
comunque più svegli delle corti a orechio obnubilate che li seguono: ma
davvero vi siete accorti soltanto ora di chi è e quali poteri rappresenta Monti?
Davvero avevate pensato che affidarsi alla Troika “tatticamente” vi
avrebbe facilitato il compito – per voi irrealizzabile – di liberarci da
Berlusconi?
Le risposte possibili sono soltanto due: sì o no.
Ed entrambe non vi qualificano come dei geni della politica. Ex Pci,
insomma.
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