Una benemerita rubrica del mai dimenticato inserto satirico de l'Unità
degli anni 80' titolava: "Chi se ne frega". Immagino che quanto sto per
scrivere potrebbe incorrere negli strali di quella vecchia rubrica, in
fondo a che titolo lo faccio?
Tuttavia rischio e dico che la probabile discesa in campo di Ingroia nelle lista arancione
dei gruppi e dei partiti che lo sostengono non mi convince per niente.
Stimo il magistrato coraggioso, ma quando egli si fa politico il
giudizio non è più sugli atti giudiziari, ma sui progetti e qui proprio
non ci siamo. Affronto subito la prima e decisiva obiezione: a questo
punto, a poche settimane dalle elezioni non si può essere schizzinosi,
le forze di sinistra estranee al centro sinistra debbono coalizzarsi per
non sparire.
Ma questo è proprio il primo punto e forse il più grave su cui
discutere. Monti non è lì da due giorni nè sono due giorni che il
partito democratico ne sostiene i più terribili provvedimenti. Le stesse
primarie hanno assunto come vincolo per tutti i candidati il pareggio
di bilancio costituzionale ed il fiscal compact, cioè il fulcro
dell'agenda Monti. La cui eventuale discesa in campo ha spostato ancor
più a destra l'asse del centro sinistra, che adesso deve rassicurare il
mondo che porterà avanti la politica di Monti anche senza Monti.
Era tutto chiaro da tempo, eppure Di Pietro e Diliberto hanno
partecipato alle primarie chiedendo di essere accolti nel centro
sinistra e solo dopo che ne sono stati rifiutati si sono fatti
copromotori della lista arancione. Ferrero ha invece da tempo sostenuto
la necessità dell'alternativa al centrosinistra, ma poi ha passato il
tempo ad inseguire coloro che inseguivano Vendola e Bersani. De
Magistris si è collocato su posizioni critiche verso Monti e vicine ai
movimenti, ma a lungo ha perseguito l'idea di una lista di sindaci e
società civile non alternativa, ma solo autonoma rispetto al Pd e a Sel.
Si è dunque giunti alla vigilia delle elezioni con un processo
unificante che risultava dal sostanziale fallimento di tutti i disegni
perseguiti dai leader politici della futura lista arancione. Il ritardo è
dunque un fatto politico che viene proprio dal non aver voluto, per
scelta o tatticismo, costruire in tempo una vera alternativa a Monti e a
chi lo sostiene. Affermo questo con la rabbia di chi insieme a tanti
altri ha provato per un anno a costruire sul campo una forza ed una
risposta alternativa. E che ha visto il 31 marzo a Milano e soprattutto
il 27 ottobre a Roma delinearsi una possibilità reale di successo.
Ma non è andata così, la piattaforma antiliberista e anticapitalista e
le forze organizzate di quelle manifestazioni evidentemente sono state
valutate come troppo radicali, troppo in rottura col quadro politico e
anche sindacale di centro sinistra, avrebbero potuto essere forze di
complemento, ma non il nucleo dell'alternativa.
L'appello 'Cambiare si Può' ha avuto il merito di rompere gli indugi
in un campo depresso dall'attendismo e dalle manovre incrociate.
Tuttavia non ha trovato il coraggio di misurarsi apertamente con tutte
le forze della reale opposizione a Monti, ed è ora posto in secondo
piano rispetto alla lista arancione.
Ora Ingroia dovrebbe supplire con il prestigio della sua figura al
ritardo accumulato, ma con quale progetto? Francamente i dieci punti di
'Io ci sto' mi sembrano deboli o peggio, se non per quanto riguarda la
rivendicazione della giustizia contro la mafia e la corruzione. Il punto
sesto per la libertà d'impresa è poi proprio inaccettabile. Non vedo
l'alternatività di questa piattaforma a quella di Bersani. Mentre ne
colgo la radicalizzazione sul piano della legalità, non vedo quasi nulla
che non potrebbe essere fatto proprio da altri del centrosinistra,
specie in campagna elettorale.
Non si accenna all'Europa, al fiscal compact all'austerità, ma
davvero si pensa di costruire il quarto polo rivendicando un anti
berlusconismo più radicale e coerente di quello del centrosinistra? No,
non è questa la via per ripartire e per rompere un regime che già ha
assegnato gran parte dei ruoli in gioco.
Siccome il tempo è poco, si corregga in fretta. Innanzitutto sul
programma: il punto di partenza di qualsiasi alternativa oggi è il
rifiuto delle politiche di austerità, comunque declinate, e la
conseguente denuncia dei trattati firmati da Monti e rivendicati da
Giorgio Napolitano. In Europa ci si divide su questo, in Italia finora
no ed è per questa ragione che il partito democratico non paga quel
dazio che invece tocca a tutti i suoi simili che negli altri paesi
occidentali praticano le politiche liberiste. In secondo luogo si
pratichi davvero quella democrazia che si rivendica, si facciano vere
primarie per il leader della lista e per i principali candidati.
Se non si cambia rapidamente rotta, la generosità di tanti non sarà
sufficiente a impedire che il quarto polo venga triturato da queste
elezioni tra le meno libere e trasparenti della storia repubblicana.
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