Nel
rito italiano di coniugazione di queste categorie c'è subito
l'elaborazione della colpa verso chi si è rivoltato. Hai usato violenza perché disadattato quindi hai colpa di quanto è successo. L'opinione
pubblica condanna istantaneamente la tua colpa, come in "Dredd, io sono
la legge", la magistratura valuta le responsabilità individuali. Se
seguirà analisi scientifica del tuo disagio è solo per costruire quel
dispositivo di attenuanti, tutte legate al fatto che sei mentalmente
instabile, che non ti toglierà la condanna ma ne mitigherà gli effetti.
Sul piano mediatico e giudiziario. E' tutto quello che hanno da
offrirti i residui di psicologi o sociologi rimasti, per motivi
clientelari o per docilità, attaccati alla dimensione del neoliberismo
paternalista del Pd. Praticamente nulla, a dire il vero, una sorta di
sottile decorazione intellettuale del complesso di effetti sulla vita
quotidiana offerti al giovane oggi: l'espulsione dalla vita sociale,
dalla visibilità collettiva, il mantra delle regole e della legalità per
ridurre al silenzio, la negazione di ogni diritto di cittadinanza. E
poi tante legnate, al primo reale cenno di dissenso, alle quali seguono
la condanna dei media, le inchieste della magistratura e qualche
analisi sul disagio giovanile.
Invece
no, l'analisi vera sul disagio di Livorno sta tutta entro un problema,
prima di psicologia sociale poi politico, strutturale di ciò che è
rimasto del ceto dirigente di centrosinistra. Stiamo parlando del
fenomeno del disagio patologico, individuale e collettivo, del
centrosinistra livornese. Incapace di fare i conti con il principio di
realtà, pronto solo a costruire processi di rimozione per rifugiarsi
nel principio di piacere. Il principio DI piacere, per un esponente del
centrosinistra livornese, è instabile e inquieto ma localizzabile in
alcune aree del mentale e del sociale: il gioco infinito delle nomine e
della candidature, quello sugli indici di edificabilità, le calde e
controverse trame del porto, la più recente eccitazione per i tagli e
le dismissioni "senza alternativa". Tutto ruota attorno ad un principio
originario di piacere che non è solo individuale ma ci spiega il
comportamento di una classe sociale che vive solo ed esclusivamente per
il gioco permanente della continuità e del cambiamento
nell'esibizione di status, di potere e di potere del denaro. Sembra
incredibile, visti i problemi della città, ma nel potere livornese si
vive così. Come tanti Maria Antonietta nei corridoi di Versailles prima
della famosa frase sulle brioche. Ci vuole giusto lo stato di
allucinazione di qualche ascaro di centrosinistra che ha votato alle
primarie "per spostare a sinistra il Pd" per pensare il contrario.
Per
vivere in questo modo, drenando risorse impressionanti da una città a
rischio sopravvivenza, il Pd livornese ha espulso dal proprio spazio di
rappresentazione tutto ciò che contraddice il proprio principio di
piacere. Ha modellato nel tempo i media locali, nei quali lavorano placidi
carabinieri della notizia, che riproducono lo specchio, e lo spettro,
dell'unico mondo che nel centrosinistra si vuol vedere: una lenta,
insignificante vita di provincia (rappresentazione che liquida l'eredità
della vivace cultura popolare livornese), con qualche momento di
vivacità e di solennità dovuto solo a cerimonie ufficiali. Ha ridotto al
silenzio o emarginato voci dissonanti, anomale sia nella vita
amministrativa che politica. Ha disinvestito su qualsiasi processo di
innovazione nel timore che rimettesse in discussione il primato del
proprio principio di piacere. Un processo di rimozione, simbolica e
reale, che è anima di una chiusura operativa di governo. Un processo
materiale che sta costando a Livorno il trasferimento di tutte le
proprie risorse, persino del proprio futuro, verso una élite in preda ad
un disagio patologico dovuto all'incapacità di fare ordine tra piacere
e realtà.
Il problema è che una
volta abolito il principio di realtà non è che la realtà scompare.
Livorno da molto tempo, per chi se ne è accorto, non è più un'isola
pasciuta della Toscana felix. Socialmente parlando ha ormai tratti
molto simili a diverse periferie europee: Oldham, Rostock,
Mantes-la-Jolie. Periferia che accumula migliaia di giovani, ai quali si
aggiungono moltissimi casi in età lavorativa matura, espulsi da ogni
elementare diritto di cittadinanza. Dove i tradizionali processi di
regolazione politica, sociale, familiare, interpersonale sono
irrimediabilmente saltati nelle nuove condizioni materiali ed
economiche. E dove la cosiddetta economia di mercato, da dati
statistici, si è ritirata, assieme ai servizi sociali, almeno per un
decennio. Resta il residuo di accumulazione di ricchezza dei decenni
precedenti, e le pratiche sociali ad essa correlate, a fare in qualche
modo da collante sociale.
La vicenda
del fine settimana preso in esame è proprio quella del ritorno del
principio di realtà a Livorno. E con un protagonista preciso della
periferia locale: i neet, la generazione che non lavora e non studia.
Assieme a quella precaria, altrettanto numerosa, che ha
comportamenti assimilabili. Lì non c'è disagio ma c'è stata
affermazione di un principio di realtà. Quello per cui esiste il
problema dell'agibilità politica del territorio, di quella fisica degli
spazi da attraversare. La composizione del corteo di domenica, dopo le
aggressioni contro i manifestanti del venerdì e del sabato, parla
chiaro. E' questa generazione che pone il problema, politico ma più
largamente simbolico, dell'agibilità e della vivibilità di Livorno.
Stiamo parlando di una generazione che conosce, come servizio pubblico,
sostanzialmente solo le forze dell'ordine.
Di
fronte a questi problemi, a partire dalla stessa serata del venerdì,
per non parlare dei fatti di sabato, il Pd locale ha rimosso la realtà
per ritirarsi per l'ennesima volta entro il proprio principio di
piacere. Convention, mondanità, organizzazione di un rito politicamente
inerte di definizione degli organigrammi detto "primarie". Altro che
governo dell'emergenza che stava montando su Livorno. Non un problema
che stava venendo fuori in quelle ora è stato affrontato. Non un'analisi utile successiva è stata prodotta. E questo non va detto con la
nostalgia del governo paternalista dei conflitti da parte del
centrosinistra. Ma il senso della diagnosi di chi vede che il ceto
politico al potere a Livorno è talmente disconnesso dalla realtà da far
marcire lo stesso territorio che lo fa ingrassare. Il futuro ci
prospetta spettacoli del genere: il Pd sopravvive tagliando prestazioni
sociali, facendo l'esattore dello stato, dismettendo servizi. La
prospettiva di doversi occupare dei problemi enormi di Livorno,
generati da un'economia che con il 2012 (dati Irpet) ha subito fenomeni
di collasso, non è, per il centrosinistra livornese, una opzione
reale. Non c'è una visione economica, dei servizi, delle necessarie
iniezioni di innovazione che il centrosinistra possa praticare. E di
fronte a problemi enormi. Di qui la fuga nel principio di piacere: un
mondo a parte costruito con mattone, porto, nomine e candidature. Una
ridotta sia rispetto al mondo esterno che alla stessa economia
livornese. In questi giorni invece i livornesi, con alla testa una
parte significativa dei giovani della città, ha invece ribadito un
principio di realtà. Quello dell'agibilità politica e della libertà di
espressione sul territorio.
Non siamo
di fronte ad un ceto politico moderato, capace di nicchiare come di
ascoltare o di conservare come di innovare. Il governo della città è in
mano a soggetti in preda a patologie di disagio piuttosto gravi. Gente
che tanto più le questioni si fanno stringenti tanto più si rifugia
nell'onirico. Come in questi giorni, mentre a Livorno si distendevano
problemi reali, con la fuga ad occuparsi solo di primarie. Nessuna
città, specie con pericolose trasformazioni in atto, si può permettere
la permanenza di simili fenomeni al potere. Anche questo principio di
realtà è destinato a farsi spazio. Affermato questo, le strategie per
liberare questa città si possono costruire.
Per Senza Soste, nique la police
Per Senza Soste, nique la police
Invidio la capacità d'analisi che la società livornese è ancora in grado di porre in atto. Detto questo, trovo molte analogie tra Livorno e la mia realtà cittadina.
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