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01/12/2012

L'inconcludenza di Sogin

La Sogin, la società di Stato incaricata di smantellare gli impianti nucleari dismessi, a 12 anni dalla sua costituzione ha realizzato circa il 12% del lavoro per il quale è stata istituita, peraltro pagato a caro prezzo dai contribuenti. Oltre alla gestione a dir poco problematica delle vecchie centrali nucleari, come gli impianti di Saluggia e Caorso, la società partecipata al 100 per cento dal ministero del Tesoro, in circa 10 anni avrebbe infatti speso la considerevole somma di quasi 1,7 miliardi di euro, a fronte di un avanzamento dei lavori di smantellamento dell’1% all’anno. Gran parte delle attività svolte hanno peraltro riguardato attività riconducibili alla realizzazione-ristrutturazione di alcuni depositi temporanei di rifiuti radioattivi e alla demolizione di vecchi fabbricati. L’individuazione di un’area e la successiva realizzazione del deposito nazionale definitivo dei rifiuti radioattivi sarebbero dovute avvenire qualche anno fa. “Secondo una legge del 2003 – spiega un tecnico nucleare che preferisce mantenere l’anonimato – Sogin avrebbe già dovuto completare tale deposito entro la fine del 2008 ma, ad oggi, dopo altri 4 anni, nonostante tale compito gli sia stato nuovamente assegnato, attraverso uno specifico decreto del 2010, non c’è ancora neanche una vaga idea di dove localizzarlo”.

Per svolgere tali attività sono previsti 7,5 miliardi di euro che saranno erogati attraverso il prelievo della componente “A2” della tariffa elettrica che pagano tutti i cittadini. “La Sogin è stata istituita per smantellare i siti nucleari – sottolinea il tecnico – e quindi, come sanno gli addetti ai lavori, per attività di decontaminazione e smaltimento di tutte le scorie radioattive. I ritardi accumulati nella realizzazione del deposito nazionale contribuiscono oggettivamente ad allontanare la definitiva conclusione di tali attività”. Dopo 25 anni dalla chiusura delle centrali nucleari l’Italia, quindi, non ha fatto molti passi in avanti per la messa in sicurezza definitiva delle scorie nucleari e, osservando alcune dinamiche gestionali della Sogin, il futuro non sembra promettere nulla di buono.

Negli ultimi mesi si susseguono le iniziative che pongono dubbi sul comportamento della Sogin: interrogazioni parlamentari di ogni genere presentate da ogni parte politica, articoli di stampa che descrivono situazioni preoccupanti, se non addirittura di potenziale pericolo, allarmi lanciati dagli stessi lavoratori impegnati negli impianti da smantellare e assegnazioni di gare di appalto non sempre trasparenti. “La costruzione di uno dei nuovi depositi temporanei a Saluggia – dichiara il tecnico – è stata assegnata alla Monsud Spa di Avellino, dopo la singolare esclusione di Ansaldo Nucleare, azienda di comprovata affidabilità, per motivi che nessuno ha compreso. Questo a mio avviso è uno dei tanti esempi di com’è oggi gestita la Sogin, per non parlare di com’è spesso utilizzato il personale tecnico più preparato”.

Qualche esempio? Il tecnico racconta: “Nell’impianto di Casaccia, vicino Roma, tanto per fare un esempio  i quattro ingegneri nucleari di maggiore esperienza e qualifica, che ricoprivano i posti chiave dell’impianto, circa un anno fa sono stati improvvisamente rimossi dai loro incarichi e trasferiti in altre sedi, senza una motivazione specifica da parte della Sogin. La cosa sconcertante di tutta la vicenda è che sono stati sostituiti con altri ingegneri, del tutto privi di ogni specifica conoscenza dell’impianto. Tra questi spicca un ingegnere civile, prima nominato direttore e successivamente declassato a vice, che di recente non è riuscito nemmeno a superare l’esame dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, per acquisire il necessario attestato di direzione richiesto dalla legge. Due dei quattro ingegneri allontanati erano invece patentati da molti anni”.

E pensare che a Casaccia gli incidenti nucleari non sono mancati: solo nel 2006 ne sono avvenuti ben quattro in 11 mesi, tutti, per fortuna, senza gravi conseguenze. Il 30 settembre 2006, il più grave. “A causa del malfunzionamento dell’apparato antincendio – dichiara ancora il tecnico – una quarantina di bombole hanno scaricato anidride carbonica dentro l’impianto ‘Plutonio’ provocando un enorme aumento di pressione. Sono saltate un paio di porte metalliche di sicurezza, ma poteva andare molto peggio se uno delle decine di contenitori di materiali radioattivi avesse registrato una perdita. Si tratta di plutonio, un’emissione all’esterno avrebbe fatto scattare l’emergenza anche per la popolazione circostante. Per evitare che un incidente simile si ripeta, l’impianto antincendio è stato modificato da Ansaldo Nucleare, poco dopo esclusa da tutti o quasi i lavori Sogin, sempre per motivi sconosciuti”.

Su diversi siti Sogin pare stia accadendo di tutto, da Caorso a Saluggia, dalla Casaccia fino alla sede di Roma, dove negli ultimi due anni il personale è aumentato a dismisura. Al punto da aver innescato una sorta di conflitto generazionale: a giorni, infatti, è previsto un esodo di massa “volontario” verso altre sedi di molti dipendenti ultracinquantenni, di elevata professionalità, per fare posto a giovani neo-assunti. L’attuale vertice Sogin, inoltre, ha organizzato anche la gestione dei rapporti con l’autorità di controllo Ispra nominando, come interlocutore principale, un avvocato: in passato questo ruolo, squisitamente tecnico, era sempre stato assegnato, per ovvi motivi, a ingegneri nucleari esperti.

In questa situazione è difficile essere ottimisti sulla realizzazione del deposito nazionale e lo stoccaggio definitivo delle scorie nucleari, sia per la tempistica che appare infinita, sia per la sicurezza stessa dei cittadini italiani.

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