Borse giù
e spread in forte crescita. L’inattesa accelerazione della crisi
politica del governo Monti ha riportato l’Italia sotto i riflettori
della speculazione. C’è tuttavia da domandarsi perché, visto che i dati
fondamentali sul piano economico non sembrano essere significativamente
cambiati. Mentre sul piano politico, in sostanza si va verso l’anticipo
del voto di poche settimane. Abbiamo chiesto all’economista Emiliano
Brancaccio di aiutarci a capire.
Cosa sta succedendo?
Innanzitutto,
conviene partire dai dati economici. La Bce pochi giorni fa ha rivisto
pesantemente al ribasso le previsioni sull’andamento della produzione:
nel 2013 l’Europa intera sarà nel mezzo della recessione, e iniziano a
sorgere dubbi anche sull’esistenza di un effettivo recupero nel 2014.
Viene inoltre confermato il carattere asimmetrico della crisi, che
ricade in misura maggiore sull’Italia e sugli altri paesi periferici
dell’Unione. In uno scenario come questo, basta poco per far prevalere i
venditori sul mercato finanziario.
Molti però dicono che la paura dei mercati è l’abbandono delle politiche di austerità.
E’ una
semplificazione. I banchieri e gli speculatori sono affezionati alla
lotta di classe, non all’austerity. Del resto, sanno bene che il
tentativo di rimettere in equilibrio i conti dell’eurozona a colpi di
tagli e tasse non sta funzionando. Basti guardare al rapporto tra debito
pubblico e Pil: la cura Monti non lo ha ridotto ma anzi ha contribuito
al suo aumento. La scommessa di fondo degli speculatori è un’altra, e
riguarda le probabilità di sopravvivenza della zona euro.
La
discesa in campo di Berlusconi può davvero mettere in pericolo
l’eurozona e può quindi incentivare la speculazione al ribasso?
Non
bisogna esagerare l’importanza di Berlusconi, un uomo che ha perso molto
del suo potere e della sua credibilità. Ma si può ritenere che il suo
ritorno alimenti i dubbi sulla tenuta futura della moneta unica europea.
Non dobbiamo dimenticare che sul piano politico Berlusconi non ha mai
avuto molto da spartire con quell’aggregato di grandi interessi che si
organizza intorno al Partito popolare europeo, e con la sua storica
tradizione europeista.
E cosa rappresenta, invece?
Berlusconi
ha sempre aggregato attorno a sé un coacervo di interessi diffusi,
parcellizzati, rappresentativi delle tipiche frammentazioni del
capitalismo italiano: piccole imprese, piccoli proprietari e rentiers,
commercianti, autonomi, professionisti, eccetera. Tali soggetti hanno
tratto beneficio dalla miscela di politiche di lassismo fiscale e di
precarizzazione del lavoro che caratterizzavano l’azione dei suoi
governi. Oggi però questo mosaico di categorie sociali soffre in modo
particolare i vincoli monetari e fiscali ai quali l’Europa ci sottopone.
Una campagna contro i danni dell’euro, di stampo vagamente
nazionalista, potrebbe fare molta presa su questi soggetti.
Dunque tu dici: i mercati scommettono su una campagna elettorale di Berlusconi giocata su questo asse?
E’ un
soggetto debole, in declino, è difficile dire fino a che punto potrà
spingersi. E’ già abbastanza chiaro, però, che in termini generali
sceglierà una linea di stampo anti-europeo, soprattutto se rinnoverà
l’accordo con la Lega. Al di là delle sue possibilità immediate di
successo, questo posizionamento rappresenta un incentivo per i venditori
sui mercati finanziari. Perché rappresenta comunque una nuova e
ulteriore crepa dei consensi verso l’Europa. Man mano che il tempo passa
e la crisi si aggrava, il fronte contro la moneta unica è destinato a
ingrossarsi, e la fiducia sulla permanenza futura dell’Italia nella zona
euro tende per forza di cose a deteriorarsi. Chi oggi si libera dei
titoli scommette su questo: teniamo presente che anche solo un aumento
delle future probabilità di uscita dell’Italia dall’euro, e quindi di
ridenominazione dei titoli italiani in una moneta deprezzata, determina
una caduta del loro valore atteso. E quindi spinge le vendite sul
mercato.
Eppure nessuno crede che Berlusconi possa vincere. Cosa giustifica tanto allarme sull’Italia?
Il
Financial Times lo ha spiegato bene. Berlusconi è solo un tassello di un
puzzle molto più grande. Egli è uno dei molti attori che oggi possono
incarnare un sentimento anti-europeo, e che sanno di potere raccogliere
nuovi consensi a seguito della crisi e del fallimento delle politiche di
austerity. Per i gruppi d’interesse finanziari che tuttora scommettono
sulla crisi della moneta unica, ogni nuovo sintomo di disgregazione
dell’europeismo incentiva a fare speculazioni. Il fatto che
l’ex-Presidente del consiglio della terza economia europea dichiari che
l’uscita dall’euro non deve essere considerato un tabù, è solo uno degli
ormai innumerevoli segnali di crisi del consenso intorno al progetto
europeo. E’ in quest’ottica che dobbiamo leggere i rimablzi dei mercati.
Senza sopravvalutare Berlusconi. Ma collocandolo dentro una scia di
segnali. Ma lasciami aggiungere una preoccupazione di fronte a questo
scenario.
Quale?
E’
possibile che già questa campagna elettorale finisca per svilupparsi
lungo questa linea: europeisti da un lato e anti-europeisti di ogni
sorta dall’altro…
Ti riferisci a Grillo?
Anche, è
chiaro. L’arcipelago dell’anti-europeismo è molto articolato, ma si sta
gonfiando. Questo è il punto. La mia preoccupazione è che questa
polarizzazione intorno alla moneta unica possa indurre le forze di
sinistra ad assumere verso l’Europa un atteggiamento che ben conosciamo,
di tipo fideistico, acritico, fatto prevalentemente di retorica. Nel
breve periodo questa strategia può anche pagare, ma una volta al governo
la sinistra rischia di trovarsi in un vicolo cieco: costretta, costi
quel che costi, a restar fedele alla sua retorica europea e quindi ai
tremendi vincoli che l’attuale configurazione della zona euro impone.
E cosa suggerisci?
L’europeismo
di sinistra oggi dovrebbe essere dialettico, e dovrebbe incardinarsi in
una strategia. Non si può lasciare ai soli movimenti di destra o
vagamente nazionalisti la critica dell’assetto dell’Unione. Un governo
italiano sostenuto da forze di sinistra dovrebbe darsi un mandato
preciso in Europa: chiarire in sede di trattativa con la Germania che il
rischio concreto, che stiamo tutti correndo, è una crisi non solo della
moneta unica ma anche del mercato unico europeo. E’ questa l’ultima
carta per tentare di mutare i rapporti di forza interni all’Unione. Se
ci si affiderà invece a un europeismo acritico e indiscriminato, si
pagheranno nel più lungo periodo pesanti conseguenze politiche.
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