Rinviato a sorpresa il decreto per pagare i fornitori della pubblica amministrazione che attendono da anni. Niente aumento immediato dell'Irpef, ma nuovi tagli alla spesa pubblica.
Difficile dire quale sia la soluzione peggiore, quando i "vincoli esterni" sono tali da impedire ogni scelta. Il governo non ha varato l'atteso decreto per l'immediato pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione in favore delle imprese fornitrici. E dire che - in teoria - non ci sarebbero ostacoli contabili per un esborso di cifre già messe in bilancio come "passività" negli anni in cui le spese erano state decise. Non si tratta insomma di nuove spese.
Ma il diavolo si annida nei dettagli. E le norme europee hanno reso un rebus anche questo adempimento "d'onore", proprio mentre il berlusconiano Tajani, miracolosamente issato nelle posizione di vicepresidente della Commissione europea, dice allo Stato italiano "pagate subito". O non sa quale tipo di organismo sta "dirigendo", oppure le sue parole sono soltanto un ausilio pre-elettorale o post-elettorale per il suo vecchio capo che spera in una rivincita.
In ogni caso il governo "tecnico" si è complicato la vita da solo. Nella prima stesura del decreto era stato infatti previsto che parte della spesa - ripetiamo: non nuova - fosse coperto con l'anticipazione dell'aumento dell'Irpef regionale. Nuove tasse per vecchi debiti, insomma. Davanti all'insorgere delle proteste delle stesse imprese - ogni amento dell'Irpef si traduce in minori consumi, quindi in minori profitti e un numero più alto di crisi aziendali - il ministro Grilli ha fatto marcia indietro.
Il decreto è dunque in via di riscrittura. Al posto di nuove entrate si taglieranno nella stessa misura le uscite. Ovvero tagli alle spese dei ministeri, con conseguenti "esuberi", prepensionamenti, blocco salariale prolungato ulteriormente, riduzione dei servizi, ecc.
Ma non basta. Tra le tante magagne scoperte nel testo del decreto, anche l'assoluta indeterminatezza delle procedure con cui si sarebbe potuto eseguire un pagamento. In pratica, sarebbero stati necessari almeno dieci "decreti attuativi" per dar corso alla decisione descritta nel testo. Insomma, quei soldi sarebbero usciti dalle casse soltanto fra mesi, se non anni. Un capolavoro di "tecnica burocratica" che avrebbe fatto impallidire anche Clemente Mastella.
Naturalmente ora Confindustria tira un sospiro di sollievo. Giorgio Squinzi, il presidente, plaude senza troppo entusiasmo, «la prima stesura del provvedimento era assolutamente insoddisfacente». Per il numero uno degli industriali «piuttosto che avere un pateracchio meglio che ci si torni sopra e si faccia con calma».
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