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09/12/2013

Il Mal d’Africa di Hollande

di Mario Lombardo

Con la situazione nella Repubblica Centrafricana (CAR) in rapido deterioramento, il governo francese e l’Unione Africana hanno deciso nel fine settimana di aumentare il proprio contingente militare in uno dei paesi più poveri dell’intero pianeta. Le violenze hanno fatto registrare una drammatica escalation negli ultimi giorni dopo mesi di instabilità seguita all’avanzata dei ribelli musulmani che, lo scorso mese di marzo, avevano deposto il presidente, François Bozizé.
Operazione avvenuta con la tacita approvazione della Francia, impegnata a portare a termine un riallineamento strategico nel continente africano per riaffermare i propri interessi economici, minacciati soprattutto dalla crescente influenza cinese in molte ex colonie africane di Parigi.

Il livello di atrocità raggiunto nella Repubblica Centrafricana è apparso in questi giorni in tutta la sua evidenza da una serie di resoconti apparsi sui media di mezzo mondo che hanno descritto massacri indiscriminati compiuti sia dagli ex-ribelli ora al potere sia dai gruppi armati a maggioranza cristiana e dalle forze fedeli al presidente in esilio.

Dopo che giovedì scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva approvato una risoluzione a favore di un intervento militare più massiccio nel paese situato nel cuore dell’Africa (MISCA, Mission Internationale de Soutien à la Centrafrique), il presidente francese, François Hollande, al termine di una conferenza sulla sicurezza del continente a Parigi nella giornata di sabato, ha annunciato che il suo paese aumenterà il numero di truppe da 1.200 a 1.600. Allo stesso modo, l’Unione Africana porterà il numero di soldati provenienti dai paesi vicini dai 2.500 attuali a circa 6.000.

Le forze francesi, peraltro, sembrano avere già intensificato il proprio impegno in questo paese, con pattuglie di soldati che stanno presidiando le strade della capitale, Bangui, e le regioni nord-occidentali. Lo stesso Hollande ha poi affermato che la situazione di estrema crisi richiederà un drastico anticipo delle elezioni, inizialmente previste per il 2015 quando dovrebbe scadere il mandato del presidente ad interim, il leader dei ribelli Michel Djotodia.

Come ha già fatto in altri paesi africani negli ultimi anni, la Francia sta dunque sfruttando caos e violenze anche nella Repubblica Centrafricana per legittimare una maggiore presenza nel continente. Tutti i precedenti interventi - in Costa d’Avorio, Mali e Libia - così come quest’ultimo, vengono puntualmente presentati come necessari per “salvare vite umane” o per promuovere i progressi verso la democrazia dei vari paesi interessati, quasi sempre dotati di risorse del sottosuolo tutt’altro che trascurabili.

Nel caso della Repubblica Centrafricana, inoltre, alla destabilizzazione del paese ha contribuito in maniera decisiva proprio il governo di Parigi. Dopo l’inizio dell’offensiva dei ribelli Seleka (“Alleanza”) nel dicembre 2012, la Francia aveva favorito nel gennaio successivo la firma di un accordo di pace in Gabon tra il presidente Bozizé e i ribelli stessi. Bozizé aveva così acconsentito ad una serie di concessioni, nominando un primo ministro scelto dai ribelli e accettando di non ricandidarsi alle prossime elezioni presidenziali.

Poche settimane più tardi, tuttavia, i ribelli avrebbero denunciato la mancata implementazione dell’accordo da parte di un presidente che doveva sentirsi erroneamente indispensabile per la Francia, lanciando l’attacco decisivo nella capitale e costringendo Bozizé a riparare nel vicino Camerun. L’ingresso dei ribelli musulmani Seleka a Bangui è avvenuto senza che le centinaia di soldati francesi dispiegati nella Repubblica Centrafricana muovessero un dito per l’ormai ex uomo di Parigi.

L’atteggiamento di Parigi, assurdamente giustificato a livello ufficiale con la volontà di non interferire nelle vicende interne di un paese sovrano, è apparso relativamente sorprendente, visto che Bozizé si era auto-nominato presidente nel 2003 dopo avere guidato un colpo di stato proprio con l’appoggio francese. La Francia stessa aveva poi permesso all’ex generale di rimanere al potere per un decennio, contribuendo a far fallire due tentativi da parte dei ribelli di rovesciare il suo governo nel 2006 e nel 2007.

A rivelare indirettamente le responsabilità dietro al golpe era stato tra l’altro lo stesso Bozizé in un’intervista rilasciata lo scorso mese di agosto al Sunday Times sudafricano. In quell’occasione, il deposto presidente in esilio a Parigi aveva spiegato come il suo omologo sudafricano, Jacob Zuma, avesse mancato di implementare un accordo siglato a Pretoria nel dicembre 2012 per garantire rinforzi militari al leader centrafricano in caso di avanzata dei ribelli Seleka.

Bozizé, tuttavia, non condannava il mancato intervento a suo favore di Zuma, giustificando la decisione di quest’ultimo con le pressioni interne per evitare un maggiore impegno del suo governo nella Repubblica Centrafricana. Bozizé, piuttosto, puntava il dito contro il presidente del Ciad, Idriss Déby, definito un suo “ex amico” e considerato “personalmente responsabile” della morte di 15 soldati sudafricani avvenuta in seguito all’ingresso dei ribelli a Bangui.

Il contingente di “pace” inviato in Repubblica Centrafricana dal Ciad aveva infatti consentito ai gruppi armati anti-Bozizé di marciare indisturbati verso la capitale, mentre successivamente è stata rivelata la protezione garantita al nuovo presidente Djotodia di alti ufficiali con stretti legami al vicino settentrionale. Secondo quanto riportato dalla Reuters lo scorso mese di maggio, il capo delle operazioni militari in Repubblica Centrafricana nominato da Djotodia sarebbe addirittura un ex componente della guardia presidenziale di Déby.

La posizione assunta dal leader del Ciad è estremamente rivelatrice delle decisioni prese a Parigi in relazione alla ex colonia, dal momento che Déby è uno dei partner più importanti della Francia in Africa centrale. Il Ciad ha ad esempio partecipato attivamente alla recente campagna francese in Mali, ufficialmente per liberare il nord di questo paese dai ribelli islamisti, e l’attivismo nella regione del suo presidente, intensificatosi parallelamente alla scomparsa di Gheddafi in Libia e al disimpegno di Sudafrica e Nigeria, rappresenta un punto di riferimento cruciale per gli interessi francesi.

A spiegare la mutata sorte di Bozizé da semi-fantoccio di Parigi a leader da liquidare può contribuire soprattutto la sua apertura alla Cina e la firma di svariati accordi economici con Pechino. Le apprensioni occidentali per questi sviluppi erano state rivelate da svariati documenti diplomatici pubblicati da WikiLeaks, tra cui alcuni cablo inviati a Washington nel 2009 dall’ambasciatore statunitense a Bangui. In essi non solo venivano sottolineati gli ostacoli posti dal governo di Bozizé alle corporation francesi attive nella Repubblica Centrafricana, come il colosso dell’energia nucleare Areva, ma anche le relazioni sempre più difficili tra il presidente e Parigi.

Inoltre, gli americani vedevano con preoccupazione l’intensificata cooperazione di Bozizé con la Cina in ambito militare, diplomatico ed economico. Una situazione resa evidente dalla presenza all’ambasciata cinese di Bangui di circa 40 dipendenti contro appena 4 in quella americana.

La Cina, quindi, stava ottenendo accesso alle risorse della ex colonia francese, estremamente ricca di uranio, oro, diamanti, ferro, legname e, potenzialmente, petrolio, ai danni della Francia e delle altre potenze occidentali. Lo stesso Bozizé nel dicembre 2012 affermò pubblicamente che nel suo paese non c’era stato alcun problema - almeno per il regime - fino a quando il petrolio era messo a disposizione delle compagnie francesi, mentre il caos è iniziato quando lo ha offerto ai cinesi.

Gli scrupoli “umanitari” francesi sono emersi anche in una conferenza promossa dall’organizzazione degli industriali d’oltralpe che settimana scorsa ha preceduto il summit sulla sicurezza in Africa. In essa il presidente Hollande ha reso noto il lancio di un piano per raddoppiare gli investimenti francesi nel continente nel prossimo futuro, mentre il suo ministro delle Finanze, Pierre Moscovici, ha lamentato la mancata percezione della nuova accesa competizione nelle ex colonie, ricordando che qui la posizione di Parigi “non è più esclusiva né garantita”.

Nel primo decennio del 21esimo secolo, infatti, la fetta di mercato della Francia nell’Africa sub-sahariana è scesa da oltre il 10% a meno del 5%, mentre quella cinese è passata da nemmeno il 2% a inizio anni Novanta al 16% nel 2011. Non a caso, perciò, il nuovo regime degli ex ribelli con alla guida Michel Djotodia, subito dopo la presa del potere nel mese di marzo grazie all’assenso francese, si è affrettato ad annunciare una revisione integrale degli accordi siglati dal regime di Bozizé con il governo e le compagnie cinesi.

L’ennesima crisi africana, in definitiva, dietro la retorica umanitaria servirà ancora una volta alle potenze occidentali per aumentare la propria presenza strategica in questo continente in un frangente storico caratterizzato dall’inasprirsi della competizione internazionale per assicurarsi risorse naturali in gran parte ancora da sfruttare.

L’impegno francese nella Repubblica Centrafricana rientra perciò in questa dinamica e, invece di pacificare il paese, rischia di fare esplodere ancor più le tensioni etniche e settarie che in questi mesi hanno già fatto migliaia di morti.

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