di Michele Giorgio – Il Manifesto
Da giorni si parla della battaglia di Qalamoun,
regione strategica della Siria centrale a ridosso del confine con il
Libano, come “decisiva” per le sorti della guerra civile. Uno
scontro che vede riuniti nell'”Esercito della Conquista” i qaedisti di
Nusra e diverse formazioni islamiste e jihadiste contro l’esercito
governativo in difficoltà e sempre più bisognoso del sostegno dei
combattenti libanesi di Hezbollah e dei volontari iraniani. Più a nord lo Stato Islamico (Isis)
intanto consolida il controllo del territorio siriano già sotto il suo
controllo e continua ad avanzare. Ora appare vicino a strappare ai
governativi anche l’aeroporto di Deir Ezzor. Eppure, senza ridimensionare il bagno di sangue quotidiano, il destino della Siria sarà forse scritto il
13 e 14 maggio. I quei due giorni le petromonarchie sunnite del Golfo,
guidate dall’Arabia Saudita, incontreranno Barack Obama. Al
presidente americano di fatto detteranno le loro condizioni per digerire
l’accordo definitivo sul nucleare iraniano che gli Stati Uniti e gli
altri Paesi membri del gruppo 5+1 si preparano a concludere con Tehran
entro il 30 giugno. Non si limiteranno a chiedere soltanto altre
armi americane dell’ultima generazione, come scrive qualcuno. Vogliono
la testa del presidente siriano Bashar Assad, subito, per accettare,
comunque a malincuore, l’apertura storica di Washington al loro nemico,
l’Iran.
Re Salman dell’Arabia Saudita, a capo della coalizione sunnita (Tempesta Decisiva)
che ha messo in piedi a marzo per bombardare in Yemen i ribelli sciiti
Houthi (ma sono centinaia i civili uccisi), pretende che il presidente
Usa cambi radicalmente la sua politica verso la Siria. Vuole con forza che Obama faccia della caduta di Assad la sua priorità e metta in secondo piano la lotta all’Isis e ad al Qaeda.
I prossimi colloqui a Washington sono stati preceduti qualche giorno fa
dalla riunione, di fatto un gabinetto di guerra, del Consiglio di
Cooperazione del Golfo (le sei petromarchie) – alla quale è intervenuto il presidente francese Francois Hollande, il primo leader straniero a farlo dal 1981,
e che si è chiusa con la decisione di un meeting al più presto
dell’opposizione siriana a Riyadh per discutere il dopo Assad – e dalla
visita preparatoria in Arabia Saudita del Segretario di Stato americano
John Kerry. Nelle capitali del Golfo va avanti il conto alla rovescia, i
giornali locali da giorni scrivono di questo incontro con Obama che
dovrà sancire il pieno ritorno della supremazia regionale agli arabi e
ai musulmani sunniti.
Da quando si è seduto sul trono
saudita, Salman ha messo da parte le esitazioni del suo predecessore
Abdullah ed è passato all’offensiva contro l’Iran, grazie anche a un
inedito coordinamento con il leader turco Erdogan, visceralmente
anti-Assad. La campagna militare in Yemen è solo l’esempio più
visibile della svolta impressa da Re Salman. Perchè dietro le quinte i
sauditi, assieme ai cugini-rivali del Qatar, sono in buona parte
all’origine dei recenti sviluppi avvenuti sul campo di battaglia siriano
a danno delle forze governative. I finanziamenti e le forniture
di armi ora affluiscono senza sosta ai cosiddetti “ribelli moderati”,
stretti alleati di al Nusra, e addestrati in Turchia e Giordania dai
consiglieri militari Usa. Per Salman l’unica soluzione è quella
militare. Per questa ragione ha bloccato sul nascere la cauta
disponibilità a negoziare con Damasco che l’opposizione siriana aveva
manifestato a inizio anno. Così facendo ha reso una farsa i colloqui in
corso per l’organizzazione della conferenza Ginevra 3 per un futuro
della Siria fondato su negoziati. Per Assad e per l’alleanza
Iran-Siria-Hezbollah invece non dovrà esserci alcun futuro. Solo in
questo modo, pensa il re saudita, l’Iran sarà ridimensionato.
Secondo il noto giornalista ed analista arabo Abdel Bari Atwan, Riyadh cerca risultati immediati in Siria approfittando dei prossimi 40 giorni in cui l’Iran avrà le mani legate e non potrà permettersi passi falsi perché impegnato a concludere l’accordo sul nucleare. Sarà una estate molto calda per il Medio Oriente, prevede da parte sua l’analista Urayb ar-Rintawi del quotidiano giordano Addoustur. Dopo Yemen, Iraq e Siria – scrive – anche altri paesi, come il Libano, sono a forte rischio, in conseguenza dei rivolgimenti regionali innescati dall’accordo sul nucleare iraniano e l’interventismo delle monarchie sunnite. La lotta all’Isis è messa da parte, aggiungiamo noi, in ogni caso è solo una copertura per i sauditi. L’obiettivo di Riyadh era e resta la caduta di Damasco e l’isolamento dell’Iran.
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