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06/07/2015

Cadono le borse, un po' meno del temuto

Giornata difficile sulle piazze mondiali, ma non tragica come lunedì scorso, quando il referendum era stato soltanto indetto.

A pagare maggiormente le borse dei paesi più in difficoltà, nella classifica europea, alle spalle della Grecia. Milano la peggiore, con perdite che erano arrivate a superare il -4%, anche perché il 40% del listino italiano è costituito da banche, nell'epicentro della crisi che può aprirsi ora. Il che la dice lunga anche sulla capacità dell'industria italiana di accedere ai normali canali di finanziamento capitalistici, come la quotazione in borsa. Seguono Madrid, con oltre 2,2 punti di perdite, quindi Parigi (-2%) e Francoforte (-1,52%, anche per alcuni dati industriali non buoni diffusi in mattinata). Più tranquilla, ma comunque negativa, Wall Street, che intorno alle 17 perde appena lo 0,36%.

Più calma la situazione sul fronte dei titoli di stato, visto che la Bce fin dai primi minuti della seduta ha provveduto ad acquistare ingenti quantitativi di titoli dei paesi "Piis", ma non della Grecia. Lo spread BTp-Bund sale di pochissimo, a 162 punti base, mentre i titoli a 2 anni di Atene viaggiano ormai vicini al 50%. Stabile la quotazione dell'euro, che addirittura recupera qualcosa dopo le dimissioni di Varoufakis (a proposito dell'"odio dei creditori" contro di lui...).

Il market mover della giornata era comunque considerata la BCE, che doveva decidere se confermare o casomai aumentare la liquidità d'emergenza a favore delle banche del Paese ellenico.

Per "i mercati" la Grecia è solo uno dei punti caldi del riemergente nervosismo globale, a mala pena mascherato dai quantitative easing (prima della Federal Reserve, poi della Banca del Giappone e infine della Bce). Preoccupa molto di più il crollo delle borse cinesi nelle ultime due settimane (-30%, complessivamente), che sembra aver fatto esplodere la "bolla" asiatica. E ha fatto capolino nei giorni scorsi anche il default di Portorico, isola caraibica "dollarizzata" i cui debiti sono tutti a carico di fondi statunitensi.

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