di Michele Paris
A poco più di
due settimane dall’inizio delle elezioni primarie per la Casa Bianca
negli Stati Uniti, anche la corsa all’interno del Partito Democratico
sembra essere diventata nuovamente aperta nonostante lo status di
favorita della ex first lady, Hillary Clinton. Il suo praticamente unico
rivale per la nomination, il senatore “liberal” del Vermont, Bernie
Sanders, secondo i più recenti sondaggi avrebbe ridotto sensibilmente il
distacco in termini di voti complessivi, mentre sarebbe addirittura in
vantaggio nei primi due stati chiamati a votare a partire dai primi
giorni di febbraio.
I giornali americani hanno alzato il livello
di attenzione sulla corsa in casa Democratica dopo la pubblicazione
martedì di un’indagine commissionata da New York Times e CBS News.
In essa si evince che, in un solo mese, su scala nazionale Sanders
avrebbe portato da 20 a 7 punti percentuali il suo ritardo dall’ex
segretario di Stato. Quest’ultima raccoglierebbe cioè il 48% dei
consensi tra i potenziali elettori Democratici delle primarie, contro il
41% di Sanders.
Nei primi “caucuses” che tradizionalmente aprono
la stagione elettorale delle presidenziali, quelli dell’Iowa, il
senatore è accreditato attualmente del 49% delle preferenze e Hillary
del 44%. Un altro istituto di ricerca considera inoltre Sanders
nettamente avanti in New Hampshire, dove il distacco dalla Clinton
sarebbe di 14 punti (53% a 39%).
Numericamente, la favorita
Democratica potrebbe comunque recuperare rapidamente terreno in caso di
sconfitta in due stati di piccole dimensioni, dove è in palio un numero
minimo di delegati che sosterranno i candidati nella Convention della
prossima estate. Tuttavia, una doppia clamorosa vittoria di Sanders in
Iowa e New Hampshire rischierebbe di innescare un trend negativo per
Hillary con un effetto domino che potrebbe influenzare le competizioni
successive, al di là delle sue disponibilità finanziarie e
dell’aggressività della campagna elettorale.
Nella squadra di
Hillary Clinton, d’altra parte è ancora vivissimo il ricordo delle
primarie del 2008, quando la vittoria a sorpresa di Obama in Iowa a
inizio gennaio contribuì forse in maniera decisiva a indirizzare le
sorti della competizione. Tanto più che, otto anni fa, l’allora
senatrice di New York era anche riuscita a prevalere nelle primarie del
New Hampshire.
I nuovi dati statistici diffusi nei giorni scorsi
riportano così indietro di alcuni mesi le lancette dell’orologio della
corsa tra i Democratici. Proprio quando Hillary sembrava essere riuscita
a reggere l’urto dell’entusiasmo iniziale generato dall’agenda
progressista di Sanders, i giochi si sono fatti nuovamente incerti.
Indubbiamente,
questa dinamica, anche se con ogni probabilità non lascia intravedere
scenari catastrofici per la Clinton, indica la persistenza di sentimenti
ostili anche tra gli stessi elettori Democratici nei confronti della
rappresentante di un clan politico che, se si esclude una parte dei
media e dell’apparato di potere, rimane tra i più impopolari negli Stati
Uniti.
L’equilibrio, in effetti, appare ancora più sorprendente
se si considera il serbatoio di ricchi donatori di cui dispone Hillary,
frutto dei legami, suoi e del suo consorte, con Wall Street e con i
grandi interessi economici, fondamentali per la riuscita di qualsiasi
campagna elettorale di alto livello negli Stati Uniti.
Partendo
dal presupposto dell’inevitabilità della sua nomination, l’ex first lady
aveva fino a poco tempo fa evitato il più possibile di farsi
coinvolgere in scontri politici con Sanders, cercando di dare
l’impressione di una sfida già decisa ancora prima di iniziare. Come ha
commentato questa settimana il Wall Street Journal, però, ora
Hillary “non può più permettersi questo lusso” e deve perciò sporcarsi
le mani entrando senza indugi nel pieno della competizione, con tutti i
rischi che ne derivano.
Nei giorni scorsi, così, la stessa
candidata e il suo staff, tra cui la figlia Chelsea, sono stati
protagonisti di una serie di offensive dirette contro alcune delle
proposte di Bernie Sanders. Al centro degli attacchi c’è stata in
particolare la di riforma del sistema sanitario USA avanzata da
quest’ultimo, ovvero la creazione di un piano di copertura pubblico e
universale (“single payer”), a differenza dell’attuale “Obamacare”
basato in larga misura sulle assicurazioni private.
La
polemica alimentata da Hillary ha però avuto un parziale effetto
boomerang, visto che essa stessa nel 2008 aveva sostenuto un’idea
pressoché identica per risolvere la crisi sanitaria in America. La sua
squadra ha comunque chiarito che le critiche a Sanders non riguardano
tanto il piano in sé quanto la scarsa chiarezza sul reperimento dei
fondi per finanziare un sistema che richiederebbe risorse enormi.
Se
la diatriba non sembra per ora avere avuto effetti particolarmente
benefici per Hillary, l’accusa va in qualche modo al cuore dei problemi
sollevati dalla candidatura di un uomo politico fino a pochi mesi fa non
affiliato in maniera ufficiale a nessun partito e auto-definitosi
“democratico-socialista”.
La sua campagna per la Casa Bianca è
caratterizzata da una serie di proposte di stampo progressista – quanto
meno per gli standard della politica di Washington – senza che venga
però spiegato come, in caso di elezione, potranno essere implementate
all’interno di un sistema e di un partito, come quello Democratico,
interamente al servizio dei ricchi.
Ciò, a sua volta, dice molto
sul ruolo di Bernie Sanders in questa tornata elettorale. La
partecipazione alle primarie del senatore, le cui posizioni sono
assimilabili alla tradizionale ala “liberal” del Partito Democratico,
viene vista da molti come una necessaria valvola di sfogo per un
elettorato spostato sempre più a sinistra a fronte di un panorama
politico che procede in direzione diametralmente opposta.
La
corsa di Sanders appare per certi versi simile a quella di un altro
politico proveniente dal Vermont, l’ex governatore Howard Dean, il quale
nel 2004 lanciò senza successo una sfida per la nomination Democratica
alla “sinistra” dei favoriti: John Kerry e John Edwards. Il senso di
candidature come quelle di Sanders e, prima ancora, di Dean, è in
definitiva quello di costruire l’illusione che un partito “pro-business”
possa ancora rappresentare la casa del progressismo, in modo da
prevenire la creazione di movimenti alternativi e incanalare le tensioni
sociali e il malcontento in una direzione innocua.
Ad ogni modo,
Hillary Clinton ha poi chiesto agli elettori Democratici di considerare
le scarse probabilità che Sanders avrebbe di battere un qualsiasi
candidato Repubblicano in caso di successo nelle primarie. Ciò sarebbe
dovuto alle sue posizioni troppo a “sinistra” in uno scenario nel quale,
come predicano media, analisti e politici d’oltreoceano, è possibile
conquistare la Casa Bianca solo conducendo una campagna elettorale dal
“centro”.
Un’altra linea d’attacco Hillary l’ha individuata
nell’ambito del controllo delle armi da fuoco, tema popolare tra i
Democratici e tornato d’attualità dopo le recenti promesse del
presidente Obama di adoperarsi in questo senso. La Clinton ha denunciato
un voto qualche anno fa al Congresso da parte di Sanders a favore
dell’immunità da eventuali denunce legali per i venditori di armi.
Sanders,
da parte sua, ha replicato ricordando di avere sostenuto altre
iniziative per la restrizione dei diritti dei possessori di armi e di
essere stato più volte valutato negativamente dalla famigerata NRA
(National Rifle Association), la principale lobby delle armi negli Stati
Uniti.
Come
spesso accade con Hillary Clinton, i suoi attacchi contro il rivale
sono risultati in qualche modo artificiosi e fin troppo calcolati, tanto
che in molti osservatori si chiedono se la nuova strategia adottata dal
suo entourage negli ultimi giorni possa risultare utile.
A
metterne in dubbio l’efficacia è stata tra l’altro la notizia diffusa
dal team di Sanders sull’impennata di donazioni registrate a partire
dagli attacchi della rivale Democratica. Un portavoce del senatore ha
fatto sapere mercoledì che la sua campagna elettorale ha raccolto 1,4
milioni di dollari in soli due giorni grazie a ben 47 mila piccoli
donatori.
Il nuovo denaro giunto nelle casse di Sanders potrebbe
essere utilizzato, secondo il suo stratega Tad Devine, per acquistare e
trasmettere spot elettorali in TV negli stati che terranno le primarie
dopo i primi tre in calendario (Iowa, New Hampshire, Nevada), allargando
potenzialmente l’appeal di un candidato che sembra essere riuscito
almeno a poter guardare alla nomination non più come a un lontano
miraggio.
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