di Federica Iezzi
Accolto dalle autorità del
Burundi il consenso al dispiegamento di una forza militare delle Nazioni
Unite nel Paese per fermare le violenze che rischiano di sfociare
nell’ennesimo conflitto etnico. Via libera anche all’aumento del numero
di osservatori dei diritti umani ed esperti militari dell’Unione
Africana, in territorio burundese. Il Burundi è stato coinvolto
in una spirale di violenze politiche da quando, lo scorso aprile, il
presidente Pierre Nkurunziza, sfruttando una controversa interpretazione
della Costituzione, ha vinto il suo terzo mandato con il 69% dei voti.
La crisi sanguinosa che ha ucciso fino a 900 persone contrappone
i sostenitori del presidente Nkurunziza contro chi ritiene la sua
rielezione per il terzo mandato, una violazione al limite dei due soli
mandati previsti dalla Costituzione e dagli accordi di Arusha, che nel
2005 avevano posto fine alla guerra civile ed etnica che aveva lasciato
come eredità al Paese 300.000 morti. Dopo un fallito colpo di stato e due visite ufficiali da parte dell’ONU, il governo ha intensificato la repressione. Il
risultato sono i più di 250.000 civili fuggiti nei Paesi limitrofi,
Rwanda, Tanzania, Uganda e Congo, e le altre 15.000 persone sfollate
all’interno del Paese.
L’ultima visita degli esponenti dell’ONU risale allo scorso gennaio.
In quell’occasione, era stato verificato che 439 persone erano state
uccise solo negli ultimi mesi, che le persone venivano selettivamente
uccise – tutsi in questo caso – e che coloro che hanno ucciso cercavano
essenzialmente di distruggere la leadership dell’altro gruppo. Il quadro è quello di una ripresa delle feroci divisioni tra hutu, tutsi e twas.
La risoluzione, figlia di un’analisi francese e disposta dai 15 Stati
membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, si prefigge di
lavorare con il governo del Burundi al disarmo, all’assistenza civile
nello sviluppo, al monitoraggio e alla sicurezza sul confine con il
Rwanda, all’avanzamento di uno Stato di diritto. Il Consiglio ha
sottolineato la fondamentale importanza del dialogo tra maggioranza e
opposizione, al fine di trovare una soluzione pacifica consensuale
all’interno del Paese.
Nel testo della risoluzione si evince una diminuzione del numero di
omicidi affiancata da un preoccupante aumento di violazioni dei diritti
umani, arresti arbitrari, detenzioni, condanne senza processo,
esecuzioni extragiudiziali, sparizioni e sevizie. Dunque nonostante
alcuni progressi, compreso il rilascio di alcuni detenuti, la riapertura
di una stazione radio indipendente e la cooperazione del governo con
esperti di diritti indipendenti, le gravi violazioni non accennano a
fermarsi.
L’opposizione chiede il dispiegamento delle forze militari
per disarmare i violenti gruppi armati conservatori, tra cui le milizie
alleate al partito di governo CNDD-FDD (Consiglio Nazionale per la
Difesa della Democrazia-Forze per la Difesa della Democrazia), note come
‘Imbonerakure’. Ad oggi gli Imbonerakure hanno circa 50.000
membri in tutto il Paese e ricevono addestramento militare nella
Repubblica Democratica del Congo. In molte zone rurali, le milizie
agiscono in collusione con le autorità locali e con totale impunità. I
timori di una guerra etnica hanno portato anche ad una crisi economica.
L’economia del Burundi, che si basa molto sugli aiuti internazionali e
sulle esportazioni di tè e caffè, si è ridotta di un ulteriore 7,2%
rispetto allo scorso anno. Sospeso anche il sostegno finanziario diretto
al governo del Burundi da parte dell’Unione Europea.
Il Burundi ha avuto una storia in cui la giustizia è stata negata e la vita ha continuato a scorrere in un modello di impunità. Negli ultimi 50 anni nessuno è stato punito per i crimini contro l’umanità e per i genocidi commessi dal 1993 al 2005.
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