Una vecchia regola vorrebbe che i soldati cercassero riparo dal fuoco nemico acquattandosi nei crateri delle bombe già cadute perché, si dice, è raro che le bombe cadano due volte nello stesso punto. Ignoro se il suggerimento abbia una qualche validità sui campi di battaglia; quel che è certo è che, quando il campo di battaglia (in senso figurato ma neanche tanto) è la Grecia, sarebbe meglio evitare di seguirlo, visto che, in questo caso, le bombe cadono eccome sullo stesso bersaglio, al punto che ultimamente ne sono cadute almeno due in rapida successione.
La prima si riferisce alla mossa che il FMI, secondo una spifferata di Wikileaks, si appresterebbe a fare per ricattare ulteriormente il già esausto popolo ellenico, mettendolo di fronte a un’alternativa secca: o procede immediatamente a ulteriori tagli (quali? Ormai non gli resta che tagliarsi le vene dei polsi...) o gli verranno negati ulteriori proroghe e aiuti abbandonandolo all’inevitabile scelta di dichiarare il default. L’ipotesi è giustificata da una conversazione, captata e pubblicata da Wikileaks, fra Paul Thomson (responsabile del dipartimento europeo dell’FMI), Delia Velculescu (rappresentante dell’FMI al tavolo negoziale) e Iva Petrova (responsabile del gruppo tecnico del Fondo). Il terzetto parla della necessità di mettere immediatamente all’ordine del giorno la riduzione del debito e addirittura di fare pressioni in tal senso sulla Merkel (evidentemente giudicata troppo morbida!) minacciando in caso contrario il disimpegno del Fondo dal gruppo dei creditori. Il tutto dovrebbe avvenire entro pochi mesi e comunque prima del referendum inglese sulla permanenza nella UE.
Mettiamo per ora fra parentesi gli ipotetici progetti di destabilizzazione dell’Europa che, secondo il governo greco, si celerebbero dietro la mossa e passiamo alla seconda bomba. Nell’imminenza della loro deportazione in Turchia (in base all’ignobile accordo, giudicato illegale da diversi esponenti dell’ONU, fra la “democratica” Europa e il regime parafascista di Erdogan), migliaia di migranti e rifugiati di guerra intrappolati in Grecia (un altro “regalo” che l’Europa ha fatto al popolo ellenico chiudendo i propri confini) si stanno ribellando fra fughe dai centri di raccolta e scontri con la polizia, mentre le autorità greche chiedono inutilmente che vengano loro inviati gli uomini e i mezzi promessi per gestire l’operazione (ne sono arrivati 200 invece dei 2300 annunciati).
Mi chiedo se Tsipras cominci a rendersi conto della follia che ha commesso quando, ignorando la volontà in senso contrario che il suo popolo aveva plebiscitariamente espresso in un referendum, ha firmato l’atto di resa nei confronti della Troika. Non solo perché ha dovuto accettare condizioni peggiori di quelle che gli sarebbero state imposte se le avesse accettate prima del referendum (le nuove comprendevano la “punizione” per avere osato chiamare in causa la sovranità popolare), ma perché oggi rischia di trovarsi comunque nella condizione di dichiarare default (o di affamare la sua gente ancor più di quanto non abbia accettato di fare finora). E ancora perché il ruolo disgustoso di poliziotto di confine che oggi gli viene imposto è diretta conseguenza di quella resa, visto che fare questo tipo di lavoro sporco rientra nei compiti che vengono assegnati ai popoli ridotti in condizione di semicolonie o protettorati.
Non aveva alternative? Falso, e a dirlo – testimoniando che si poteva fare altrimenti – non sono tanto e solo Varoufakis e gli altri esponenti politici che si raccolgono attorno al marchio del “Piano B”, ma anche e soprattutto tutti coloro (e sono sempre più) che si stanno rendendo conto che l’Europa è un’infernale macchina totalitaria al servizio del capitale finanziario globale, una macchina che non può essere riformata dall’interno ma può solo essere abbattuta, per dare vita a un processo alternativo di aggregazione democratica dei popoli che la abitano.
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