Con la rottura fra Lega-FdI e Forza Italia a Roma e Torino, siamo entrati in una fase di entropia della destra che rischia di disintegrarsi. L’asse Salvini-Meloni
punta non a vincere le elezioni (non credo che neanche loro si illudano
di spuntarla in nessuna delle due città), ma ad un più modesto derby interno
alla destra: battere il candidato di Forza Italia per piegare la
leadership del vecchio ex Cavaliere in vista delle politiche. Ed allora
valutiamo gli scenari che possono derivare da questo doppio test (e sempre che non ci sia una frettolosa ricomposizione dell’ultimo minuto).
Partiamo da una premessa: va da sé che
la destra nel suo complesso, data questa divisione, non ha speranza di
vincere da nessuna parte, salvo, forse, Milano dove (almeno per ora) è
unita. Mentre nella maggior parte dei casi ai ballottaggi ci va il M5s.
Quindi, la certificazione di essere passata nel girone cadetto e di
essere uscita dalla serie A. Nell’anno e qualcosa che manca alle
politiche, sarà molto dura risalire la china, salvo una crisi verticale
di uno dei due competitori maggiori (Pd o M5s). E lo scontro per la
leadership nella destra rischia di diventare un litigio fra ubriachi per
il controllo del relitto galleggiante. Adesso veniamo al merito delle
diverse possibilità che si aprono.
Prima ipotesi: Berlusconi batte i due ex alleati
sia a Roma che a Torino, magari con buoni risultati sia in quelle due
città che a Milano e Napoli. Sarebbe la fine dei sogni di Salvini,
costretto a rientrare a testa bassa in coalizione con il vecchio pirata.
Solo che difficilmente questa minestra riscaldata potrà sollecitare il
palato degli elettori.
Seconda ipotesi: il duo Meloni-Salvini riesce a superare i candidati dell’ex Cavaliere
in tutte e due le città. E’ la fine del vecchio capo, che dovrà anche
affrontare la fronda interna di Toti con nuove scissioni e forse dovrà
subire l’onta delle primarie dalle quali uscirebbe battuto. Questo,
però, non porterà grande vantaggio ai due nuovi capitani della destra,
perché quel che resta di Forza Italia si sbrindellerà per andare in
parte nel partito della Nazione di Renzi. D’altro canto, una destra
capeggiata da Salvini, da Roma in giù non becca neanche il 5%, per cui è
comunque fuori concorso.
Terza ipotesi: la peggiore, e cioè un sostanziale pareggio
fra i candidati dell’uno e degli altri, che significherebbe la
prosecuzione dell’epico incontro di catch con il risultato di
sbriciolare in breve quel che resta.
Insomma, salvo eventi eccezionali, qui
non facilmente prevedibili (una resurrezione di Berlusconi che vince a
Milano e riesce a strappare il ballottaggio in tutte le altre città o
almeno a Napoli e Roma, che farebbe rientrare di prepotenza la
coalizione di destra nella serie A dello scontro con il Pd alla
battaglia finale), sembra che la destra non abbia molte carte da
giocare. E, al di là delle sfortune personali del duce di Arcore o delle
sciocchezze del ducetto della Lega, questo ha una ragione abbastanza
chiara: con il Pd di Renzi, che è a tutti gli effetti la destra di questo paese, non c’è più spazio per il folklore leghista,
le nostalgie meloniane o il revival berlusconiano. Ma se come tutto fa
pensare, la rappresentanza parlamentare di Lega, FdI e Fi dovesse
ridursi ad 80 o 90 deputati spezzettati in tre o quattro formazioni,
mentre il resto confluirebbe nel partito di Renzi, quanto durerebbe il
Pd così come lo conosciamo? Non so se una scissione di sinistra
raccoglierebbe il 7 o il 9% (come dicono alcuni sondaggi che peraltro
non sono disinteressati) o più, certamente sarebbe sempre più difficile la
convivenza sotto lo stesso tetto di quanti ancora si illudono che il Pd
sia la sinistra italiana e l’erede del Pci con quasi tutta la vecchia
Forza Italia.
Ma non è detto che la ristrutturazione del sistema politico italiano
debba fermarsi solo alla destra. Di mezzo ci sono diversi appuntamenti,
fra cui quello tutt’altro che irrilevante del referendum istituzionale:
se, come ci auguriamo, dovesse essere perso da Renzi (sia che tenga
fede alla parola di ritirarsi dalla politica o no), questo provocherebbe
un terremoto nel Pd dagli esiti ora non prevedibili. Anche qui potremmo
assistere ad una reazione a catena che polverizzi il partito. E non
sarebbe una gran perdita.
D’altro canto, l’urto della
globalizzazione neo liberista mandò in frantumi il sistema politico
della prima repubblica nel 1992-93, ora l’urto della sua crisi potrebbe determinare il crollo di quello della seconda.
Io sono ottimista...
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