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01/04/2016

Paese Basco: uno studio documenta 5000 casi di tortura

Uno dei pochi aspetti positivi della fase politica apertasi nel Paese Basco grazie alla fine della lotta armata da parte dell’ETA alla fine del 2011 è rappresentato dal forte calo dei casi di tortura. Se i governi spagnoli degli ultimi anni hanno lasciato praticamente intatto il loro armamentario emergenzialista e repressivo, nonostante la dichiarazione di non belligeranza da parte del movimento armato che ha dato filo da torcere a Madrid per molti decenni, la sistematica pratica della tortura inflitta dai membri delle forze di sicurezza ai militanti dell’organizzazione armata ma anche dei movimenti politici e popolari baschi ha subito, per fortuna, una forte riduzione. Anche se non è scomparsa del tutto.

Dell’uso della tortura contro il movimento di sinistra e indipendentista basco ci siamo occupati, su Contropiano, molte volte, trattando sia casi e denunce particolari sia i macabri bilanci del fenomeno tracciati da parte di associazioni locali per i diritti umani e di istituzioni internazionali come l’Onu o l’Unione Europea.

A tracciare un nuovo, più aggiornato e più tremendo bilancio dell’uso della tortura da parte dello Stato Spagnolo contro l’insorgenza politica e popolare basca è stata recentemente la Fondazione Euskal Memoria (‘Memoria Basca’, nata nel 2009 con l’obiettivo di ricostruire e recuperare la memoria storica nel Paese Basco) che con una certosina opera di ricostruzione e ricerca ha documentato ben 5022 casi ‘verificati’, cioè denunce di tortura depositate presso le varie istanze del sistema giudiziario spagnolo dal 1947 al 2014. Altri casi, numerosi, non sono stati denunciati, perché in epoca franchista – ma anche dopo la cosiddetta ‘transizione democratica’ alla fine degli anni ’70 – molte vittime temevano i tribunali di regime tanto quanto i suoi aguzzini in divisa, o perché non riponevano alcuna illusione sulla neutralità della magistratura. Oppure perché semplicemente sono morte, o scomparse prima di poter denunciare quanto era loro accaduto.

Analizzando lo studio di Euskal Memoria balza subito agli occhi che l’uso della tortura da parte delle forze di sicurezza di Madrid è andato avanti in perfetta continuità dopo la fine ufficiale del regime franchista. Guardia Civil, Policia Nacional, Ertzaintza (la polizia autonoma basca) hanno continuato ad utilizzare gli sperimentati metodi di sempre nonostante il cambio apparente di regime, fino praticamente ai giorni nostri. Spalleggiati e protetti dai loro comandi, dalla magistratura, dalla grande stampa, dal mondo politico trasversale che non ha visto o sentito nulla di particolarmente grave, da destra a sinistra. I più alti obiettivi della ‘lotta contro il terrorismo’, cioè contro le varie manifestazioni della lotta del movimento indipendentista basco, giustificavano ogni mezzo coercitivo, tortura inclusa. Per spezzare il morale e la dignità dei militanti arrestati, ma anche per obbligarli a firmare dichiarazioni di autoincriminazione e di denuncia di presunti complici, che il sistema giudiziario di Madrid continua nonostante tutto a considerare delle prove fondamentali sulla quale basare condanne detentive spesso tombali.

Negli anni, nei decenni, il manuale del torturatore si è arricchito di nuove e più crudeli, ma spesso più sofisticate, pratiche: dalle scariche elettriche ai genitali, al soffocamento con una busta di plastica – “la bolsa” – o con il waterboarding – da quelle parti conosciuto come ‘la bañera’ ben prima che la denuncia di quanto accadeva a Guantanamo rendesse la brutale pratica degna dell’attenzione dei media internazionali; e poi i colpi alla testa, ai genitali, alle piante dei piedi; gli stupri, i palpeggiamenti o gli stupri simulati; le esecuzioni simulate; la privazione del sonno; l’obbligo di rimanere in piedi in posizioni scomode per ore, fino allo sfinimento; falsi racconti sull’arresto e sulla morte di amici e parenti... La concessione alle forze di sicurezza di un periodo di ‘incomunicaciòn’, di isolamento, durante il quale i detenuti per reati di ‘terrorismo’ possono rimanere nelle mani degli aguzzini senza poter comunicare con la famiglia o con un avvocato o con un medico di fiducia, hanno reso molto comodo il lavoro dei torturatori attenti a non lasciare troppe tracce evidenti della loro opera sul corpo delle vittime. Anche se qualche volta il giocattolo è sfuggito di mano all’oliato sistema della violenza di stato e le foto dei volti gonfi per le botte hanno fatto il giro del mondo. Scontrandosi però sempre con la tolleranza, il disinteresse e l’omertà garantiti dal sistema politico, dalla magistratura e dalla stampa mainstream: di torturatori, sul banco degli imputati, se ne sono seduti assai pochi, e per la maggior parte sono stati assolti. Qualcuno di quelli, pochissimi, riconosciuti colpevoli e condannati, è stato poi addirittura graziato e rimandato a fare ‘il suo lavoro’.

E’ per tentare di riportare l’attenzione su questo fenomeno che il Centro di Documentazione della fondazione Euskal Memoria qualche giorno fa ha presentato alla stampa i risultati di uno degli studi più completi che siano stati finora realizzati nello Stato Spagnolo. Uno studio che raccoglie, come detto, più di 5000 casi certificati e documentati. “Finora non era mai stata prodotta una raccolta sistematica delle testimonianze – scrive Euskal Memoria nella introduzione all’imponente documento – ma ora è stato possibile verificare caso per caso le denunce presentate e grazie alla disinteressata collaborazione delle persone coinvolte si è riusciti a conseguire questo importante risultato, che può essere considerato totalmente affidabile”.

Divisi per sesso, i denuncianti sono uomini in 4224 casi e donne nei restanti 798.

Il documento raccoglie inoltre 776 casi in cui i militanti arrestati non furono sottoposti ad alcuna forma di abuso fisico o psicologico particolare, smentendo così la vulgata ufficiale, diffusa dalle autorità per anni, che tutti i militanti baschi arrestati, su suggerimento dell’ETA, denunciavano abusi per mettere lo stato e le sue istituzioni in cattiva luce.

Secondo le statistiche il 46% dei casi di tortura vanno ascritti alla Policia Nacional, e il 42% alla Guardia Civil (la polizia militarizzata), mentre l’Ertzaintza è da ritenere responsabile di 350 casi, il 7% del totale. Nel conteggio sono finiti anche i ‘corpi di sicurezza di altri stati’, responsabili di 199 casi. Per quanto riguarda il contrasto del fenomeno, lo studio riporta che dalla morte del dittatore Francisco Franco, il 20 novembre del 1975, fino al 2014, solo 62 membri delle forze di sicurezza sono stati condannati per tortura dalla magistratura spagnola, e che i governi del PP – destra – e del Psoe – socialisti – hanno concesso l’indulto a 36 degli aguzzini condannati. Al momento, sottolinea Euskal Memoria, nessun membro delle forze di sicurezza condannato per aver utilizzato la tortura sta scontando la sua condanna in carcere.

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