Sabato scorso il governo di Bogotà e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), rappresentati rispettivamente dal capo negoziatore Humberto de la Calle e dal comandante Iván Márquez (alias di Luciano Marín Arango), hanno annunciato di aver siglato un nuovo accordo di pace, dopo che il 2 ottobre scorso, nel referendum convocato dal Presidente della Repubblica Santos, la maggioranza dei votanti aveva deciso di bocciare il precedente testo ritenuto dagli ambienti reazionari troppo favorevole alla guerriglia comunista. Determinante era stato il voto contrario espresso da circa due milioni di fedeli delle chiese evangeliche, egemonizzate da elementi reazionari e che si sono schierate frontalmente contro il processo di pace.
L’annuncio è arrivato dall’Avana, dove negli ultimi quattro anni i rappresentanti del governo colombiano e delle Farc, con la mediazione dei cubani, oltre che di diplomatici norvegesi e di altri paesi, hanno condotto un lungo e complicato negoziato che la vittoria del no del due ottobre ha obbligato nelle ultime settimane a riaprire.
Contrariamente a quanto accaduto con il precedente accordo, la nuova versione non dovrebbe essere sottoposta al voto popolare ma solo al vaglio del parlamento dove i favorevoli dovrebbero godere di un’ampia maggioranza.
Rispetto al testo precedente, la nuova versione ha recepito la maggior parte delle critiche e delle contestazioni realizzate all’accordo di pace da parte degli ambienti contrari. Dopo le concessioni realizzate nei mesi scorsi, la guerriglia marxista ha dovuto quindi accettare ulteriori passi indietro, il che rischia di aumentare gli attriti all’interno delle Farc già creati dal precedente processo negoziale. E’ stato lo stesso comandante e numero due della guerriglia, Iván Márquez, ad ammettere che le Farc hanno ceduto “fino al limite del ragionevole e dell’accettabile”.
Secondo le indiscrezioni il nuovo testo, che non è stato ancora reso pubblico, avrebbe ad esempio accolto una delle principali richieste degli oppositori, cioè che le Farc debbano presentare una lista di beni e proprietà nelle proprie disponibilità che il governo possa confiscare ed utilizzare per concedere risarcimenti alle famiglie delle vittime. Inoltre si pone l’accento sull’inviolabilità della proprietà privata, per tranquillizzare i settori più reazionari che temevano la requisizione di alcune proprietà da destinare alle vittime dei paramilitari al servizio dell’oligarchia o ai contadini senza terra. Prevista, sembra, anche l’incarcerazione dei guerriglieri responsabili dei reati più gravi anche se rimane in piedi una procedura di amnistia che dovrebbe applicarsi a tutti quei guerriglieri non responsabili di ‘reati gravi di sangue’ che, confessando e pagando i risarcimenti dovuti alle vittime, potrebbero scontare pene alternative comprese tra i 5 e gli 8 anni.
La Jurisdición Especial, la magistratura ad hoc incaricata di giudicare i guerriglieri, dovrebbe operare per i prossimi 10 anni e non prevedere il coinvolgimento di giudici stranieri. Non è chiaro invece se alle Farc, contrariamente a quanto concordato precedentemente, sarà o meno concesso un certo numero di seggi alla Camera e al Senato nel periodo che precede la convocazione delle prossime elezioni generali. Inoltre il nuovo accordo non prevede l’inserimento del patto all’interno della Costituzione colombiana.
L’accordo siglato tra il presidente Juan Manuel Santos e il comandante “Timochenko” delle FARC prevedeva inizialmente alcuni punti inerenti la smobilitazione della guerriglia ed altri relativi alle riforme che lo stato colombiano dovrebbe applicare in cambio: la fine degli scontri armati (il cessate il fuoco bilaterale siglato il 29 agosto è stato intanto prorogato al 31 dicembre prossimo); il disarmo dei guerriglieri sotto la supervisione di una missione delle Nazioni Unite; il reintegro nella società di circa sei mila guerriglieri; la punizione dei guerriglieri; la legalizzazione delle Farc e la conversione del movimento in un partito politico. Il governo si impegna poi a varare una riforma agraria mentre le Farc dovrebbero smettere di tollerare la coltivazione della coca nelle aree da loro controllate e contribuire alla lotta contro il narcotraffico. Molto fumoso invece il processo che dovrebbe portare invece alla liberazione di circa 10 mila prigionieri politici rinchiusi nelle prigioni colombiane, per lo più guerriglieri ma anche attivisti sociali, politici e sindacali oggetto della feroce repressione degli ultimi decenni.
“Dissi che l’accordo siglato il 26 settembre era il migliore possibile. Ma oggi, con umiltà, riconosco che questo accordo è migliore in quanto accetta molte delle critiche” ha affermato il capo negoziatore del governo, Humberto de la Calle, dopo aver siglato il nuovo testo. I rappresentanti dell’esecutivo hanno imposto alla guerriglia di tener conto delle circa 400 richieste di modifica presentate dagli oppositori di destra, per lo più inerenti la punizione dei guerriglieri e la partecipazione degli ex combattenti alla vita politica del paese. A detta del presidente Santos, delle 57 principali osservazioni critiche presentate dal ‘fronte del No’, solo su una non si è riusciti ad arrivare ad un accordo con la controparte.
Nei giorni scorsi l’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) ha accolto con favore il nuovo accordo raggiunto tra il governo di Bogotá e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia. In una nota, l’organismo regionale ha evidenziato come la nuova intesa «contribuisca alla salvaguardia del Sudamerica, in un mondo sconvolto da conflitti etnici e ideologici». L’Unasur ha anche espresso il suo sostegno per l’eventuale inizio dei colloqui di pace tra Bogotá e l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), il secondo più grande gruppo guerrigliero attivo nel paese. L’inizio dei colloqui era stato fissato lo scorso 27 ottobre a Quito, ma il tutto è stato rimandato in attesa del varo di un nuovo accordo con le Farc.
Un ‘si’ convinto è arrivato anche dal Segretario di Stato statunitense John Kerry che ha espresso a Santos le proprie congratulazione per il nuovo accordo raggiunto, affermando che il governo di Washington farà quanto in proprio potere per facilitarne l’approvazione e l’attuazione.
A remare contro è invece ancora l’ex presidente della Colombia ed esponente dell’estrema destra Alvaro Uribe. L’uomo forte di Bogotà dopo aver chiesto una riunione d’urgenza con Santos (suo ex compagno di partito) ha chiesto che il nuovo testo sia sottoponibile ad ulteriori limature e aggiustamenti.
Uribe difficilmente potrà impedire il varo della seconda versione dell'accordo, anche se potrà boicottarne l'applicazione, ed inoltre spera di capitalizzare alle prossime elezioni lo scontento dei settori contrari al negoziato con le Farc per battere l’attuale presidente che continua ad accusare di voler consegnare la Colombia al “castrochavismo".
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