Dignità e determinazione popolare, con una forte componente di classe, hanno prevalso ieri sulla repressione brutale e selvaggia. Una repressione inutile, visti i risultati, e oltretutto controproducente, perché ha polarizzato e schierato ampi settori progressisti ma non indipendentisti al fianco del fronte per l’autodeterminazione.
In questi giorni in Catalogna abbiamo visto seggi occupati da migliaia di persone per tre giorni, code lunghissime per poter esercitare un diritto al voto negato, una difesa dei seggi dalle violente razzie della polizia in assetto antisommossa che non ha coinvolto soltanto i promotori del referendum, i partiti indipendentisti e ampi settori della popolazione ma anche migliaia di lavoratori portuali di Barcellona e Tarragona, di pompieri, di contadini e allevatori, di lavoratori dei trasporti.
In alcuni casi pure la Polizia catalana è arrivata nel pomeriggio di ieri a scontrarsi, così come hanno fatto i Vigili del Fuoco, con i reparti antisommossa mandati da Madrid, per bloccare l’insensata e indiscriminata violenza della Policia Nacional e della Guardia Civial che ha prodotto circa 800 feriti, di cui alcuni molto gravi. Anziani e bambini picchiati, vetri sfondati, seggi devastati, arresti e identificazioni, pallottole di gomma sparate ad altezza d’uomo non hanno fermato milioni di cittadini che sono andati a votare sotto la pioggia dando vita ad un atto di disobbedienza con carattere di massa dal quale le sinistre radicali di questo continente avrebbero molto da imparare.
Comprese quelle sinistre che, obbedendo più alla logica della ‘simpatia’ e della ‘tifoseria’ piuttosto che ad una indispensabile analisi concreta della situazione concreta, sostengono nonostante tutto il regime di Madrid contro quello che considerano “l’egoismo catalano” appellandosi ad una legalità e ad una Costituzione spagnola scritta nel 1978 dagli stessi franchisti che avevano deciso, per integrarsi nella Comunità Economica Europea e nella Nato, di cambiare le forme del regime mantenendo intatto il suo nucleo ideologico e il potere nelle mani delle élite economiche e militari che avevano costituito il fulcro della feroce dittatura di Francisco Franco.
Il mondo ha visto ieri con i propri occhi la reale natura dello Stato Spagnolo che non ha esitato a esercitare una violenza di massa contro una popolazione la cui unica richiesta era di poter votare, ottenendo la solidarietà non solo di molte organizzazioni della sinistra e dei popoli senza stato dell’Europa, ma di spezzoni consistenti della stessa sinistra radicale e di classe degli altri territori dello Stato Spagnolo.
La cecità di uno stato debole e privo di legittimità nelle terre catalane così come tra i settori popolari e di classe di tutto lo stato ha ottenuto la reazione inversa a quella perseguita dal nazionalismo spagnolo: la manifestazione di una combattiva e preziosa unità popolare che ha dato vita ad un esperimento di contropotere e di democrazia militante in un momento in cui la democrazia, in Spagna come nell’insieme dell’Unione Europea, è ridotta a simulacro penoso e senza alcun appeal.
D’altronde ogni volta che i popoli sono stati chiamati a votare – o, come in questo caso, hanno deciso di votare nonostante la proibizione e la repressione – il risultato è sempre stato sfavorevole agli interessi dei poteri forti, dell’establishment continentale e dello status quo. Dall’oxi greco alla Brexit e ora in Catalogna la mobilitazione popolare dimostra che la rottura con la gabbia imperialista dei singoli stati e dell’Unione Europea nel suo complesso è possibile. E’ ora che i comunisti e i movimenti sociali e politici antagonisti si assumano le proprie responsabilità e lancino la sfida per l’egemonia incuneandosi nelle contraddizioni aperte dal processo autoritario di unificazione continentale per spostarle ad un livello superiore e contrastare il montare delle ipotesi reazionarie.
Il bilancio del referendum è stato alla fine di circa 2.250.000 voti validi, con il Si al 90%. Altri 650 mila voti sono stati letteralmente rubati dalle forze dell’ordine, per cui alla fine si arriva a quasi 3 milioni di votanti su 5.3 milioni di aventi diritto. Il tasso medio di partecipazione è stato superiore al 50%, con punte del settanta e anche dell’ottanta per cento nei quartieri e nei paesi dove la popolazione non ha dovuto fare i conti con gli attacchi della polizia.
La giornata di ieri si è chiusa con una manifestazione di popolo a Placa de Catalunya mentre i leader dell’associazionismo indipendentista e lo stesso capo del governo catalano, Carles Puigdemont, promettevano che inizieranno immediatamente il percorso verso l’indipendenza.
Per ribadire che non si torna indietro ieri la Cup – la sinistra indipendentista radicale – in una conferenza stampa (durante la quale sono intervenuti la Rete dei Comunisti, Eurostop, Liberu, Sinn Fein e Npa) ha chiesto la proclamazione immediata della Repubblica Catalana così come previsto dalle leggi votate dalla maggioranza del Parlament, ha fatto appello a sostenere e a partecipare allo sciopero generale proclamato per martedì 3 ottobre, ha chiesto la protezione internazionale della popolazione catalana da parte degli organismi per la difesa dei diritti umani, politici e civili che finora hanno preferito in buona parte guardare altrove.
Domani sarà una giornata campale per lo sciopero generale convocato in Catalogna da Intersindical CSC (aderente alla Federazione Sindacale Mondiale), dalla CGT, dal COS e dallo IAC, alla quale in maniera insperata ha dato ieri l’adesione un coordinamento ‘civico’ che riunisce circa 40 organizzazioni sociali, sindacali e di categoria che hanno invitato i loro aderenti a paralizzare il paese per denunciare la selvaggia repressione del governo e imporre il rispetto della volontà popolare.
Il referendum catalano costituisce indubbiamente un atto di rottura non solo nei confronti dello Stato Spagnolo e delle sue oligarchie, ma oggettivamente anche nei confronti di quella Unione Europea che in nome della stabilità contrasta l’autodeterminazione della Catalogna a costo di sostenere una repressione e una censura che solo in Turchia trova similitudini.
Ogni confronto tra la realtà catalana e le formazioni leghiste è fuori luogo e ingiustificato.
Se la sinistra indipendentista catalana, che con la sua mobilitazione ha di fatto costretto il partito di governo locale ad abbracciare la causa indipendentista, è apertamente anticapitalista e sostiene l’uscita della repubblica catalana dall’Ue, ieri milioni di catalani europeisti hanno scoperto improvvisamente sulla propria pelle che Bruxelles e Francoforte non sono e non possono essere considerati un’alternativa progressista al regime reazionario, nazionalista e corrotto di Madrid. Questa improvvisa consapevolezza va rafforzata e capitalizzata.
Certamente il movimento indipendentista catalano è composito: si va dalle correnti anarchiche e comuniste ai socialdemocratici fino ai liberali e ai democristiani. Ma lo scontro per l’egemonia è aperto, e la sinistra anticapitalista ha molte carte da giocare, potendo contare su una radicalizzazione dello scontro e su una popolazione che sperimenta la disobbedienza, la mobilitazione permanente e in alcuni casi anche la creazione di un contropotere nazionale ma anche di classe.
Il grande capitale catalano, che è contrario all’indipendenza perché preferisce continuare a fare affari dentro lo spazio economico internazionale garantitogli dall’autonomia nello Stato Spagnolo, non fa in questi giorni sogni tranquilli.
Rete dei Comunisti
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