di Chiara Cruciati
Il “mistero Hariri” si infittisce. Il discorso che ieri il premier/ex premier libanese ha rilasciato a Future Tv, l’emittente del suo partito Mustaqbal, aumenta le nubi intorno alle dimissioni annunciate dieci giorni fa da Riyadh.
“Qui nel regno dell’Arabia Saudita sono libero. Ho libertà completa
ma voglio proteggere la mia famiglia. Posso tornare domani se voglio –
ha detto in merito alle voci che lo danno per prigioniero in Arabia
Saudita – Tornerò in Libano presto, non parlo di mesi ma di
giorni, e porterò avanti i passi costituzionali necessari per
formalizzare le mie dimissioni”. Un passo che giustifica con
l’intenzione di “mandare uno choc positivo” al Paese dei Cedri che,
ribadisce usando la narrativa saudita, è ostaggio dell’asse sciita
Iran-Hezbollah.
Un passo, però, che potrebbe essere ritirato: “Una marcia indietro rispetto alle dimissioni è possibile
nel caso in cui le forze politiche rispetteranno una politica di
auto-esclusione dai conflitti regionali, evitando di coinvolgere il
paese nelle guerre vicine”.
Ovvio il riferimento a Hezbollah, nonostante gli undici mesi
di governo comune e di convivenza e divisione dei poteri non solo con il
movimento sciita ma anche con il presidente Michel Aoun, legato al
gruppo di Nasrallah. Proprio Aoun ha reagito di nuovo ieri alle
parole di Hariri, insistendo sullo status di “prigioniero” del primo
ministro: Hariri, ha detto, vive in “circostanze misteriose” in Arabia
Saudita con Riyadh che ne limita le libertà e impone “condizioni sulla
sua residenza e sui contatti con i membri della sua famiglia. Il
presidente libanese è poi tornato a chiedere ai sauditi di chiarire la
posizione di Hariri, che preoccupa tutto il popolo libanese, per lo più
convinto che lo status del loro premier non sia affatto cristallina come
lui prova a far passare.
Una parziale conferma arriva da una fonte vicina allo stesso Hariri che, parlando con la Reuters,
ha affermato che il premier si è dimesso contro la sua volontà,
costretto dai Saud. Aggiungono altre fonti, il piano saudita potrebbe
essere quello di sostituire Saad con il fratello maggiore, Bahaa.
Ieri, intanto, la Lega Araba ha deciso di tenere un meeting d’urgenza
dei ministri degli Esteri, la prossima domenica, per discutere “gli
strumenti per confrontare l’interferenza iraniana nei paesi arabi”.
La visione saudita, dunque, si fa strada. Palesemente rivolta a
generare il caos in una regione già martoriata da conflitti bellici e
scontri ben poco latenti, la politica di Riyadh prova a rivoluzionare
l’attuale “equilibrio” provocando terremoti politici tra i paesi e
all’interno dei paesi stessi.
Il Libano rischia molto, perchè storicamente instabile e vittima delle
influenze delle potenze regionali, e la decisione di Hariri – che sia
stata imposta o meno – ha un potenziale distruttivo pericoloso: l’attuale
governo è stato frutto di una lunghissima negoziazione, giunta dopo due
anni di discussioni tra le varie forze politiche e che ha condotto ad un esecutivo di unità nazionale, sostenuto anche da Hezbollah.
Con grande difficoltà, Beirut è riuscita a farsi solo lambire dalle guerre regionali che stanno distruggendo i paesi vicini: ha
accolto milioni di profughi siriani, che vivono oggi in condizioni di
estrema difficoltà nei campi e nelle città libanesi, ha visto crescere
il ruolo militare di Hezbollah in Siria, ha subito attacchi da parte
dell’Isis e dei qaedisti di al-Nusra al confine con la Siria, ma ha
evitato che le tensioni dei vicini si trasferissero nel paese e si traducessero in un conflitto interno devastante.
Ora l’Arabia Saudita, tramite Hariri, prova a mettere
all’angolo Hezbollah, costringendolo ad un passo indietro o ad una
rottura definitiva. Una scelta che ricadrebbe sulle spalle
dell’Iran, al momento la potenza più forte sul piano militare e su
quello politico nella regione, con buona pace di Riyadh che raccoglie i
cocci del suo bellicismo in Yemen, Siria, ma anche in Qatar,
destabilizzando il Medio Oriente.
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