di Michele Giorgio – Il Manifesto
È salito a più di 20 morti
il bilancio delle proteste in Iran sfociate in alcune località in
violenze e attacchi a stazioni di polizia e palazzi governativi. La tv
di Stato ha dato notizia di altre nove persone rimaste uccise nella
notte tra lunedì e martedì: sei in un attacco a un commissariato di
Qahdarijan; un bambino di 11 anni e un ventenne a Khomeinishahr. Un
membro dei Guardiani della rivoluzione è stato ucciso a Najafabad.
Tehran è meno coinvolta nei disordini. Nella capitale però la
polizia ha arrestato 450 persone. Il presidente Rohani conferma il
sostegno al diritto degli iraniani a manifestare la loro insoddisfazione
ma ha alzato ancora il tono della sua condanna delle violenze
spesso fomentate dai suoi avversari del fronte conservatore. In
particolare dall’ayatollah Ahmad Alamolhoda considerato da molti
l’ispiratore delle prime proteste giovedì scorso a Mashhad.
Per questo importanti esponenti riformisti sono scesi in campo a
sostegno del presidente non mancando di condannare anche le ultime
dichiarazioni fatte da Donald Trump sull’Iran. Senza rinunciare però a
chiedere al loro governo di affrontare le ragioni vere del malcontento
popolare. «Indubbiamente il popolo iraniano si trova di fronte a
difficoltà nella vita quotidiana... ma gli eventi degli ultimi giorni
hanno dimostrato che facinorosi e opportunisti sfruttano le
manifestazioni per creare problemi, insicurezza distruzione di pubblici
uffici, insultando i valori della nazione e della religione», ha scritto
in un comunicato l’Associazione dei combattenti religiosi
guidata dall’ex presidente riformista Mohammad Khatami. La guida suprema
Khamenei, invece ha accusato «i nemici» esterni dell’Iran di essere
dietro le manifestazioni.
In Europa intanto è l’ora dei soliti luoghi comuni sull’Iran, delle
frasi fatte, della ragazza che si toglie il velo in un gesto di rivolta
contro il «regime degli ayatollah», di giovani iraniani che non
desidererebbero altro che vivere come gli occidentali. Eppure
chi scende nelle strade della Repubblica islamica continua a farlo più
di tutto per reclamare un lavoro e migliori condizioni di vita anche se,
come è naturale, tante componenti della società iraniana, una delle più
complesse e articolate del Medio Oriente, stanno partecipando o cercano
di cavalcare la protesta.
«Può essere un’idea scomoda per alcune persone trattare l’Iran come
altri Paesi» ha detto provocatoriamente all’agenzia Afp l’analista
Esfandyar Batmanghelidj «ma ciò che gli iraniani portano in strada in
modo coerente sono normali problemi economici: la frustrazione per la
mancanza di posti di lavoro, l’incertezza sul futuro dei loro figli».
Batmanghelidj punta il dito contro alcuni provvedimenti di
Rohani come il taglio dei fondi per il welfare e l’aumento del prezzo
del carburante. «Il presidente – dice l’analista – ha adottato
misure di austerity con l’idea che si tratti di una pillola difficile da
ingoiare eppure necessaria per gestire i problemi di inflazione e di
valuta e cercare di attirare investimenti in Iran. Ma scegliere
l’austerità immediatamente dopo un periodo di sanzioni internazionali è
molto duro e mette alla prova la pazienza delle persone».
Già qualche settimana fa centinaia di lavoratori del settore
petrolifero e di autotrasportatori avevano manifestato per il ritardo
nel pagamento dei loro salari. I giornali avevano riferito anche delle
proteste degli operai di Tabriz per la chiusura della loro fabbrica di
trattori e di quelli delle industrie di pneumatici di Teheran anche loro
rimasti senza stipendio. La rabbia è aumentata con il
fallimento delle società di credito che hanno investito milioni di
dollari nel settore edilizio. Il governo dell’ex presidente Mahmoud
Ahmadinejad aveva incoraggiato le banche a prestare denaro durante il
boom edilizio ma il successivo scoppio della bolla immobiliare ha avuto
effetti devastanti per la classe media. E non è marginale neanche il
costo economico dei vari fronti di crisi nel quali è impegnato l’Iran –
Siria, Yemen, Iraq – che ha sottratto risorse importanti da investire,
ad esempio, nel welfare.
Gli alleati di Tehran, Siria e Russia intanto chiedono che sia
fermata qualsiasi interferenza negli affari interni dell’Iran. Un invito
che certo non accoglierà Donald Trump che questo mese potrebbe
sfruttare una serie di scadenze per stracciare l’accordo internazionale
sul nucleare con Teheran aggiungendo così benzina al fuoco
dell’insoddisfazione degli iraniani.
Politico scrive che l’11 gennaio Trump dovrà
certificare la “buona condotta” dell’Iran nell’ambito dell’accordo. Già a
metà ottobre Trump, senza alcun motivo, non aveva voluto dare il via
libera all’accordo. Se ora farà altrettanto fornirà nuove
munizioni ai conservatori iraniani, contrari all’intesa sul nucleare del
2015, che potranno accusare Rohani di aver ingannato il Paese
accettando un accordo che gli Usa non intendono rispettare e di non aver
ancora ottenuto la fine completa delle sanzioni.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento