di Roberto Prinzi
Secondo l’agenzia di stampa statunitense Axios, il
premier israeliano Benjamin Netanyahu ha avuto un incontro segreto con
il ministro degli esteri marocchino Nasser Bourita lo scorso settembre a
New York a margine dell’Assemblea Generale dell’Onu. Tema sul
tavolo? Come fermare l’influenza iraniana nella regione. Un obiettivo
che, ormai sempre più alla luce del sole, sta diventando un’ottima scusa
per normalizzare le relazioni diplomatiche di gran parte degli stati
arabi con Israele.
Del resto l’ostilità nei confronti della Repubblica islamica è ampiamente condivisa da molti governanti arabi. Il
Marocco, ad esempio, ha interrotto i suoi rapporti ufficiali con
Teheran lo scorso maggio dopo che gli iraniani avevano espresso il loro
sostegno per il Fronte Polisario, il movimento che chiede
l’indipendenza del Sahara Occidentale (Rabat sostiene che quel
territorio è suo). Intervistato allora dalla tv panaraba al-Jazeera, il
ministro degli esteri marocchino Bourita puntò direttamente il dito
contro l’Iran e il movimento libanese Hezbollah, accusando quest’ultimi
di aver sostenuto logisticamente e finanziariamente il Polisario
attraverso l’ambasciata iraniana in Algeria.
Secondo le indiscrezioni pubblicate ieri dal portale statunitense Axios, però, Bourita
e Netanyahu non avrebbero discusso solo del “nemico” comune, la
Repubblica Islamica, ma anche della possibilità di ripristinare i
rapporti ufficiali tra i due stati (negli anni tra il 1995 e il
2000, cioè nel periodo immediatamente successivo agli Accordi di Oslo
tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, i due
Paesi hanno avuto relazioni diplomatiche). Un ufficiale israeliano che
ha preferito restare anonimo ha anche rivelato che Netanyahu sarebbe
molto interessato a recarsi in Marocco in visita ufficiale, esattamente
come ha fatto lo scorso anno in Oman.
Al momento le indiscrezioni pubblicate dall’agenzia statunitense non sono state confermate da marocchini e israeliani.
L’ufficio di Netanyahu ha rifiutato di rilasciare in merito una
dichiarazione limitandosi a dire che “non commenta i contatti con i
Paesi con cui Israele non intrattiene relazioni formali”. Tuttavia, questa rivelazione di Axios non sorprende perché fa ormai seguito a tante altre dello stesso tenore
che mostrano sempre di più come i rapporti tra gran parte del mondo
arabo e il cosiddetto stato ebraico sono ormai più che buoni (lontani i
tempi in cui Israele era definita una “entità sionista”). La
notizia di ieri, infatti, fa il paio con quella data una decina di
giorni fa dal Canale 13 della tv israeliana secondo cui il governo
bahrenita due anni fa trasmise a Netanyahu un messaggio segreto in cui
affermava di voler stabilire “relazioni cordiali” con Tel Aviv.
Nel febbraio del 2017, Khaled bin Ahmed al-Khalifa, il ministro degli esteri bahrenita, incontrò ai margini del vertice della sicurezza di Monaco Tzipi Livni, ex ministra degli esteri e allora tra le principali voci dell’opposizione israeliana. Al-Khalifa
chiese alla deputata israeliana di riferire a Netanyahu che il re Hamad
aveva deciso di “compiere passi in avanti per normalizzare i suoi
rapporti con Israele”. Livni, sostiene Canale 13, informò a
quel punto il premier dell’offerta. “Il Bahrain – gli disse – è uno
stato unico. Nel contesto ebraico, hanno avuto anche un ambasciatore
ebreo a Washington. Sono molto educati e moderati dal punto di vista
religioso e verso Israele”. Indiscrezioni che non sorprendono, ha
affermato la rete israeliana, dato che i legami tra Bahrain e Israele vanno avanti “di nascosto” da 25 anni.
Ciò apparve evidente ai funerali di stato del presidente israeliano
Shimon Peres nel 2016 dove Manama fu presente con una sua delegazione.
Inoltre, il piccolo arcipelago del Golfo fece adirare non poco i
palestinesi quando, l’anno scorso, sempre il suo ministro degli esteri
bahranita Khaled al-Khalifa affermò che l’annuncio dello spostamento
dell’ambasciata australiana nella parte occidentale di Gerusalemme “non
danneggia le richieste legittime dei palestinesi”.
A contribuire a intessere relazioni diplomatiche con il mondo arabo negli ultimi ha sicuramente contribuito anche Tzipi Livni
che, a livello internazionale, ha provato a ripulire la sua immagine
pubblica macchiata dalle sanguinose offensive israeliane a Gaza durante
l’Operazione Piombo Fuso nel 2009 (più di 1.400 gazawi uccisi) e nel Libano nel
2006 (oltre 1.000 i libanesi morti). Erano gli anni in cui Livni, la
“colomba” (“criminale di guerra” per palestinesi e suoi sostenitori)
rivestiva la carica di ministra degli Esteri.
Ieri la leader del partito centrista HaTnu’a ha annunciato
che si ritirerà dalla politica denunciando una mancanza di sforzi per
raggiungere la “pace” con i palestinesi. Una motivazione che
lascia quanto mai basiti dato che proprio lei ai palestinesi,
soprattutto con l’allora Kadima creato nel 2005 da Ariel Sharon, ha
offerto solo il bastone e che con il suo HaTnu’a, una volta
all’opposizione, si è limitata a ripetere sterilmente lo slogan di
“soluzione a due stati”. Salvo poi, sia chiaro, essere sempre in prima
linea nell’appoggiare il governo di destra di Netanyahu nelle sue
operazioni contro i “terroristi” di Hamas su Gaza (“Colonna di nuvola”
nel 2012 e “Margine protettivo” nel 2014). Nella conferenza stampa
convocata ieri, Livni ha detto che la “democrazia israeliana è in
pericolo” e che “sta lasciando la politica”, ma che non permetterà “che
la speranza della pace abbandoni Israele”.
L’ex ministra degli esteri ha anche dichiarato che la pace sta diventando una “paroloccia” in Israele e poi ha
mostrato tutto il suo “pacifismo” quando ha sottolineato che lo stato
ebraico deve separarsi dai palestinesi per restare ebraico. Non
quindi perché sia giusto garantire ai palestinesi i diritti di cui sono
privati e che sono consacrati nel diritto internazionale. No, questo è
irrilevante per la “colomba” Livni. Ma semplicemente per evitare che
Israele non sia più ebraico: una posizione razzista, ma condivisa dalla
quasi totalità della presunta opposizione israeliana. Non stupisce che
le sue dimissioni giungano a poche settimane ormai dalle legislative del
9 aprile. Stando agli ultimi sondaggi, infatti, il suo partito,
abbandonato recentemente dai laburisti con cui era alleato, non dovrebbe
superare lo sbarramento elettorale.
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